«Noi, per l’aspetto più importante della nostra esistenza, non siamo fatti per morire, ma siamo fatti per vivere. Siamo uomini e donne per la nascita, anzi per la rinascita. La nostra vita è fatta di continue rinascite!», «E tale debito di gratitudine non è solo un vago ringraziamento, ma per il fatto che io ci sono, significa che una mamma, un papà mi hanno pensato, voluto, amato. Questa è la prima e fondamentale certezza della vita. Questo è il dono di grazia! Questo è ciò che è immacolato nella vita di ogni persona. Per Maria lo è radicalmente per la grazia che ha avvolto tutta la sua vita, per noi lo diventa come figli adottivi». Lo ha detto il vescovo Franco Giulio nell’omelia per la solennità dell’Immacolata Concezione, nell’omelia durante la messa presieduta in cattedrale.
La sua grazia e la nostra vulnerabilità
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
08-12-2020
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Un invito, il suo, ad un cambio di sguardo sulla propria condizione di uomini, una rivoluzione di paradigma che fa passare dal guardarsi come esseri “mortali” al concepirsi come esseri “natali”, animando la propria esistenza di questa nuova consapevolezza, che riconosce non solo la vita come dono, ma dono di grazia che consente di generare e rigenerarsi nelle difficoltà, paure e dolori di questo tempo di pandemia.
Di seguito il testo completo dell’omelia.
La sua grazia e la nostra vulnerabilità
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Due parole illustrano bene il senso della solennità dell’Immacolata Concezione di quest’anno: si celebra nove mesi prima della festa della Natività di Maria, che ricorre esattamente l’8 settembre. Sono due espressioni che si trovano nei testi che abbiamo ascoltato, rispettivamente l’una nel Vangelo (Lc 1,26-38) e l’altra nella prima lettura tratta dalla Genesi (Gen 3,9-15.20).
La prima parola, che abbiamo commentato già altre volte, viene dal Vangelo ed è il saluto dell’angelo a Maria. Dice il testo:
Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». (Lc 1,28b)
Un saluto che aveva avuto alcune prefigurazioni nei profeti – ben tre profeti (Sof 3,13-14; Gl 2,21-27; Zc 2,14) usano un’espressione simile, e tra tutti ricordo Sofonia – ed è per questo che si giustifica la reazione preoccupata di Maria. Nel testo di Sofonia si dice infatti: «Rallegrati, figlia di Sion… il Signore è in mezzo a te» (Sof 3,13.14). In quel caso il profeta si riferisce a Gerusalemme, immaginata come una donna – più esattamente il testo ebraico dice che il Signore è presente “nel tuo seno”, intendendo il punto più intimo del popolo santo – e annuncia quindi la presenza di Dio nella vita di Maria, a favore di tutto il popolo di Dio. Quello dell’angelo è perciò un messaggio di grazia, il dono della presenza stessa di Dio, tant’è vero che nel saluto angelico, al posto del nome, c’è “piena di grazia”! Il nome di Maria, esplicitamente, ricorrerà solo nel secondo intervento dell’Angelo nel vangelo che oggi abbiamo ascoltato.
Nella prima lettura invece, abbiamo letto l’episodio, molto conosciuto, ma anche molto banalizzato, tratto dal capitolo 3 della Genesi. Ci presenta Adamo ed Eva che provano il frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino, l’albero del bene e del male. L’uomo e la donna nel giardino, facendo questo gesto, vogliono mettere alla prova da sé ciò che è bene o male – non è proibito conoscere il bene e il male, è vietato diventare noi stessi il criterio e l’unità di misura del bene del male, perché alla fine si sceglierà sempre per il “proprio” bene, il bene a proprio favore. Ebbene, dopo questa scena, la ripresa del capitolo 3 racconta:
“Il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «(Adamo) Dove sei?» (Gn 3,9)
Da un lato, nel Vangelo di Luca abbiamo una presenza che si fa vicina, addirittura si rende presente nel punto più intimo; dall’altro nel testo di Genesi c’è Adamo che ha perso il suo posto nel giardino, anzi afferma, scusandosi:
«Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». (Gn 3,10)
L’uomo scopre la sua nudità, la sua solitudine, e deve nascondersi prima di tutto a se stesso, poi agli altri e a Dio. Una parola, dunque, di relazione, da una parte; e una parola invece di nudità e solitudine, dall’altra. È l’esperienza che noi tutti stiamo facendo in questi giorni, nei quali abbiamo sperimentato, non solo di essere nudi, ma anche di essere poveri e spesso soli. Così come abbiamo ascoltato il dramma di molte persone costrette alla solitudine di fronte al passaggio definitivo della vita.
Queste due parole suscitano in noi una riflessione che ci aiuta a comprendere che cosa significa in effetti il mistero dell’Immacolata Concezione: la vita di Maria è circondata, è preceduta, è anticipata dal dono di grazia di Dio che la protegge – un tempo si parlava di “privilegio”, che non è, però, un privilegio che esclude dagli altri – che la custodisce dall’influsso nefasto dal peccato, in cui vengono al mondo i figli di Adamo. Così gli uomini scoprono di essere soli, nudi e disarmati, senza risorse e soggetti al dolore. Noi abbiamo percorso lungo questi settant’anni una sorta di cavalcata attraverso il progresso e nel giro di poco tempo ci siamo scoperti fragili e vulnerabili!
- Questa esperienza della prossimità di Dio che si rende presente nella nostra vulnerabilità ci farà scoprire il lato positivo che deve animare i nostri pensieri in questo mese, durante il tempo di Natale, poi a gennaio e speriamo ancora quando la stagione comincerà a dare nuovi germogli, fin quando si uscirà – speriamo – da questa situazione. Il pensiero che vi dono è l’augurio che possiate coltivare in voi stessi questa certezza: noi, per l’aspetto più importante della nostra esistenza, non siamo fatti per morire, ma siamo fatti per vivere. Siamo uomini e donne per la nascita, anzi per la rinascita. La nostra vita è fatta di continue rinascite! L’uomo moderno, ahimè, nasce sotto la cattiva stella che ha posto l’io al centro del mondo. È un io solo, è un io senza riferimenti, senza debito nei confronti dell’altro, debito nei confronti della natura, debito nei confronti delle persone che ci stanno intorno, debito verso la vita sociale, e nessun debito nei confronti di Dio! La festa dell’Immacolata Concezione ci dice che, per l’aspetto radicale della nostra vita, essa è fondata, si nutre, si alimenta su un “debito grato”, un debito di gratitudine per il fatto stesso di esistere. Potremmo non esserci, ma ci siamo! E tale debito di gratitudine non è solo un vago ringraziamento, ma per il fatto che io ci sono, significa che una mamma, un papà mi hanno pensato, voluto, amato. Questa è la prima e fondamentale certezza della vita. Questo è il dono di grazia! Questo è ciò che è immacolato nella vita di ogni persona. Per Maria lo è radicalmente per la grazia che ha avvolto tutta la sua vita, per noi lo diventa come figli adottivi, come ci ha detto la seconda lettura: «scelti… per essere santi e immacolati nell’amore» (Ef 1,4). Dunque, la capacità di generazione, la capacità di essere-per-la-nascita, si realizza prima di tutto perché noi non siamo un’isola, che poi deve aprirsi agli altri, ma siamo già collocati in una relazione generativa, in un dialogo, in un rapporto, che si nutre del dono che noi siamo.
- La seconda riflessione che vi propongo introduce a un pensiero al femminile. Pochi lo hanno sottolineato e anche nel ’900 ci sono volute due donne filosofe, Hannah Arendt (1906-1975), e Maria Zambrano (1904-1991), rispettivamente la prima tedesca e la seconda spagnola, le quali hanno messo in luce che per l’aspetto più importante noi siamo dei natali, non dei mortali. Vale a dire che siamo gente fatta per la vita, per rinascere continuamente da capo. Questa è l’esperienza della maternità! Nella maternità la donna deve fare spazio dentro il suo corpo, deve dilatarsi, deve allargarsi per fare spazio ad un’altra vita che nasce dentro di sé. Poi, per lasciarla vivere, deve lasciarla uscire da sé e farla respirare da sé sola. Sono le diverse fasi della concezione e della nascita, sempre pericolose per la donna. Si è fatta tanta retorica sui dolori del parto, che oggi sono anestetizzati organicamente, ma sono aumentati a dismisura generativamente. Una mamma, un papà che devono generare un figlio alla vita adulta, alla vita in pienezza, alla vita in grande, ah quanti dolori devono sopportare! Un tempo, quando si sopportavano i dolori durante il parto, succedeva che i figli nell’adolescenza in un anno diventavano grandi! Ora che non ci sono più i dolori organici del parto, ci sono tutte le sofferenze per generare la persona adulta, che si distendono dai tredici anni e durano fino ai trenta, prima che un figlio diventi adulto.
Questo è il mistero del rigenerare, anche se è il bene più grande che noi abbiamo! Dopo il fatto che la vita sia un dono, l’altro bene più grande che noi abbiamo, è che possiamo trasmetterla come un dono, non come una cosa di natura, non come una proprietà, non semplicemente come una serie di beni, ma come un dono che suscita la capacità di responsabilità dell’altro. La capacità non solo di rispondere delle cose e delle scelte, ma di rispondere di noi stessi.
- Il terzo e ultimo aspetto suggerisce un piccolo esercizio da fare. Una volta che sarà passato questo tempo tribolato, non dovremmo desiderare che la vita rinasca uguale a prima – e questo, si badi bene, può essere riferito ad ogni età della vita, perché ogni età ci fa rinascere – ma anzi chiediamoci cosa vorremmo che non fosse più come era prima! Ce lo siamo detti tante volte durante quest’anno che “dopo non sarà più come prima”. Mi piacerebbe però che ciascuno di noi si assumesse la responsabilità – responsabile è colui che risponde e ne risponde – non solo del dono che ha ricevuto, ma della grazia di cui è costituito! Ognuno fissi nel suo cuore e scriva da qualche parte che cosa vorrebbe che non fosse più come prima. Per suggerirvi, allora, quest’ultimo esercizio da fare personalmente, o insieme alle persone a cui volete bene, vi leggo un brevissimo testo di Sant’Ambrogio, col quale vi formulo il mio augurio:
“Tutto noi abbiamo in Cristo.
Tutto Cristo è per noi.
Se vuoi curare una ferita, egli è medico;
se sei riarso dalla febbre, egli è fontana;
se sei oppresso dall’iniquità, egli è giustizia;
se hai bisogno di aiuto, egli è forza;
se temi la morte, egli è vita;
se desideri il cielo, egli è via;
se rifuggi dalle tenebre, egli è luce;
se cerchi il cibo, egli è alimento”(La Verginità, 16, 99).
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara