Beata Panacea Patrona della Valsesia

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Domenica 10 settembre il vescovo Franco Giulio ha presieduto a Ghemme la messa per la proclamazione della beata Panacea Patrona della Valsesia.  Una vicenda che nasce da un episodio di violenza domestica drammaticamente attuale e che invita alla riflessione, una testimonianza di fede semplice e il cuore di una  devozione che unisce le generazioni e rispecchia il senso di identità della valle che va «dal riso al Rosa». Di seguito pubblichiamo il testo integrale della sua omelia.

 

Beata Panacea Patrona della Valsesia

Carissimi parroci di Ghemme e di Quarona, don Damiano e don Matteo,
carissimo parroco emerito di Ghemme, don Piero,
cari sacerdoti della Valsesia e delle zone viciniori,
carissime Autorità civili e militari
e voi tutti delle comunità di Ghemme, di Quarona e della Valsesia,

dopo l’omelia avverrà la Proclamazione della Beata Panacea, Patrona della Valsesia che porta a compimento la lunga serie di gesti di venerazione e di culto che Quarona e Ghemme, e poi la Valsesia tutta, ha da sempre tributato alla giovane ragazza, forse quindicenne, uccisa dalla matrigna intorno al 1383. Non è del tutto convincente però l’accostamento all’eterna fiaba di Cenerentola, incentrata sullo schema della figliastra innocente e della matrigna cattiva, perché ne manca un tratto qualificante: l’esito felice del racconto, coronato dalle nozze con il principe.

Nella vicenda della Beata Panacea, invece, il risultato è tragico e la fa essere una storia vera: una storia di santa innocente, vittima del male umano e dei legami famigliari distorti. Per questo le genti della Valsesia l’hanno sempre venerata nel culto, nell’iconografia attraverso affreschi, dipinti e quadri e nel racconto della sua vita con moltissime biografie, modello per molte generazioni che vi hanno specchiato il loro destino di popolazione, dedita alla pastorizia, i cui frutti (la lana, i tessuti, le stoffe e i manufatti) hanno reso la valle, che va dal riso al Rosa, famosa nel mondo.


Beata Panacea Patrona della Valsesia
Omelia per la proclamazione della beata patrona della Valsesia
10-09-2023
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La vicenda della Beata Panacea o Panasìa è dunque una storia familiare ed esemplare, né deve turbare il fatto che i tratti storici siano essenziali ed ogni generazione vi abbia sempre letto, come in uno specchio, desideri, sogni, dolori, mali e tragedie del proprio tempo. Anche il nostro secolo, e persino quest’anno, racconta storie familiari drammatiche come testimoniano i 78 femminicidi, da inizio d’anno a oggi, e i molti infanticidi. Nonostante siano passati sette secoli, la storia si ripete…

Tre grandi filoni ci documentano una venerazione ininterrotta della Beata da parte delle genti della Valsesia:

  • il culto con la cappella di Ghemme, le chiese di Quarona al monte e al piano, i diversi legati per celebrare messe sul luogo della morte, dove si è consumato il martirio, o sul luogo della sepoltura; e i numerosi interventi dei Vescovi, per dare sempre più lustro ai luoghi evocativi della santa martire.
  • l’iconografia, con gli antichi cicli di pittura ad affresco di Ghemme, Quarona, Boccioleto, e le innumerevoli raffigurazioni che punteggiano la Valle (Quarona, Ghemme, Campertogno, Riva Valdobbia, Varallo, Vocca, Rima San Giuseppe, Cadarafagno, Foresto, Borgosesia, Breia, Colma di Valduggia, Scopa, Scopello, Fervento, Cravagliana), per diffondersi anche in altri siti (Borgomanero, Bogogno, Massino Visconti, Vanzone, Oleggio, Caltignaga, Torino, fino al Duomo della capitale della lana, Biella, a Bobbio in provincia di Piacenza e alla chiesa di santa Lucia a Cremona);
  • le biografie, scritte secondo l’uso del tempo, da quella iniziale del curato di Quarona Bernardino Lancia, che ne richiama una precedente perduta di Rocco de Bonomi, per passare alle successive dell’Alberganti (1649), Castiglione (1666), Chiara (1725), Rovida (1765), fino alla biografia di Silvio Pellico (1837), riedita da Interlinea in elegante edizione (1994).

Per l’omelia mi riferisco all’interpretazione sintetica a conclusione del bel volume di R. Andorno – M. Perotti, Beata Panacea, Grafica Federici, Società Valsesiana di Cultura 1983, 63-75, che illustra il risultato di una scrupolosa ricostruzione storico-critica e cultuale-iconografica, attorno alle nove scene della Cappella di Ghemme (1446), non pervenute sino a noi, ma di cui esiste una precisa illustrazione in un atto notarile del 1683 (alcuni riquadri per fortuna sono ripresi negli affreschi della frazione Oro di Boccioleto, 1476).

Commentando queste nove scene, a cui noi oggi aggiungeremo la decima, possiamo raccogliere i pochissimi elementi essenziali per onorare questa giornata storica. È probabile che le nove scene si riferissero alle nove letture previste nel Breviario di un tempo.

Le prime tre scene contengono gli elementi essenziali della vita della beata:

I. La carità verso i pastorelli più poveri, a cui distribuiva una porzione di pane, e che magari le curavano il gregge, mentre lei pregava.

II. La pazienza verso la matrigna, mossa da forte gelosia nei suoi confronti, acuita forse dalla presenza di una sorellastra.

III. L’uccisione della Beata da parte della matrigna, con il bastone della rocca (non con i fusi con cui viene solitamente rappresentata), dopo averla trovata in preghiera.

Le prime tre scene mettono in evidenza gli aspetti salienti della vita santa della Beata che sono la carità, la pazienza e la sopportazione fino alla fine, al martirio, in un contesto di preghiera. Sono elementi decisivi della vita cristiana che hanno bisogno di irrorare anche tutti i nostri legami familiari. Se la nostra famiglia, infatti, sta in piedi solo per le cose che fa, sulle cose che possiede, è difficile si regga a lungo, come accennavo prima riguardo alle tragedie familiari che accadono…

Le successive tre scene indicano i momenti essenziali del riconoscimento e del culto e sono le tappe di una vera e propria beatificazione.

IV. La Beata che giace sul monte con la gente che accorre e ammira (veneratio o fama sanctitatis).

V. Due persone si chinano e alzano il corpo della Beata, mentre altre due osservano la scena (elevatio: il corpo era collocato in posizione di venerazione). La scena si trova anche nell’oratorio di Boccioleto.

VI. Il processo di informazione davanti al Vescovo, con il libellus de vita et miraculis (canonizatio).

Le ultime tre scene rappresentano la solenne traslazione della Beata, durante la festa della sua canonizzazione.

VII. La solenne traslazione del corpo della Beata al nuovo sepolcro (translatio), per il quale i vescovi novaresi sono intervenuti più volte nella storia (cfr Carlo Bascapé).

VIII. La celebrazione dell’elogio della Beata, compiuto dal Vescovo alla presenza di tutto il popolo (elogium).

IX. La nuova sepoltura nella cappella, con la processione che raggiunge la Chiesa parrocchiale (tumulatio).

Lo studioso gesuita medievalista Ludwig Hertling sottolinea che la procedura di canonizzazione o beatificazione (allora non c’era alcuna differenza) si articolava in tre momenti (elevatio corporis, canonizatio, translatio), che troviamo puntualmente ripresi nelle ultime sei scene. L’elevatio avveniva con l’apertura della prima sepoltura (IV) e poi con l’esposizione del corpo alla venerazione (V), la canonizatio con il processo davanti al Vescovo e la lettura del libellus de vita et miraculis (VI). A questo momento ecclesiastico seguiva la canonizzazione pubblica con la solenne translatio (VII) con cui il Vescovo, dopo la proclamazione della santità, procedeva alla deposizione nella Cappella, preparata nel frattempo, probabilmente con un elogium pubblico (VIII) e la tumulatio in un sepolcro nuovo (IX). Sorprende come il ciclo della Cappella di Ghemme sia come il filmato, con tutte le scene previste, che non solo descrive la vita della Beata, ma addirittura tutte le tappe della canonizzazione e nuova sepoltura.

X. Infine, la decima scena, che proprio oggi stiamo vivendo, con la proclamazione della Beata Panacea Patrona della Valsesia. Dopo la descrizione della scena della canonizzazione e dell’atto di venerazione della Beata da parte di tutto il popolo, manca un ultimo tassello che è facoltà del vescovo di Novara compiere, recependo l’ininterrotta tradizione della fede e della devozione delle genti della Valsesia. In questo giorno portiamo a pieno compimento una nuova tappa del cammino di venerazione della Beata Panacea, una tappa che non è raffigurata nelle scene della cappella, ma che stiamo rappresentando dal vivo qui e ora in una giornata storica. Sono contento di compiere questo atto, frequentando la Valsesia da oltre cinquant’anni e più, lo faccio volentieri e con gioia prima di concludere il mio episcopato a Novara.

Epilogo

In tutte le scene dopo la morte della Beata Panacea, vi è sempre un segno che vi lascio come immagine di questa giornata: è un fascio di legna che, presente nel riquadro del martirio, vien ripetuto poi anche nelle altre scene. Si tratta di una fascina che arde e non si consuma mai. Su tale elemento ci sono state varie interpretazioni e non si sa precisamente cosa voglia dire. Probabilmente è l’immagine del “roveto ardente”. Mi piace pensare e augurare a voi, anzitutto alle due comunità di Quarona e di Ghemme, e poi a tutta la Valsesia, che questo fascio di legna continui ad ardere, riesca a tener viva la fiaccola della fede. È una devozione che va innervata prima di tutto nelle comunità familiari, così che anche le parrocchie siano concepite come famiglia di famiglie. Non lasciate spegnere questo fascio di legna, rispetto alle molte cataste che ci sono nelle case della Valsesia preparate per l’inverno, come si vede dappertutto. Non spegnete il vostro roveto ardente, perché non venga meno la fede. Mi rallegro anche che il sindaco di Ghemme all’inizio abbia chiesto più figli, altrimenti non ci sarà più nessuno che potrà tenere in mano la fiaccola della fede, che arde di generazione in generazione.

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara