Il patto, il rito e lo Spirito eterno. Omelia del Corpus Domini

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Il vescovo Franco Giulio Brambilla, giovedì 3 giugno, ha presieduto in cattedrale la Solennità del Corpus Domini. Di seguito il testo integrale con le sue parole.

 

Il patto, il rito e lo Spirito eterno

Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo

Introduzione

La curva discendente dei casi di positività al virus, che negli ultimi quindici giorni si è abbassata improvvisamente, ci fa vivere questa festa del Corpus Domini cominciando a raccogliere i pensieri e i gesti, per immaginare cosa rimarrà dopo. L’Eucaristia di questa sera nella solennità del Corpo e del Sangue del Signore ci invita a farlo precisamente in rapporto al gesto centrale della vita della Chiesa. Un sacramento che sta così al centro da essere quel gesto che fa la Chiesa stessa. Infatti, se noi partecipassimo sempre bene alla messa, diventeremmo sempre meglio Chiesa. E il pensiero, o meglio la domanda, che attraversa tutti è cosa rimarrà dopo questi quindici mesi, cosa resterà di questo gesto centrale della vita cristiana?

Ci viene alla mente una polarizzazione tra l’esperienza fatta della ferita che ha attraversato tutti i nostri legami, per cui non potevamo stringere la mano a nessuno, non potevamo accarezzare una persona né riuscivamo ad abbracciarla e la nostalgia di tornare a fare questi gesti in modo nuovo.


Il patto, il rito e lo Spirito eterno

Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo
03-06-2021
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L’anno scorso, di questi tempi, erano desolanti le domeniche senza in giro nessuno, potendo partecipare alla messa solo attraverso la televisione o gli altri mezzi di comunicazione. Pensiamo all’impossibilità sperimentata dell’incontro tra famiglie; e tra queste, l’impossibilità delle giovani coppie di far visita ai propri genitori. Desolante e lacerante è stata anche l’esperienza di non poter stare accanto ai nostri cari, mentre vivevano gli ultimi istanti della loro vita. Un giovane mi ha raccontato oggi la morte del suo papà, ancora relativamente giovane, che non ha potuto neanche rivestire con la dignità di una vita laboriosa e per il quale non gli è stato concesso di compiere i gesti dell’ultimo commiato.

Pensavo pure a quei bambini diversamente abili che seguo da venticinque anni: essi conoscono solo il linguaggio della carezza, dello stare accanto e del tenerli stretti a sé. Com’era deprimente non potere comunicare attraverso il contatto del corpo per il timore del contagio! Tutto questo ci consegna il messaggio di quanto abbiamo bisogno di legami. Viviamo questa situazione come una ferita profonda che portiamo con noi e stasera la condivido con voi per quei legami che ancora non possiamo esprimere con i gesti della prossimità.

Tutte queste fratture e interruzioni ci hanno fatto comprendere che le azioni che conducono all’Eucaristia e che da essa si dipartono non sono gesti scontati. Non è neppure scontato ritrovare la gratuità di legami. Anche di questo forse c’eravamo dimenticati, perché non sono cose dovute, ma ogni giorno vanno accolte come un dono da valorizzare e da far crescere. Se rimanesse anche solo questa intuizione sarebbe molto importante e bello per la nostra vita.

La Parola di Dio di questa liturgia lo sottolinea attraverso tre espressioni che voglio evocare davanti a voi.

  1. Il patto e il rito

La prima è rappresentata da una bella scena: il popolo è già uscito dal Mar Rosso. È un popolo ormai libero, non ha più legami di dipendenza, ma non basta essere liberi da qualcosa, occorre sapere per che cosa si è liberi. Certo gli ebrei sono usciti dal Mar Rosso, non sono più schiavi in Egitto, ma tra questo e fare un popolo costruito su legami che lo fanno diventare davvero un popolo unito, diventano necessari un patto, una legge e un rito.

Infatti, la prima lettura (Es 24,3-8) ci dice che l’alleanza viene proposta al popolo con tutti i suoi comandamenti, e viene celebrata attraverso il rito del sangue che scorre tra l’altare centrale, segno della presenza di Dio, e le dodici stele che sono il segno delle dodici tribù d’Israele.

Si tratta di costruire un legame profondo dove circola lo stesso sangue, quel sangue che presso gli ebrei è considerato la sede della vita. Questo gesto è inteso come rito di comunione. Dunque, è molto importante, non basta essere liberi, ma bisogna costruire i legami.

L’Eucaristia ci consegna un messaggio simile, anche se per la verità, per una serie di dimenticanze che hanno ragioni storiche, l’abbiamo fatta diventare talvolta un tempo e uno spazio nel quale ciascuno andava a pregare individualmente. In seguito, non comprendendo più i riti e la lingua, ognuno diceva il suo rosario.  Si sperimentava una distanza tra il rito celebrato nel presbiterio e il rito come risuonava nell’assemblea. In questi ultimi sessant’anni qualcosa si è ricomposto, anche se talvolta si è rimasti solo alla superficie, valorizzando il rito solo o prevalentemente come gesto di socializzazione. Occorre, invece, che noi facciamo scorrere la vita tra i nostri legami. E usando le immagini che ho citato all’inizio, quando accarezziamo un bambino, quando ci abbracciamo, quando accompagniamo il nostro fratello defunto, quando ci scambiamo la visita tra una famiglia e l’altra, è molto importante che si sappia che tali gesti fanno circolare una vita che è più grande di quella che noi riusciamo a conquistare, a comprare, a custodire, perché è una vita che viene ricevuta in dono dall’alto, dal cielo, da Dio. E viene ricevuta attraverso un rito.

  1. La nuova alleanza

L’antica Alleanza, poi, trova nella nuova Alleanza, nel brano dell’ultima Cena (Mc 14, 12-16.22-26) la sua concretizzazione personale. Qui non è più il sangue di animali che circola come segno della vita comune tra l’alleanza con Dio e l’alleanza tra le tribù del popolo, ma è un sangue che rappresenta (rende presente!) il dono della vita, versato da Gesù per tutti. Dice infatti il testo:

Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per molti» (Mc 14,24)

 La nuova Alleanza non è più un rito esteriore – in verità neppure il rito degli antichi ebrei era realmente solo esteriore – ma prende forza da una persona. Gesù ci ha preceduto, aprendoci la strada perché tutti noi potessimo seguirlo nella sua scia. Noi da soli non saremmo riusciti a percorrere quella strada, tant’è che i nostri legami sono sempre un po’ fragili, sono sempre un po’ ambivalenti: uno può stringere la mano, ma anche schiacciarla; uno può accarezzare, ma anche dare uno schiaffo; tutti i gesti dell’amore possono diventare i gesti della gelosia e dell’odio. È lo stesso gesto, non un gesto contrario, che si stravolge; è la stessa parola che può essere una parola che comunica o una parola che nasconde; uno non dice verità e bugie, ma la bugia è una verità trattenuta, detta a metà, deformata, frammentata. Non dire tutta la verità è già una bugia. La bugia è una postura con cui ci nascondiamo all’altro, perché l’altro non entri in relazione con noi.

Allora abbiamo bisogno che Gesù ci preceda, perché diventi Lui il sangue della nuova ed eterna Alleanza. Per questo ogni domenica siamo invitati a venire qui. La domenica scandisce l’unità di misura della settimana; la settimana è la scansione delle quattro lune del mese. Così nello scorrere del tempo abbiamo bisogno di venire ad alimentarci ogni domenica. Ogni settimana è unica nella propria vita e non si ripeterà più. C’è dunque l’esigenza di ritornare per riprendere energia, perché la vita del Signore trapassi, ci raggiunga, entri nelle vene, diventi carne della tua carne, sangue del tuo sangue, capace di correggere e sostenere continuamente tutti i gesti di vicinanza, di legame, per trasformarli in gesti che costruiscono comunione, perdono e amore. Costruire legami è difficile: senza la sua presenza, data in sacrificio, i nostri legami resterebbero inesorabilmente fragili.

  1. Mossi da uno Spirito eterno

Per fare questo allora ci viene in soccorso un’espressione strana, che ho avuto la fortuna di apprezzare, quasi di gustare, leggendo un grande biblista, oggi cardinale, Albert Vanhoye. Egli nel suo commento al brano della Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato come seconda lettura, mette in luce un singolare aspetto:

Se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, – riferendosi ai riti dell’Antico Testamento – li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? (Eb 9,13-14a)

Come si può far trasformare il gesto di Gesù, che dà la sua vita per noi, nel nostro gesto, con il quale, magari non proprio come Gesù, ma comunque tentando di imitarlo, riusciamo anche noi a sostenere e a comunicare un frammento di vita? Mossi dallo Spirito eterno. Tale trasformazione che avviene in noi è un atto spirituale, è l’opera dello Spirito Santo!

A tal proposito san Tommaso d’Aquino si esprime in un modo geniale che successivamente è stato talvolta frainteso: se la manducatio sacramentalis, cioè mangiare il Pane consacrato, non diventa manducatio spiritualis, un mangiare spirituale, a nulla vale[1] Noi invece, soprattutto negli ultimi due o tre secoli, abbiamo fatto sì che la comunione spirituale fosse presentata talvolta come un surrogato o un doppione di quella sacramentale!

San Tommaso aveva intuito che il modo con cui il gesto di Gesù – donare la sua vita – diventa il nostro gesto può essere solo un’opera dello Spirito dentro di noi. È un’azione attraverso la quale lo Spirito rende duttile, sciolta, flessibile, elastica la nostra libertà, perché diventi capace di fare gli stessi gesti, la carezza, l’abbraccio, la visita ai parenti, tutti quei gesti che costruiscono legami di vita attorno a noi, facendoli diventare gesti che costruiscono la vita, la vita divina che trasforma la povertà dei nostri gesti umani e li trasforma in azioni di carità, perdono, benevolenza, amore cristiano.

Conclusione

Questa sera andremo a casa, ma prima cercheremo di ricevere la Comunione, ricordandoci che la manducatio sacramentalis ha bisogno di entrare nel profondo di noi con la manducatio spiritualis, con quella forma dell’assimilazione dove il pane eucaristico non viene assimilato in noi, ma al contrario ci assimila, mediante il rito, alla vita donata del Signore Gesù. A tal proposito, nella Bolla di Urbano IV, Transiturus de hoc mundo, con la quale si istituì la festa del Corpus Domini, e che lo scorso anno avevo già menzionato e commentato, si dice:

Questo pane si prende, ma non si consuma; si mangia, ma non si tramuta: perché non si tramuta affatto in chi lo mangia, ma, se è ricevuto degnamente, è chi lo riceve che diventa ad esso conforme.

Hic cibus sumitur, sed non consumitur, manducatur, sed non transmutatur, quia in edente minime transformatur, sed si digne recipitur, sibi recipiens conformatur.

Questa è la manducatio spiritualis! È un cibo che ci assimila in Lui, per renderci sciolti ed elastici nella nostra vita, per diventare uomini e donne, capaci di costruire buoni legami, uomini e donne del culto spirituale e della carità, uomini e donne che fanno e sono la Chiesa che nasce dall’Eucaristia!

 

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara

 


[1]

San Tommaso, infatti, s’interroga sulla seguente questione: se si debbano distinguere due modi di ricevere il corpo di Cristo, cioè quello spirituale e quello sacramentale (Summa Theologiae, Pars Tertia, q. 80, art. 1, ad 2. e ad 3). Nella prima risposta egli collega strettamente la manducatio sacramentalis e quella spiritualis (ad 2); nella seconda accetta la sola manducatio spiritualis facendo un parallelo con il battesimo di desiderio o in voto (ad 3). Egli suppone una situazione di impossibilità o di seria difficoltà ad accedere all’Eucaristia.

Ad secundum dicendum quod sacramentalis manducatio quae pertingit ad spiritualem, non dividitur contra spiritualem, sed includitur ab ea. Sed illa sacramentalis manducatio contra spiritualem dividitur quae effectum non consequitur, sicut imperfectum quod non pertingit ad perfectionem speciei, dividitur contra perfectum. La manducazione sacramentale che giunge ad essere spirituale non si contrappone a questa, ma è inclusa in essa. Invece si contrappone alla manducazione spirituale quella sacramentale che non raggiunge il suo effetto: come si contrappone alla cosa perfetta quell’essere imperfetto che non raggiunge la perfezione della specie.
Ad tertium dicendum quod […] sicut aliqui baptizantur Baptismo flaminis, propter desiderium Baptismi, antequam baptizentur Baptismo aquae; ita etiam aliqui manducant spiritualiter hoc sacramentum antequam sacramentaliter sumant. Sed hoc contingit dupliciter. Uno modo, propter desiderium sumendi ipsum sacramentum, et hoc modo dicuntur baptizari et manducare spiritualiter et non sacramentaliter, illi qui desiderant sumere haec sacramenta iam instituta. Perciò come alcuni ricevono il battesimo di desiderio, per la brama del battesimo prima di essere battezzati con l’acqua, così alcuni si cibano spiritualmente dell’Eucarestia prima di riceverla sacramentalmente. Questo però può avvenire in due modi. Primo, per il desiderio di ricevere il sacramento stesso: e in tal modo si battezzano e si comunicano spiritualmente e non sacramentalmente quelli che adesso desiderano di ricevere questi sacramenti dopo la loro istituzione.

Il Concilio di Trento ha ripreso esplicitamente questo insegnamento nel Decreto sull’Eucaristia, cap. 8, con un intento prevalentemente descrittivo, perché i tipi di manducazione illustrati sono diventati tre: la manducazione solo sacramentale (negativa e condannabile), quella solo spirituale (positiva, ma solamente di desiderio), e quella sacramentale e spirituale insieme (con la preparazione e con l’abito della grazia). Il Catechismo romano, riprende, quasi di peso, in modo più pastorale questa triplice distinzione, introducendo però una felice sottolineatura finale: «si privano di beni immensi e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente».

Quoad usum autem recte et sapienter patres nostri tres rationes hoc sanctum sacramentum accipiendi distinxerunt. Quosdam enim docuerunt sacramentaliter dumtaxat id sumere, ut peccatores; alios tantum spiritualiter, illos nimirum, qui voto propositum illum caelestem panem edentes, fide viva, quae per dilectionem operatur” (Gal 5,6), fructum ejus et utilitatem sentiunt; tertios porro sacramentaliter simul et spiritualiter (can.8); ii autem sunt, qui ita se prius probant et instruunt, ut “vestem nuptialem induti” (cf Mt 22,11ss) ad divinam hanc mensam accedant.

(DH 1648)

Quanto all’uso poi, i nostri padri i nostri padri distinsero giustamente e saggiamente tre modi di ricevere questo sacramento. Insegnarono infatti, che alcuni la ricevono solo sacramentalmente, come peccatori; altri solo spiritualmente, e sono quelli che mangiando quel pane celeste solo con un atto di desiderio, per la fede viva, «che opera per mezzo della carità» (Gal 5,6), ne traggono frutto e vantaggio; i terzi lo ricevono sacramentalmente e insieme spiritualmente (can.8), e sono coloro che prima si esaminano e si preparano in modo da accostarsi rivestiti dell’abito nuziale (cf Mt 22.11ss) a questa mensa divina.

(DH 1648)

Catechismo Romano, 229. Tre modi di ricevere l’Eucaristia

Si deve poi insegnare chi siano quelli che sono in grado di ricevere i grandi frutti dell’Eucaristia ora ricordati. Ed è necessario prima di tutto spiegare che ci sono varie maniere di comunicarsi, affinché i fedeli desiderino la migliore. Sapientemente i Padri nostri, come leggiamo nel Tridentino, hanno distinto tre modi di ricevere questo divino sacramento.

Taluni, e cioè i peccatori, ricevono soltanto sacramentalmente i sacri misteri, in quanto non hanno terrore di riceverli con labbra e cuore impuri. Di costoro l’Apostolo ha detto che mangiano e bevono indegnamente il corpo e il sangue del Signore (1Co 11,29). E sant’Agostino ha scritto che colui, il quale non si trova in Cristo e Cristo in lui, non mangia certo spiritualmente la sua carne, sebbene in modo carnale e visibile stringa con i denti il sacramento del suo corpo e del suo sangue (In Jn tract. 26,18). Coloro pertanto che, cosi mal disposti, ricevono i sacri misteri, non solo non ne traggono frutto, ma, per sentenza di san Paolo, mangiano e bevono la propria condanna (1Co 11,29).

Altri ricevono l’Eucaristia solo spiritualmente; e sono quelli che, animati dalla fede viva che opera per mezzo della carità (Gal 5,6), si nutrono di questo pane celeste con i desideri e i voti ardenti, riportandone se non tutti, certo i più grandi vantaggi.

Vi sono infine altri che ricevono l’Eucaristia sacramentalmente e spiritualmente: e sono quelli che, seguendo l’avviso dell’Apostolo, hanno prima provato se stessi e indossato la veste nuziale, per poi avvicinarsi alla sacra mensa, riportandone tutti i copiosi e utilissimi benefici sopra ricordati. È evidente però che si privano di beni immensi e celesti coloro che, pur potendosi preparare a ricevere il sacramento del corpo del Signore, si contentano di riceverlo solo spiritualmente.