Il senso religioso oggi. Messa in ricordo di don Giussani

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La celebrazione ad Arona per don Giussani (Foto Andrea Avveduto)

Nella serata di martedì 1° febbraio, nella Collegiata di Santa Maria Nascente ad Arona, il vescovo Franco Giulio ha presieduto una messa di suffragio nell’anno del centenario della nascita di don Luigi Giussani, educatore, teologo e fondatore di Comunione e Liberazione. Alla celebrazione erano presenti i gruppi del movimento provenienti da tutta la diocesi. Di seguito il testo integrale.

 

 Il senso religioso oggi

Messa in suffragio di don Luigi Giussani Fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione

 

Essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare” (Mc 5,21-43).

 

La circostanza che ci fa incontrare oggi per celebrare l’Eucaristia in suffragio di don Luigi Giussani ricorda i cento anni dalla sua nascita. Avviene in un momento particolarmente delicato per il cammino del Movimento di Comunione e Liberazione. Per questo come persona che vi vuole bene, come vescovo e vostro pastore, ho riflettuto molto su ciò che mi sta a cuore e che intendo dirvi.


Il senso religioso oggi
Messa in suffragio di don Luigi Giussani Fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione
01-02-2022
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  1. Riscrivere il senso religioso per l’uomo indifferente

Scelgo di formulare ciò che ho pensato in un modo positivo, con l’animo affettuoso e partecipe per questo momento, nel quale dovremmo essere capaci, tutti insieme, naturalmente soprattutto con chi sarà scelto alla vostra guida, di riscrivere Il senso religioso (Jaca Book, 1966, 1986), l’opera fondamentale di don Giussani. La sfida attuale – mi sembra – è di ripensare questo testo e di riscriverlo non più per i non credenti, ma per gli indifferenti. Formato alla scuola di teologia di Venegono, a partire dagli anni ’50 del Novecento, don Luigi – almeno fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino – aveva come interlocutore l’uomo delle grandi ideologie, il non credente, prevalentemente sotto l’influsso della cultura francofona. Don Giussani conosceva bene la letteratura francese, in genere il filone esistenzialista, capeggiato in Francia da Sartre, con cui disputavano autori come Bloy, Mauriac, Bernanos, Maritain, Marcel, Mounier, Mouroux. Essi cercavano di scavare e scovare nell’esperienza umana – parola chiave per Giussani – quel senso religioso che aveva come sguardo, come mira, come destinatario colui che si era allontanato dalla fede e dalla chiesa, il non credente o il mal credente, talvolta anche di sensibilità socialista e marxista.

In quell’epoca nacquero anche nuovi istituti religiosi, simili a quello che seguo anch’io da tanti anni chiamato a curare bambini disabili. Iniziò nel 1946, nel contesto dell’Italia tutta da ricostruire, su richiesta di un professore dell’Istituto Neuropsichiatrico Besta di Milano, che aveva rilevato il bisogno di formazione dei ragazzi e giovani disabili. Egli affermava che da parte sua li avrebbe curati, ma chiedeva aiuto per la loro educazione. Lo trovò in alcune donne, che all’inizio studiarono pedagogia, le quali diedero inizio a “La Nostra Famiglia”, dietro l’ispirazione e l’impulso del Beato Luigi Monza, per curare tutte le disabilità, psichiche e fisiche, di bambini, ragazzi e giovani, dall’infanzia fino ai diciotto anni. Pensate che questo fu un dirottamento dalla primitiva intenzione di questo gruppo di donne, che volevano invece, anche loro, dedicarsi alla formazione delle masse, soprattutto operarie, che allora sembravano allontanarsi dalla fede. Era evidente l’influsso della Mission de France.

Dunque, quello fu un periodo magico, perché l’interlocutore, determinato e forte, era l’uomo moderno, ateo o miscredente, che si distanziava dalla fede. Ma dal 1989, con il crollo del muro di Berlino, è avvenuta la caduta delle ideologie, e forse non ci siamo resi conto che nel fragore della caduta sono venuti meno anche gli ideali – ideale e ideologia hanno la stessa radice. Di per sé la parola ideologia, in tedesco è Weltanschauung, cioè mondovisione, non è un termine negativo e può avere un’accezione che apre al confronto serrato anche tra idee diverse e contrastanti, ma che avviene tra interlocutori forti. Dopo il crollo del muro, la caduta delle ideologie-ideali prima ha lavorato sottotraccia, ma poi è stata accelerata probabilmente anche da una disponibilità travolgente di beni e di consumi.

Non so se avete letto il volume di Zygmunt Bauman (1925-2017) Consumo, dunque sono, che è la traduzione dell’originale inglese Consuming life (2007), vale a dire “Vita di consumo”. Sfogliando questo testo si vede avanzare un’altra dimensione dell’umano, in cui però è difficile scavare dentro il senso religioso, cioè si vede emergere la figura dell’uomo indifferente, inappetente, non tanto perché gli manchino i beni, ma perché ne ha fin troppi, ne ha a disposizione in eccesso. È il tipo d’uomo, che per percepire un qualche elemento di novità nella propria vita, tiene in mano una sorta di termometro psichico che misura continuamente la temperatura di come sta. Naturalmente la cifra per dire questo è chiedersi se si è felici, o, detto in altro modo, domandarsi qual è la qualità della vita. E, tuttavia, tale nuova situazione rappresenta un grande problema: ad esempio per il giovane prete, che si interroga su cosa proporre ai giovani d’oggi che restano indifferenti, e a cui non passa neppure per la testa la domanda religiosa. Come spiegare allora oggi il senso religioso? E dirlo in forma persuasiva all’uomo inappetente, indifferente, annoiato, che vive giorno per giorno? Ho letto, in un articolo, un’intervista dove si chiedeva, con ironia, a un uomo medio qual era il senso della sua vita. Egli rispondeva che si alzava il mattino per andare al lavoro, rientrava a casa la sera; il sabato giocava a tennis, il fine settimana lo passava con moglie e figli e… lunedì riprendeva a lavorare! Questa era il “senso” della sua vita. Non vedeva oltre.

  1. La prima forma del senso religioso

Il Vangelo proposto in questo giorno, lunedì della quarta settimana del Tempo Ordinario, ci offre nondimeno due possibilità per questa riscrittura del senso religioso. È un lungo racconto, che amo molto e che mi permette di offrirvi qualche riflessione che sento assai profondamente. È un racconto costruito a sandwich: inizia con la narrazione dell’incontro con il capo della sinagoga che viene da Gesù con la richiesta di ridare la vita a sua figlia. Il brano è conosciuto come la risurrezione della figlia di Giairo. Nel mezzo, e quindi interrompendo la prima parte del racconto, si inserisce ad intarsio l’episodio della guarigione dell’emorroissa, una donna afflitta da perdite di sangue, che aveva anche subìto molte cure da diversi medici in modo inconcludente. Nella versione di Luca l’evangelista sembra compiere una sorta di autocritica, presupponendo, come vuole la tradizione, che egli fosse anche medico! Tornando alla versione vivace e toccante di Marco, l’evangelista ci presenta in sostanza due forme del senso religioso, cioè dell’accesso alla fede, che sono intarsiate a sandwich, così come accade per la configurazione del racconto.

La parte esterna della narrazione è incentrata su una frase molto bella:

“«La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»”. (Mc 5,23)

Il capo della sinagoga, Giairo, cerca la vita per la figlia, perché la sua bambina sta morendo. Oggi, stiamo un po’ morendo anche noi! Questa è la forma della fede che mira a ritrovare l’urto della vita (non solo il suo “senso” o la “ragione”), cioè la vita in pienezza. È opportuno allora rilevare fin d’ora che l’episodio della fanciulla termina con una chiusa bellissima:

“Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare”. (Mc 5,42-43)

Qualche esegeta afferma che questo accenno indicherebbe il passaggio all’Eucaristia (e disse di darle da mangiare): comunque indica il passaggio alla vita adulta che al tempo corrispondeva al compimento dei dodici anni. Gesù si preoccupa che la restituzione alla vita riguardi l’umano tutto intero. Ecco, allora, che un primo binario è quello di scavare il senso religioso dentro ciascuno di noi, per trasmetterlo a coloro che ci stanno attorno, ammonendoli a non dimenticare che tutti, uomini e donne, si muovono, strepitano, si deprimono, ripartono, faticano, sono nella paura e sono chiusi in casa da due anni, ma devono guardare in faccia i ragazzi che hanno perso inevitabilmente questo tempo, soprattutto i giovani chiamati a passaggi importanti: dalla quinta elementare alla prima media, dalla terza media alle superiori, dalle superiori all’università. Questi giovani hanno perso l’occasione irrepetibile di vivere, ad esempio, il periodo dell’uscita dalla minore età passando all’età adulta, di essere matricola, di assumersi nuove responsabilità, con tentativi più o meno azzeccati.

Questa, allora, è la prima forma della fede, quella per cui noi dobbiamo in qualche modo trasmettere che il senso religioso fa emergere dentro di noi il desiderio, o meglio la nostalgia della vita in formato grande. Quando tale desiderio esplode in un giovane, molti sono i tentativi e i fallimenti, perché egli sovente riempie il desiderio di surrogati e di prove iniziatiche, che sono spesso a rischio della vita. Sappiamo noi ascoltarli e sentire il grido che si sprigiona dai loro silenzi e dai loro gesti!?

La prima parte del racconto s’interrompe sulla richiesta del capo della sinagoga:

“«La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva»”. (Mc 5,23)

Anche in questo passaggio è bello annotare la dimensione storica e corporea del gesto richiesto a Gesù, del contatto con il Maestro che deve venire a imporle le mani.

  1. La seconda forma del senso religioso

 

A questo punto, il racconto s’interrompe con la presentazione della seconda modalità della fede. Nel mezzo della narrazione, è incastonato l’episodio dell’emorroissa, che potremmo denominare la forma della “fede che tocca”.

“Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello”. (Mc 5,25-27)  

Anche in questo caso si deve rilevare come l’evangelista annoti il modo con cui la donna si accosta a Gesù – da dietro – perché esprime la forma della fede che nasce dal bisogno, che ha l’esigenza del toccare. Non incontra Gesù direttamente, ma gli si avvicina alle spalle. Infatti, dice la donna tra sé e sé:

“«Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata»”. (Mc 5,28)

Il narratore sembra condividere tale approccio “magico” della fede. Eppure Gesù non scansa la donna che vuole solo toccarlo, anzi la guarisce. Annota il racconto:

“E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo (della donna) corpo che era guarita dal male”. (Mc 5,29)

Gesù per guarirla non richiede alla donna “l’altra” fede, non domanda subito di passare dalla fede che tocca alla fede che incontra. Prima le fa il dono gratuito della guarigione. È un dono inequivocabile. In questo caso non può essere frainteso il modo di agire di Gesù. Poi continua il racconto:

“E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui – l’evangelista sembra dar credito a tale interpretazione magica della fede, con una comprensione quasi “energetica” della forza uscita del suo corpo – si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»”. (Mc 5,30-31)

Il racconto è quanto mai realistico nella sua descrizione. Qui l’episodio dell’emorroissa raggiunge il suo massimo di tensione, con l’enfasi sull’intervento dei discepoli che non capiscono e sottolineano in modo paradossale che tutti spingono e premono da ogni parte, mentre Gesù vuol sapere chi l’ha toccato! Chi cioè gli si è accostato con la pretesa della “fede che tocca”, che ruba la guarigione a Gesù, cercando di possederne la forza taumaturgica, trattandolo quasi come uno stregone!!!

“Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti”. (Mc 5,32-33)

A tutti noi rimarrà sempre nel cuore lo sguardo panoramico e fulminante di Gesù (Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo). Poi la donna, che prima gli si era accostata da dietro, ora si presenta e si getta “davanti” a Gesù. La donna sta passando dalla fede che tocca alla fede che incontra, dalla fede come bisogno alla fede come relazione che mette dinanzi a Gesù. Ora può dirgli “tutta la verità”! Quanti ne abbiamo incontrati anche noi sulla strada, a cui abbiamo rimproverato di avere una fede spuria, una fede che nasceva solo dal bisogno e li abbiamo rimandati a casa…

Ora bisogna dire con coraggio: la fede nasce come bisogno! Anch’io, se avessi una malattia grave, incomincerei a dire: “Signore, ho bisogno di Te”. Poi spero di saper fare il secondo passo: “Signore, mi fido di Te!”. Per arrivare, infine, tremante al passo finale: “Signore mi affido a Te!”. Magari ciò accadrà solo l’ultimo giorno… ma sarà il giorno in cui sarò toccato dalla grazia! Questo è l’altro cammino della fede. È il cammino del senso religioso da scavare nell’uomo indifferente, inappetente, annoiato, deviato, disperso, frammentato.

  1. L’intreccio della duplice forma della fede

Riprende ora il racconto sinora rimasto in sospeso della figlia di Giairo. La prima notizia è agghiacciante:

“Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?»”. (Mc 5,35)

Tutto sembra ormai perduto.

“Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo”. (Mc 5,36-37) 

La presenza di questi tre apostoli è il segno marcatore per indicare che sta succedendo qualcosa di importante (essi, e solo essi, sono presenti anche alla Trasfigurazione e al Getsemani).

“Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme»”. (Mc 5,38-38)

E, infine, la bambina si rialza. Il verbo che viene utilizzato in aramaico – Talità kum – è lo stesso che indica la risurrezione. La traduzione in italiano dice: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!» (in greco: «Τὸ κοράσιον, σοὶ λέγω, ἔγειρε»). Vale a dire: “Risorgi!”. Quando la comunità primitiva ascoltava questo racconto, sentendo lo stesso verbo della risurrezione, percepiva che la vita ridonata alla ragazza era la vita in pienezza, quella con la “V” maiuscola! Quella che anche noi stavamo cercando, con la prima e la seconda forma del senso religioso.

“E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni”. (Mc 5,42)

Gli Ebrei al compimento del dodicesimo anno, come accadde anche a Gesù al Tempio, entrano nella vita adulta. Ancor oggi hanno un rito che si chiama Bar mitzwah, per cui l’adolescente diventa “figlio del precetto”: significa che egli entra in modo attivo e passivo nella comunità sinagogale, può leggere la Torah, ma è anche soggetto ad essa. È diventato grande! In uno dei commenti che provenivano soprattutto dall’America Latina, che hanno molto sponsorizzato una lettura del testo evangelico come narrazione, facendo quindi sentire la vivacità e la forza insita nella Scrittura, si sottolineava che questo è il modo di raccontare… Così bisogna narrare storie di vita!

Riprendendo il punto da cui siamo partiti, cioè il momento delicato che Comunione e Liberazione sta vivendo, e portando a compimento quanto ho svolto nella mia omelia, vorrei concludere dicendovi una cosa importante. Nel futuro prossimo sarete chiamati a scegliere la vostra nuova guida. Bisognerebbe scegliere come punto di riferimento, non tanto qualcuno che abbia conosciuto direttamente don Giussani, ma uno che sia capace di far transitare dal momento iniziale, dallo “stato nascente”, dalla figura carismatica, per approdare al momento istituzionale, nel quale si trasmetta un’intuizione attraverso un racconto e un racconto che debba aprire il cuore degli altri all’intuizione originaria. Lo dico in forma di paradosso: bisogna cercare chi sappia “spiegare” (nel senso di “dispiegare”) don Giussani, non avendo cosciuto direttamente don Giussani! Forse vi sono ancora alcuni che in modo quasi “oracolare” possono dirci qual era il tono della voce del Gius, ma questo non è decisivo, anzi può diventare persino dissimulante, perché corrono il rischio di confondere il loro tono con la sua parola. Ormai sono sempre più numerosi coloro che lo devono conoscere attraverso le parole di chi magari non l’ha frequentato direttamente, ma è in grado ravvivare il tizzone ardente che cova sempre sotto la cenere del tempo. Costui, proprio questi, in-segnerà il carisma, cioè segnerà nella mente, nel cuore e nella vita di coloro che verranno in seguito a riattivare il rapporto delicatissimo che c’è tra parola detta e parola intesa, per non ripetere semplicemente forme e formule.

Il dramma di ogni carisma nuovo, quando bisogna trasmetterlo alla generazione che viene dopo l’origine, è sempre lo stesso: vendere formule. Questo non deve però allarmare. Basti pensare ad esempio che nel francescanesimo la stessa sfida è stata corsa ancora vivente san Francesco. In verità, anche riguardo a Gesù, è avvenuta una cosa simile negli scritti seriori del Nuovo Testamento, quando ormai non era più presente Gesù, come testimoniano le Lettere a Tito e a Timoteo, e gli Scritti pastorali del Cristianesimo nascente. Non bisogna avere paura di dirlo: occorre passare dal movimento all’istituzione! Con tanti auguri…

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara