Lo scorso 7 gennaio, il vescovo Franco Giulio Brambilla ha presieduto la messa solenne per la festa della Santissima Pietà di Cannobio, che segna la chiusura della celebrazioni per l’Anno Giubilare, nel V centenario del Miracolo. Di seguito il testo integrale.
Il triplice volto della compassione
V Centenario della Pietà
- Introduzione
Un caro e affettuoso saluto a tutti voi, che siete convenuti qui per celebrare il quinto centenario della Pietà di Cannobio. Questa sera giunge a compimento l’anno giubilare. Facciamo ancora una volta memoria del miracolo, del fatto prodigioso, che nel 1522 ha toccato il cuore e ha marcato come evento significativo quel tempo, in cui stava dilagando – aveva preso avvio solo due anni prima – la Riforma protestante. Così in questa zona di confine si comprende la “sottolineatura” di questo evento, operata poi con maggior forza nei decenni successivi da san Carlo Borromeo, che qui il 31 ottobre 1584 celebrò una delle ultime messe della sua vita. Poi andò ad Ascona per inaugurare il collegio Papio, nei giorni seguenti scese lungo il Verbano, probabilmente morì ad Arona la tarda sera del 3 novembre e fu portato, infine, a Milano lungo il Naviglio su uno dei grandi barconi impiegati a.u.f. (ad usum fabricae), per il trasporto del marmo di Candoglia nel cantiere del Duomo di Milano.
Il triplice volto della compassione
V Centenario della Pietà
07-01-2023
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Sono cinquecento anni che la comunità di Cannobio rinnova ogni anno quel fatto, impreziosito anche dalla suggestiva processione con i ceri, definiti popolarmente Luminèri, la quale accanto ad altre manifestazioni simili rimane uno dei pochi casi di devozione popolare nella nostra Diocesi e, in genere, del Nord Italia. Desideriamo allora raccogliere il messaggio sintetico di quest’anno giubilare, così particolare: mezzo millennio! E mi piace raccoglierlo attorno a tre significati contenuti nella parola, nel titolo, della Pietà di Cannobio, rappresentata nell’icona del piccolo quadretto, di 27 cm per 30 cm, che è l’“oggetto” singolare dell’evento prodigioso.
Quale significato ha la parola Pietà? Come è noto, la Pietà è una delle scene più rappresentate, ma con due denominazioni: la pietà e il compianto. Dopo la crocifissione, la deposizione di Gesù iniziando forse dal dodicesimo o tredicesimo secolo, e a seguire nei secoli successivi, sorge la creazione di raffigurazioni pittoriche o di gruppi statuari che rappresentano la Madonna che regge il corpo del Cristo morto, contornata dall’apostolo Giovanni e da altri personaggi, persino da una donna zigana che porta con sé un bambino. Come è possibile definire il termine “pietà” oggi, quando ha assunto una curvatura piuttosto negativa (si dice: fa pietà!)?
Oggi, al contrario, dobbiamo rilevare l’importanza del termine a tal punto che ad esempio nei paesi anglosassoni si è scritto molto su questa tematica commentando un termine simile che è quello di compassione (the compassion). Perciò raccogliamo il messaggio di quest’anno attorno a tre aspetti della compassione intesa come atteggiamento del cuore e della vita nei confronti dell’altro, nei confronti di se stessi e nei confronti del mondo. È un messaggio che assume tre aspetti diversi e complementari.
- La compassione verso l’altro
Il primo volto della compassione è quello più difficile, sta sotto i nostri occhi soprattutto nell’anno appena concluso, il 2022, ed è la compassione nei confronti dell’altro, soprattutto quando il rapporto con l’altro si trasforma in inimicizia, che addirittura produce la guerra. Fui molto colpito anni fa, quando il mio arcivescovo di Milano, il card. Martini, alla fine del suo episcopato milanese si ritirò nel 2002 a Gerusalemme. Tutti conosciamo l’alto profilo della sua personalità, e avendo anche una grande vocazione naturalmente ecumenica, nell’intento e nel desiderio di far dialogare tra loro diverse religioni in Palestina, in cui convivono le tre grandi fedi monoteiste – e quella cristiana è in minoranza – Martini sentì molto la difficoltà di far parlare e far accordare tra di loro soprattutto i diversi popoli del Medio Oriente e non solo per l’aspetto religioso.
Dicevo che fui molto colpito perché a un anno esatto dalla sua permanenza a Gerusalemme scrisse un articolo sul Corriere della Sera, nel quale affermava per prima cosa che fin tanto che tutte le religioni, ma anche tutti i popoli, non mettono al centro Dio, sarà difficile avere compassione dell’altro. Poi aggiungeva che fin quando ciascuno non si farà carico del dolore dell’altro, è difficile che possiamo far crescere dentro di noi la compassione, superando le forme dell’inimicizia, dell’aggressività, dell’offesa, dell’estraneità, dell’alterità dell’altro, fino all’offesa tragica della guerra. È questo il messaggio che vi lascio questa sera per dire il significato della compassione verso l’altro: farsi carico del dolore dell’altro.
Questo può accadere persino nelle nostre case, quando il marito, la moglie o i figli non si fanno carico del dolore di uno di loro, come se si fosse estranei. E solo quando uno si mette nella condizione dell’altro per farsi carico del suo dolore, della sua ferita, di ciò che lo tocca, di ciò che lo deprime, è possibile sciogliere i nodi che ci oppongono gli uni agli altri. La parabola evangelica racconta che solo il Buon Samaritano “ebbe compassione” del malcapitato, aggredito dai ladroni. Il verbo usato in greco si riferisce di solito a Dio, che “ha compassione” di noi, che è “mosso fin nelle sue viscere”, con cui com-patisce le ferite di ogni uomo che da Gerusalemme scende a Gerico.
Chiediamo davvero al Signore che il frutto del cinquecentenario della Pietà di Cannobio sia questo insegnamento sulla compassione nei confronti degli altri. La pietà esige finezza interiore, capacità di sintonia, sforzo di mettersi al posto dell’altro, per diventare sensibili alla compassione.
- La compassione verso se stessi
Il secondo volto della compassione è verso se stessi. Se stessimo alle statistiche oggi in media nei confronti di sé si nota un atteggiamento che potremmo definire “far finta che non…”, cioè la percezione che non sussista problema alcuno. Purtroppo ignorare il problema a lungo andare genera depressione, fatica interiore. La causa di tutto ciò sta nel guardarsi con occhi perfezionisti, con l’intento o la presunzione di primeggiare sempre, sapendo poi che la vita reale non è così. È difficile aver compassione di sé e l’unico modo per vivere bene questo aspetto è lasciarsi guardare con gli occhi della misericordia di Dio. È questo il secondo verbo, la seconda postura per vivere la vera compassione verso se stessi. In tal modo ognuno di noi trarrà fuori da sé le migliori energie nel momento in cui si lascerà guardare con gli occhi della misericordia di Dio. Si superano i sensi di colpa, se ci si considera con uno sguardo molto più grande: lo sguardo misericordioso con cui Dio ci guarda.
Il Suo è lo sguardo del Padre buono che vuole farci ravvedere dal compiere qualsiasi atto che ci faccia cadere nell’abisso, in cui qualche volta ciascuno di noi, ahimè, può precipitare. Se Dio è un Padre effettivamente buono, questo non significa che tollera tutto (non è un Dio a cui va bene tutto), ma che è compassionevole – com-passione –, in quanto è preso dalla passione di amore e non può non mettere in guardia il proprio figlio, che sta precipitando nell’abisso, quando per esempio diventa dipendente dalla droga, dalla ludopatia, dal sesso, dall’abuso di alcool. Certo Dio non lo guarderà solo con l’occhio che lo allontana dal pericolo, ma gli dirà anche che egli è “di più” dei suoi gesti, gli annuncerà che deve aprirsi alla speranza di un agire rinnovato e trasformante. Il primo sguardo attiene alla giustizia e il secondo alla misericordia.
Gli occhi della misericordia di Dio sono quelli che ci evitano di cadere nel pericolo (tu sei responsabile dei tuoi gesti), e tuttavia dischiudono spiragli di conversione e nuova vita (tu puoi fare qualcosa di meglio): questa è la misericordia! Se rientrando nelle nostre case, questa sera, nei prossimi giorni o lungo l’anno, fossimo capaci di vivere sotto l’egida di una misericordia giusta e di una giustizia misericordiosa, sicuramente scaturirebbero da noi energie nuove per la nostra vita e per il nostro impegno sociale. Molti oggi, come dice talvolta lo psicologo medio o qualche nostro amico, suggeriscono di tirar fuori la parte migliore di noi, ma sentiamo che così non accade nulla di nuovo. L’unica vera possibilità ci è data quando ci lasciamo guardare dallo sguardo compassionevole di Dio.
- La compassione verso il mondo
La terza e ultima forma della compassione è quella rivolta al mondo nel quale viviamo: penso ai nostri rapporti in famiglia, alle relazioni civili, sociali, alla realtà del comune, del paese e della nazione in cui abitiamo. Partiamo da un dato semplice per comprendere il punto a cui siamo arrivati. Quando avrete la possibilità, o dal cellulare o dal computer, collegatevi con qualsiasi blog. Non leggiamo solo il testo del post, ma anche i commenti al testo. Il risultato sarà sorprendente: tutti sanno tutto, tutti giudicano tutto, tutti sono professori per ogni cosa! Sentiremo il concerto dei leoni da tastiera, sicuri di essere impuniti, perché nascosti dietro un nome di comodo (nickname). Questo è solo l’epifenomeno che scatena l’energia, o meglio si dovrebbe dire, la schiuma bavosa che galleggia dentro il cuore di tante persone.
Qual è allora il terzo verbo, la terza azione che dice la compassione verso il mondo, nel quale viviamo? La risposta è: comprendere prima di giudicare. È difficile che l’atteggiamento che presiede alle relazioni più immediate, oppure mediate e sociali – potremmo chiederlo ai sindaci qui presenti – sia quello della comprensione, perché molti hanno indicazioni, suggerimenti e consigli da dare a tutti. Anche in questo caso quanta energia e quanta speranza può generare nell’ambito sociale il disporsi a comprendere prima di giudicare. Saranno le energie migliori a sprigionarsi, poiché se siamo nella disposizione di comprendere gli altri, tutti riusciremo a venirci incontro per fare insieme un tratto di cammino, un’azione comune, per convergere e costruire qualcosa insieme.
Oggi è arduo costruire qualcosa insieme. Per questo credo che la compassione verso il mondo, la natura, i fatti della vita, le relazioni sociali, le azioni comuni, sia quella di comprendere prima di giudicare. Da ciò verrà che il nostro agire comprensivo e non giudicante, diventerà uno stare nel mondo con un giudizio misericordioso, incoraggiante, capace di indicare vie nuove. Il mondo che ci sta davanti è veramente l’orizzonte del nostro sguardo compassionevole? Bisogna comprendere le situazioni, per poter cambiare le condizioni del mondo, perché nulla si risolve magicamente. Giudicare come se non fossimo abitanti della casa comune, può farci sentire forti e sicuri, ma ci lascerà con il gusto amaro di non avere preso su di noi la passione della vita e la sfida del nostro tempo.
Conclusione
La Pietà di Cannobio ci lascia questi tre messaggi: la compassione è un farsi carico del dolore degli altri; la compassione è lasciarsi guardare con gli occhi della misericordia di Dio; la compassione è un comprendere prima di giudicare. La Sacra Scrittura ci fornisce più strade per comprendere i volti diversi della compassione. Desidero che la gente di Cannobio e gli amici che sono qui presenti diventino capaci di assumere e di vivere questo triplice volto della compassione.
Così il nostro quinto centenario non sarà passato invano!
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara