Le due tavole di Madonna del Sasso

Facebooktwittermail

Lo scorso 3 settembre in diocesi è stata celebrata la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato con un pellegrinaggio da Pella a Madonna del Sasso. Al termine la messa presieduta dal nostro vescovo Franco Giulio Brambilla.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale della sua omelia.

 

Le due tavole di Madonna del Sasso

La Parola di Dio di questa XXII domenica del Tempo Ordinario ci consente di fare una breve riflessione che, per un verso, procede nella lettura quasi continua del vangelo di Matteo, che ci sta accompagnando in questo anno liturgico e, per l’altro verso, ci aiuta a focalizzaci sul motivo che oggi ci vede qui radunati e convenuti.

 La prima tavola

Il Vangelo proclamato oggi è come la seconda tavola di un dittico, accanto a quella della scorsa domenica. Nello sviluppo del vangelo di Matteo, come anche negli altri due sinottici, l’episodio della confessione di fede si colloca al centro del racconto, in posizione strategica. L’episodio narrato nel brano proclamato domenica scorsa (Mt 16,13-20) è ambientato a Cesarea di Filippo, quando Gesù pone la domanda: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo(Mt 16, 13b). È interessante, perché è Gesù stesso che pone la domanda circa la sua identità, non la lascia nelle nostre mani. Potremmo persino smarrirla, potremmo non sentirla, come càpita oggi alla maggioranza delle persone. Che senso ha oggi interrogarsi su chi è Gesù per me? Gesù pone testardamente ad ogni epoca e continua a riproporre anche oggi la stessa domanda. C’è un bel testo ne “I fratelli Karamazov” di Fëdor Dostoevskij, che è un romanzo nel romanzo, e che narra la scena del Grande Inquisitore. La lettura del testo è avvincente: a un certo momento del confronto drammatico, l’Inquisitore dice a Gesù presente e tornato dopo diciotto secoli: «Taci! (…) Perché sei venuto a disturbarci?»


Le due tavole di Madonna del Sasso
Omelia nella Giornata mondiale di preghiera per il creato
03-09-2023
Download PDF


Sì, è così! Lui viene a disturbarci, ponendoci sempre da capo la stessa domanda: “Chi dice la gente che io sia?”. Una domanda che è una sorta di inchiesta, di sondaggio, circa i pareri diffusi tra la gente. Le risposte che danno i discepoli dicono quanto si dice in giro: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti» (Mt 16, 14). Gli uomini, quando va bene, cercano al massimo uno che dica una parola, che non sia semplicemente la chiacchiera, ma che sia una parola profetica. Profetica non significa che sia capace tanto di predire il futuro, ma una parola che legge e interpreta il presente, che lo legge in profondità, che non fa scorrere la mano solo sulla superficie degli eventi, ma che ne legge le dinamiche profonde. Si tratta di individuare che cosa sta avvenendo in questo periodo, dopo i quasi tre anni persi sul nostro calendario e che risultano come pagine bianche. Gesù poi incalza e pone una seconda domanda: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16, 15). Non basta fare un’inchiesta su cosa dica la gente, occorre prendere posizione personalmente: chi sono io per te, chi sono io per voi? Che significato ho per te, come entro nel novero delle cose che fai normalmente nella vita? La domanda di Gesù è personale e personalizzante!

Poi solo nel Vangelo di Matteo segue questa scena, dopo che Pietro aveva risposto a nome di tutti i discepoli in modo esemplare con la forma più ampia: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16). È quasi una risposta “da catechismo”, perfetta. Gli altri evangelisti hanno semplicemente: “Tu sei il Cristo”, cioè il Messia. A questa risposta pregnante, Gesù risponde svelando a Pietro la sua identità. Gesù, quasi simmetricamente, ribatte: «E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Probabilmente, nel testo originale aramaico, il termine pietra era maschile: e quindi è come se Gesù avesse detto: “Tu sei sasso e su questo sasso, che sei tu, edificherò la mia Chiesa”. È efficace e bella una tale simultaneità! Infatti Pietro risponde a Gesù circa il valore della sua identità; e Gesù, per contro, gli risponde rivelandogli qual è la sua nuova identità, gli indica la sua funzione di sasso (pensate allo stupendo “sasso”, su cui è costruito il nostro Santuario), cioè egli dovrà essere roccia per la sua Chiesa. Questa, dunque, era la prima tavola del Vangelo di Matteo, che abbiamo sentito domenica scorsa.

 La seconda tavola

La seconda tavola è la pagina che abbiamo ascoltato nel vangelo di oggi. Inizia con il primo annuncio della passione: «Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21).

L’annuncio di Gesù probabilmente è per Pietro un pugno nello stomaco! In modo particolare per il primo degli apostoli, che si aspettava un messia che doveva venire con braccio forte e con mano distesa (cfr. Ger 32,21), un messia che avrebbe sbaragliato tutti. Così era l’attesa di molti in Israele, ed è per questo motivo che c’è discussione attorno alla domanda su cosa effettivamente attendessero i contemporanei di Gesù! Quale immagine avevano del messia atteso? È accaduto anche un fatto curioso: in ebraico la parola “Mashiah” è tradotta in greco con Christós-Χριστός, cioè “unto”, consacrato del Signore. La traduzione Mashiah con Christós non verrà più usata dagli ebrei dopo Cristo, perché era stata adottata dai cristiani, e non sarà tollerata per definire il Messia del Signore. Gli ebrei useranno ancora mashiah – מָשִׁיחַ, ma da allora in poi lo tradurranno con un altro termine greco eileménos/ειλεμένος, che significa il prescelto, il consacrato. L’uso del termine Messia-Cristo ha un significato ormai differente, ha preso un’altra direzione, quella indicata da Gesù. È un messia diverso, persino strano, perché non appare con braccio forte e disteso, non viene a sbaragliare il bene sul male, ma viene per passare attraverso il male, guarendolo dal di dentro con il bene. Il male non si asporta chirurgicamente come fosse un tumore, ma lo si guarisce lavorandolo e sanandolo dal di dentro. Sappiamo che anche quando c’è un male grave che va asportato, quanta cura ha bisogno prima, durante e dopo. Questa è una caratteristica propria del cristianesimo! Gesù porta la pecorella ferita in spalla; il buon Samaritano cura con olio e vino le ferite del malcapitato. Tutte le raffigurazioni evangeliche sono coerenti con l’agire che riguarda Gesù. Certamente ci piacerebbe un uomo-Dio che sbaraglia tutto il male: questa è l’immagine incarnata da Giovanni il Battista che ha parole forti verso chi non porta frutto o è una malapianta che perciò va estirpata.

Di fronte a questo cambio di scena la risposta di Gesù è chiara e ben nota, ed è facile da ricordare anche in latino: “Vade retro Satana!”. «Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai”» (Mt 16, 22). Pietro risponde in modo quasi sfrontato, ma ecco la reazione di Gesù: «Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: “Va’ dietro a me, Satana!”» (Mt 16,23). La nuova traduzione italiana si esprime così: “Va’ dietro a me, Satana!”, ma più chiaramente potremmo intendere: “Sta’ indietro un passo, cammina dietro me, perché se fai un passo avanti a me, se cerchi in qualche modo di superarmi, per essere tu il Messia, sei diabolico, cioè sei un satana”! Tutte le volte che noi cerchiamo di superare Lui, di camminargli davanti, di non essere come chi lo segue, diventiamo diabolici, cioè satanici. Facendo così, mettiamo al centro quei valori, quelle scelte e visioni della vita che pretendono di essere il bene che sbaraglia il male, vale a dire sono quelli che immaginano un messia potente e non un messia sofferente che si carica sulle spalle la fatica, il dolore, il limite, ma anche la gioia, la speranza, il desiderio di tutti gli uomini e di tutte le donne. Perciò Pietro deve stare un passo indietro, ecco perché Gesù aggiunge: «Tu mi sei di scandalo perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Gesù è colui che vive tutta la sua vita, pensata e vissuta secondo Dio, ma questa scelta è sempre minacciata da coloro che gli stanno intorno e che pensano al contrario secondo gli uomini.

Se non comprendiamo questa scena, non possiamo sentire le frasi che seguono. Con grande probabilità l’evangelista mette insieme alcune affermazioni di Gesù, che per la loro coerenza tematica potevano essere collegate tra loro, anche se dette in momenti diversi. La prima è la più famosa: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24). In media anche nella predicazione e nella catechesi di vescovi, sacerdoti, diaconi, suore e genitori, questa frase è caduta in disuso, perché è sempre sconvolgente dover commentare «… prenda la sua croce e mi segua!». La spiegazione è data da Gesù stesso nel loghion (detto) seguente: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25). Questo è allora il messaggio che oggi vi consegno con il seguito del Vangelo.

Stamattina ho visitato una parrocchia e durante la celebrazione della messa avevo tanti ragazzi davanti. Ho detto loro di fare provare a fare un esperimento: “Quando tornate a casa, prendete una moneta da un euro e nascondetela bene in un luogo solo a voi noto, con allegato il messaggio di tirarla fuori fra dieci anni! Vedrete che il vostro euro dopo dieci anni, avrà un valore… forse dimezzato!”. I ragazzi erano tutti incuriositi. Allora ho detto loro: se tu cerchi di tenere la tua vita stretta tra le mani, di possederla e di non spenderla, ma di nasconderla sotto il materasso o sotto la piastrella, essa perde inesorabilmente di valore. È solo spendendola, mettendola in circolo, che essa acquista valore. La certezza della mia affermazione non proviene né da me, né dal parroco, né del sindaco, ma è trasmessa innanzitutto dai genitori. Ce l’hanno insegnata il papà e la mamma, iscrivendola nella nostra carne, nella nostra mente e nel nostro cuore. La presenza della mamma ci dice che la vita è buona. Continua a ripetercelo fino all’ultimo giorno della sua vita. La mamma rappresenta l’origine buona della vita, perché ci dona il nutrimento e la fiducia della vita. E il padre cosa rappresenta? Siccome la vita è buona, il padre ci dice che dovremo spenderla. Se la mamma è la sorgente inesauribile della bontà della vita, il papà ci dice che la vita va spesa, va irradiata… Un tempo il padre insegnava e trasmetteva il proprio mestiere, ma attraverso il mestiere, la professione, veniva trasmessa la cosa più difficile che era il “mestiere di vivere”! Verso la metà del Novecento, secondo il grande studioso psicanalista Lacan, è avvenuto un fenomeno che egli chiama l’evanescenza del padre! Con l’acqua sporca del padre padrone, si è gettata via anche la sorgente del padre buono! La nostra è una società senza padri, cioè senza persone autorevoli che trasmettano il mestiere di vivere. Non solo la Parola di Dio ci parla della difficoltà a donare la vita, anche se essa ce lo dice con il linguaggio di Gesù che talora è forte e tagliente.

Sul balcone della Madonna del Sasso

Infine, vi chiedo di fare un piccolo esercizio per voi che siete ascesi fino a questo luogo incantevole. Al termine della Messa, quando uscirete, affacciatevi da balcone naturale della Madonna del sasso, con il suo meraviglioso spettacolo e chiedetevi se la natura, il mondo, il creato che stanno davanti ai vostri occhi, potrà essere trasmesso alle generazioni future, possedendolo, manipolandolo, sfruttandolo, immaginandolo come una cava di pietra?!? L’ultima e improbabile immagine che potrebbe venirci in mente, affacciati da questo santuario della Madonna del Sasso, è che sotto di noi vi sia una cava di pietre da sfruttare a nostro piacimento.

Davanti al nostro sguardo si squadernerà la meraviglia, sarà lo stupore a colpirci. Il bello è bello, sempre! Anche nei nuovi progetti per le nostre case dobbiamo avere la sapienza di dare il giusto spazio sia agli edifici che alla natura. Così è accaduto lungo i secoli: quando visitiamo questi luoghi siamo sempre meravigliati di come i nostri padri abbiano costruito chiese, monasteri e conventi in luoghi incantevoli. Persino nei luoghi più impervi! E commentiamo dicendo una banalità: che bei posti, dimenticando che furono costruiti a mano, senza la tecnologia di oggi!

Un tempo c’era un rapporto di stupore, di meraviglia, di attenzione nei confronti della natura. Allora, facciamo questo esercizio: mentre ci specchieremo nella bellezza del creato, anche la nostra vita non dovrà possedere e sfruttare le cose, ma essere capace di apprezzare ciò che è bello e buono, come la bellezza della giornata che abbiamo trascorso insieme in cammino con altre persone. Perché una cosa è certa: come ci specchiamo nella natura, così essa si riflette nella nostra anima.

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara