
I seminaristi del Seminario San Gaudenzio che hanno ricevuto il ministero del lettorato e dell’accolitato. (Foto Riccardo Dellupi)
Lo scorso 29 novembre, nella basilica di Gozzano, il vescovo Franco Giulio Brambilla ha presieduto la celebrazione di conferimento dei ministeri del lettorato e dell’accolitato a dieci studenti del Seminario San Gaudenzio.
Sono stati istituiti lettori Luca Ariola e Francesco David da Masera, Marco Boccoli da Verbania, Alessandro Buffelli e Michele Balzaretti da Novara, Michele Pastormerlo da Borgomanero e Federico Lucchi da Arona. Hanno ricevuto l’accolitato Beniamino Agliati e Vincenzo Formisano da Novara e Francesco Fittipaldi da Trecate.
Di seguito il testo integrale dell’omelia del vescovo.
I sette doni dello spirito e gli occhi semplici del credente
Omelia per il conferimento dei ministeri di lettori e di accoliti
Introduzione
È una cosa sorprendente il fatto che questa sera conferiremo il ministero del lettorato e dell’accolitato a dieci giovani seminaristi (sette lettori e tre accoliti), proprio nel tempo in cui papa Francesco, con i due Motu proprio Spiritus Domini e Antiquum ministerium, e poi i vescovi italiani, hanno aperto a uomini e donne laici il ministero del lettorato e dell’accolitato e il nuovo ministero della catechista.
Ciò significa che tutti coloro, come voi, che ricevono tali ministeri nel cammino di preparazione al presbiterato e che lo vivono come un “segno”, anche se forse è qualcosa di più, passando attraverso le tappe che la Chiesa propone ai candidati al presbiterato, potranno percepire che diventare preti non azzera le altre forme di servizio nella Chiesa, ma, portandole dentro di sé, dovranno riconoscerle domani anche fuori di sé, nelle persone che invece saranno “istituite”, come si dice in modo proprio, nei ministeri di catechista, accolito e lettore.
I vescovi italiani hanno scelto di non conferire tali ministeri in modo indiscriminato, ma piuttosto di istituire figure che nella comunità cristiana possono fare da coordinatrici, da punti di riferimento e di animazione per i lettori, i ministri straordinari della comunione e i catechisti. Per esempio, la persona chiamata al ministero di catechista viene “istituita” a servizio di tutti gli altri che nella comunità svolgono il compito di catechista, coordinandole e animandole. Così, dunque, voi che ricevete questi due ministeri, li dovete assumere come qualità che permangono, insieme al diaconato, anche nel ministero sacerdotale che, a Dio piacendo e a suo tempo, vi verrà donato.
I sette doni dello Spirito e gli occhi semplici del credente
Omelia per il conferimento dei ministeri di lettori e di accoliti
29-11-2022
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Illustriamo allora alcuni aspetti della Parola di Dio di questa feria di Avvento, così bella e provvidenzialmente adatta per la nostra celebrazione. Essa ci presenta un dittico che parla del senso del ministero nella Chiesa, non solo rivolgendosi a coloro che sono in cammino per diventare preti, ma anche per quelli che vorranno e potranno domani prendersi cura della fede degli altri. Proprio questo è il ministero: il servizio di prendersi cura della fede altrui. I tre ministeri istituiti dalla Chiesa sono, per così dire, quelli ufficiali, ma ve ne sono altri che accompagnano il cammino della fede, come il ministero della consolazione, il ministero della carità, il ministero missionario e molte altre forme che per ora i vescovi riconoscono di fatto, anche se non sono stati “istituiti”.

Un momento della celebrazione (Foto Riccardo Dellupi)
Le due pagine della Sacra Scrittura, rispettivamente la prima lettura con il profeta Isaia (11,1-10) e poi il vangelo secondo Luca (10,21-24) potrebbero essere intitolate: “I sette doni dello Spirito e gli occhi semplici del credente”. Ciò significa che per diventare e assumere un ministero della Chiesa, cioè un servizio a favore della fede degli altri, è necessario essere plasmati e lavorati dal di dentro dai sette doni dello Spirito, così si crei la condizione perché siano accolti dagli occhi semplici del credente.
Dei due aspetti si parla rispettivamente nel capitolo 11 del profeta Isaia, una delle visioni più belle di tutta la Scrittura, e poi nell’Inno di giubilo che abbiamo ascoltato nel brano di Vangelo, là dove Gesù, mentre scende di notte dal monte, esprime questa preghiera che rimane forse la più trasparente, più profonda, più sincera, più luminosa del Signore.

La basilica di Gozzano gremita per la celebrazione di conferimento dei ministeri (Foto Riccardo Dellupi)
- I sette doni dello Spirito
Che cosa sono i sette doni dello Spirito? Il brano che abbiamo ascoltato è composto da due parti, di cui la prima descrive l’abbondanza dell’effusione dello Spirito sul Re-Messia a cui vengono donate le virtù, le qualità del re giusto e ideale; la seconda parte contempla al futuro gli effetti di questo governo giusto e santo del Re-Messia, descritti come un nuovo paradiso – non più il paradiso terrestre dell’inizio – ma una realtà escatologica, nella quale si descrivono i tratti di un bambino, dell’uomo nuovo, che porta lo שָׁלוֹם – shalòm, la pace in tutto il mondo, descritta prevalentemente come pace dell’uomo col regno animale che diventa compagno della vita dell’uomo, del bambino regale.
L’immagine centrale della seconda parte è suggerita dal versetto:
“il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso”. (Is 11,8b)
Il primo serpente ha ucciso la buona relazione di Adamo con Eva, e dei progenitori con il mondo, con il lavoro, con la loro operosità. Qui il rapporto con il mondo viene restituito nella sua bellezza. Infatti, nel racconto anche il rapporto tra gli animali viene pacificato:
“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello;
il leopardo si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un piccolo fanciullo li guiderà.
La mucca e l’orsa pascoleranno insieme;
i loro piccoli si sdraieranno insieme.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue”. (Is 11, 6-7)
Alla fine della seconda parte viene detta una cosa importante, che si riferisce allo שָׁלוֹם – shalòm, come pace universale: «perché la conoscenza del Signore riempirà la terra».
perché la conoscenza del Signore riempirà la terra
come le acque ricoprono il mare. (Is 11,9b)
Nella prima parte abbiamo l’enumerazione dei doni che sono affidati al Re giusto e sono descritti con tre coppie di termini. Così risulta che i doni sono sei e non sette.
La prima coppia (hokma – bîna: sapienza e intelligenza) provengono dal mondo sapienziale e descrivono la saggezza nel governare e la capacità di guidare il popolo (la destrezza del fare). È l’immagine ideale di Salomone, che nella sua preghiera domanda la “sapienza nel governare” (1Re 3,10).
La seconda coppia (‘esa – gebûra: consiglio e fortezza) riguardano i doni del governo pratico: la prudenza nei momenti di pace, la fortezza e il valore militare nei momenti di conflitto. Anche qui sullo sfondo si ricorderà la figura ideale di Salomone, che nell’episodio delle due madri e del figlio conteso trova la soluzione che rivela i cuori. Anche la figura di Davide che lotta contro Golia è emblematica del valore regale.
La terza coppia dei termini (da‘at weyr’at: conoscenza e timore del Signore) sono i doni che descrivono l’atteggiamento profondamente religioso del re messia: il re conosce Dio, ha con lui la familiarità del figlio rispetto al Padre. Tutto ciò indica il sentimento religioso: il timore del Signore esprime l’aspetto di devozione e di dedizione all’alleanza, la pietà, il senso religioso, la disposizione dinanzi alla grandezza di Dio. Sullo sfondo è evocata la figura di Giosia, re religioso per eccellenza (2Re 23,25: 25 «Prima di lui non era esistito un re che come lui si fosse convertito al Signore con tutto il cuore e con tutta l’anima e con tutta la forza, secondo tutta la legge di Mosè; dopo di lui non ne sorse un altro simile»).
Dunque abbiamo sei doni, ma come accadde che poi siano diventati sette? Nella traduzione dei LXX, il testo di Isaia che abbiamo ascoltato al versetto 2 del capitolo 11, dice:
“Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelligenza, – prima coppia
spirito di consiglio e di fortezza, – seconda coppia
spirito di conoscenza e di timore del Signore”. – terza coppia
e poi segue una ripetizione:
“Si compiacerà del timore del Signore”:
Il traduttore greco trovava così due volte l’espressione timore del Signore: così traducendo in greco senti il bisogno di variare e di rendere in altro modo lo stesso termine – inserito nella terza coppia –. Il traduttore scrive εὐσεβεία che diventa lo spirito di pietà, cosicché noi leggiamo il sesto dono come “pietà” e il settimo come “timore del Signore”. Il Nuovo Testamento parla piuttosto dei “frutti” dello Spirito Santo e san Girolamo che traduce in latino la Sacra Scrittura recepisce la numerazione dei sette doni. I Padri della Chiesa riprendono il settenario e, infine, san Tommaso d’Aquino giungerà a collegarli integralmente alla struttura della vita cristiana.
Mi piace concludere questa riflessione sui sette doni dello Spirito Santo, come fosse un regalo per voi, citando sant’Agostino, il quale nel Sermo 148 dice sostanzialmente come questi doni lavorino dal di dentro l’uomo e la donna e li rendano capaci di accogliere il dono dello Spirito Santo:
«Questi doni sono le operazioni che suggerisce il numero sette a riguardo dello Spirito, il quale per discendere verso di noi, inizia con la sapienza e finisce con il timore. Per noi che dobbiamo ascendere, cominciamo con il timore e finiamo con la sapienza: perché l’inizio della sapienza è il timore di Dio».
Agostino comprende che i doni non sono “cose” date come si fa un regalo a un bambino, seppure in occasione della Cresima, ma descrivono il movimento che da Dio viene a noi e che dall’uomo sale verso Dio. Sant’Agostino stabilirà anche un parallelo tra le otto beatitudini nel discorso della montagna e i sette doni. Sarebbe interessante poter approfondire in un’altra occasione anche questo argomento.
Per servire la fede degli altri dobbiamo dunque essere persone che si lasciano trasformare profondamente dall’unico dono dello Spirito, che si sviluppa nelle sette “sfaccettature” che sono i sette doni i quali sostanzialmente si muovono in senso ascendente: partono dal basso verso l’alto, cioè dal timore di Dio, che è l’atteggiamento che non pretende di “mettere in tasca” l’amore di Dio, ma ne riconosce la distanza, e salendo passo passo attraverso gli altri doni termina con la sapienza. Le persone realmente sapienti sono infatti quelle che salgono su questa sorta di scala di Giacobbe che li porta verso l’alto.
- Gli occhi semplici del credente
La seconda pagina sulla quale meditiamo è tratta dal Vangelo. È un testo che amo molto e che ha al suo centro una profonda cristologia: va letto e assimilato con grande attenzione.
Gesù prega con un cantico di lode:
“Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra,
– è il Padre di tutti, anzi di tutta la creazione! –
perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. (Lc 10,21a)
Mi viene spontaneo confidarvi che nella mia vita ho frequentato molti dotti e sapienti, ma sia i dotti che i sapienti, così come i poveri e i piccoli si distinguono chiaramente secondo due grandi categorie: c’è chi lo fa e lo è, con profonda umiltà di cuore; o, al contrario, c’è chi lo fa e lo è, mettendo se stesso sul piedistallo di un “io” ipertrofico!
Gesù non dice che la sapienza è data ai piccoli e ai semplici, mentre ai sapienti e ai dotti è negata, quasi dividendo due categorie sociali, ma indica che la sapienza è data a tutti, nella misura in cui si fanno piccoli e semplici.
Ma come viene elargita la sapienza? Lo comprendiamo attraverso un versetto di passaggio, in cui Gesù dice:
“Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”. (Lc 21, 21b)
E di seguito afferma:
22Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. (Lc 21,22)
Un grande esegeta ha definito questo passaggio “un meteorite giovanneo precipitato nel testo dei sinottici”! Infatti, Giovanni ci dice che noi possiamo accedere alla sapienza di Dio, semplicemente con gli occhi semplici, che poi sono gli occhi del Figlio, lo sguardo di Gesù! E noi, nella misura in cui partecipiamo alla sua semplicità e alla sua piccolezza, possiamo partecipare alla conoscenza del Padre. Occorre che ci lasciamo conformare, cristificare. È necessario assumere in noi Cristo, per accogliere la sapienza del Padre. Così la sapienza di Dio, non sarà come intendiamo a volte la parola mistero, non sarà una realtà incomprensibile. Sarebbe come dire che l’amore della moglie e del marito, o dei genitori per i figli, sono incomprensibili perché sono un mistero… sono certo un grande mistero, ma non perché sono incomprensibili, ma perché sono un amore inesauribile. È incomprensibile per chi lo vive in modo possessivo, per chi vuole metterselo in tasca, vuole sequestrarlo, ma diventa inesauribile per chi vi si affida, per chi lo accoglie con fiducia, anzi detto più chiaramente con fede!
Tutto ciò che riguarda la relazione profonda dell’uomo con se stesso, con l’altro, con la natura, con il mondo e con Dio, ha questo carattere di inesauribilità. Per questo ci vogliono gli occhi semplici per comprenderlo. E, infatti, il testo subito dopo dice:
“E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete.
È così, cari amici: “non si vede ciò che c’è, ma c’è ciò che si vede!” Noi spesso non vediamo le forme semplici dell’amore, perché le riteniamo forme da concupire, da possedere, da manipolare, e non forme a cui affidarci nella prossimità, nella vicinanza, nella benevolenza, nell’attenzione, nella finezza…
Il mio augurio per voi questa sera, per diventare persone che si prendono cura della fede degli altri o nella forma del lettorato o nella forma dell’accolitato è il seguente: occorre ricevere i doni dello Spirito e avere gli occhi semplici. Una delle situazioni per cui provo più rammarico nel mio cuore, anche in questi ultimi tempi, è trovare persone doppie, non solo nella vita, ma doppie anche nel dire, dissimulanti nel parlare. Mi fa pensare che alla fine chi agisce in questo modo farà male a se stesso, sarà la vittima di sé stesso. A costui manca l’occhio semplice, si nasconde mentre ti parla; ti dice una cosa, ma ne pensa un’altra e non ha uno sguardo trasparente.
Chiediamo allora che il ministero che oggi ricevete sia per voi un momento di passaggio nel cammino verso il sacerdozio ministeriale, e che non vada perduto nel domani. O Signore, dona a questi dieci giovani i sette doni dello Spirito e gli occhi semplici!
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara