Tre Amori. Omelia per la professione solenne di Suor Maria Scolastica

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Sabato 4 settembre, al monastero benedettino Mater Ecclesiae dell’Isola di San Giulio, il vescovo Franco Giulio ha presieduto la celebrazione per la professione solenne di Suor Maria Scolastica. Ecco il testo integrale.

Tre Amori

Professione perpetua solenne di Suor Maria Scolastica

 

Carissimi,

questa mattina celebriamo il rito della professione perpetua solenne della nostra sorella Maria Scolastica. Il suo nome di battesimo era Elisa. Essendo nata il giorno 10 febbraio, festa di santa Scolastica, sorella di san Benedetto, durante il rito di vestizione ne ha ricevuto significativamente il nome come “nome nuovo”, nome di vocazione.

Saluto cordialmente i genitori, i parenti, tutti voi qui presenti e la numerosa comunità monastica dell’Isola di San Giulio.

Suor Maria Scolastica la scorsa settimana mi ha scritto una sorta di ampia lettera raccontandomi i punti fondamentali della sua vita e della sua vocazione. Un’espressione mi ha colpito e mi ha fatto trovare il filo conduttore di ciò che andrò dicendovi. Ha fatto ingresso in monastero nel 2014 e in questi anni – come lei stessa dice – tre sono stati i suoi “amori”: l’amore alla Parola di Dio, l’amore alle figure del monachesimo della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, e l’amore al canto gregoriano.

Su di essi vorrei soffermarmi in questo momento di riflessione che, nella sua sapienza, la Chiesa prevede prima del rito, perché non si vada incontro in modo quasi trafelato alla successione dei gesti, ma si abbia la possibilità di viverli con cuore disteso. Soffermiamoci dunque su questi tre “amori”, che, letti in dissolvenza sulle tre letture della Liturgia della Parola scelta per la celebrazione (Os 2,16.21-22; Rm 12,1-18; Mt 11,25-30), mi sembra esprimano bene il senso di quanto sta avvenenendo.

  1. La Parola che seduce

La Parola di Dio è così dice la Sacra Scrittura come una lama affilata (cfr. Eb 4,12), ed è anche un fuoco inestinguibile, per avvicinarsi al quale è necessario sapere che il Libro della Bibbia è il veicolo della Parola che seduce. Nella prima lettura abbiamo ascoltato l’oracolo del profeta Osea:

Così dice il Signore:
«Ecco, io la sedurrò,
la condurrò nel deserto
e parlerò al suo cuore» (Os 2,16).

In italiano il verbo sedurre ha una duplice valenza, ossia chi “seduce” può essere seducente o seduttivo. La differenza tra i due aggettivi segnala gli atteggiamenti più intriganti dell’educazione cristiana e, più in generale, dell’educazione umana. Molti cammini educativi oggi sono seduttivi, ma non riescono ad essere seducenti. In altre parole l’educatore attira così tanto su di sé – è seduttivo appunto! – da non lasciare lo spazio per incontrare gli altri e per decidere di sé. Questo percorso ha solo la parvenza di un cammino, ma è un vicolo cieco. Il cammino educativo, invece, dovrebbe essere seducente. Dove sta la differenza? Il verbo sedurre trae origine dal latino «se ducere», condurre dietro o presso di sé. Se nel trasmettere la fede l’educatore si muove solo su una dimensione binaria – io e te, io educatore e tu educando, io papà e mamma e tu figlio, io catechista e tu ragazzo – e non si apre a un terzo, l’atto di formare finisce per essere seduttivo: tu devi scegliere me educatore (che divento il termine ultimo della formazione). Al contrario, l’educatore seducente conduce su un cammino affascinante che apre alla realtà, al Signore (e al mistero della vita). Sta qui la differenza fondamentale, una differenza che purtroppo si rivela solo lungo il tempo disteso. Ciò vale anche per i gruppi, per i movimenti, per gli stessi ordini monastici, vale per tutte le forme con cui noi trasmettiamo le forme del vivere e i gesti della fede.


Tre Amori

Professione perpetua solenne di Suor Maria Scolastica
04-09-2021
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Cara suor Scolastica, nel lasciarti ammaliare dalla Parola di Dio, tieni presente che è Parola “di Dio”. È Lui che ci parla nella Scrittura. Ed essa parla solo se tu l’ascolti come una Parola che ti lascia tutto lo spazio – e in questi anni te lo ha lasciato! – per crescere, maturare, decidere, per vivere tanto momenti di slancio, quanto momenti di maggior raccoglimento, in cui senti di dover stare tecum, presso di te. Nel tuo racconto emerge come il Signore, quando ti sembrava assente, era invece presente in un altro modo. Una delle forme dell’essere seducente è proprio quella di “scovare le persone” quando meno se lo aspettano.

Nel futuro saranno sempre più numerose le vocazioni come la tua. Uno ritiene di aver trovato la sua strada con belle speranze, come nel tuo caso sognavi di diventare disegnatrice di modelli d’auto. Ma proprio allora il Signore ti “rapisce” e ti porta per tutt’altra via!

Questo è il punto più delicato, che non va perso durante l’intera esistenza: riuscire ad ascoltare la Scrittura come una Parola che seduce, che conduce a sé, ma per liberare dal proprio io. Se la Parola non ci fa percepire lo spazio della libertà, se, ascoltandola, non si sente il respiro della gioia, o, come si diceva un tempo, il “tocco della grazia”, significa che non si sta ascoltando la Parola di Dio, ma una proiezione delle nostre chiacchiere umane. Questa lettura, però, ci intristisce, mentre l’ascolto di una Parola seducente ci dà serenità e slancio interiore.

Dal primo all’ultimo giorno della vita dobbiamo essere disponibili ad ascoltare una Parola che se-ducit, che conduce dietro di sé, ma lascia lo spazio per liberarmi da me. Poiché l’impresa più impegnativa è essere liberi da se stessi. Solo così si può essere solari e trasparenti verso gli altri, come sei tu, suor Scolastica, divenendo in comunità un membro che costruisce ed edifica.

  1. Le figure che raccontano

Il secondo amore di cui hai parlato riguarda le figure monastiche. Traduco così: sono le figure che raccontano. Le figure della vita spirituale hanno la caratteristica che tutte vivono la struttura della vita cristiana, ma ognuna la realizza dentro un vissuto personalizzato. Il rapporto tra il vissuto personale e le dimensioni strutturali della vita cristiana non può che essere creativo. Tutti noi cerchiamo di accostarci alle dimensioni fondamentali della vita cristiana, eppure notiamo quanti risvolti diversi vi sono, quante storie differenti nascono.

Anche le grandi figure della vita monastica che la storia ci presenta sono molto diverse le une dalle altre, ognuna con caratteristiche e peculiarità proprie, sempre differenti. Dopo Benedetto e Scolastica, molti sono stati i monaci e le monache che hanno vissuto secondo la Regola benedettina e molti in tempi di crisi hanno cercato di tornare allo “spirito originale” di Benedetto, come, ad esempio, i cluniacensi o i cistercensi. Questo “vissuto” ha caratteristiche che sono ben raccontate nella seconda lettura scelta (Rm 12,1-18).

Questa pagina paolina è forse una delle più sconvolgenti del Nuovo Testamento. È un testo che chiamo “atmosferico”, “climatico”, nel senso che, meditando, quasi dimorando in questa pagina paolina, si può gustare e avvertire l’atmosfera delle comunità cristiane. All’inizio il brano ci fornisce le espressioni di una forma alta di spiritualità e morale cristiane:

Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi… [il corpo, secondo la Bibbia, ha il significato di corpo vissuto, di vita quotidiana] come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale – τὴν λογικὴν λατρείαν ὑμῶν (Rm 12,1).

Il “culto spirituale” va inteso come la vita nello Spirito, la vita nell’agápe, la vita nell’amore, una vita che ogni giorno va dalle azioni più umili (come hai scritto nella tua lettera: scodellare la minestra, lavare i pavimenti, tagliare il pane) fino ad elevarsi nel canto gregoriano. Ecco: questo è il vostro culto spirituale!

Tale affermazione introduttiva, così sintetica, ha l’energia di una esplosione atomica. Poi nel resto del capitolo 12 si dispiega in una delle pagine più sorprendenti. Nella prima metà del brano sono descritte le figure cristiane, tutte complementari le une alle altre; nella seconda parte sono illustrati gli atteggiamenti cristiani intrecciati gli uni con gli altri. Come in uno stupendo sistema di vasi comunicanti, per cui se uno cresce, cresce anche l’altro. Così è la vita cristiana: si realizza facendo crescere il proprio spazio alimentando anche quello dell’altro. Non come capita spesso a noi che corriamo il rischio di ampliare il nostro spazio a danno di quello degli altri! Sentite come è bello il testo di Paolo:

Non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato (Rm 12, 3).

Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia (Rm 12, 6-8).

C’è persino da sorprendersi di un ventaglio di colori così diversi, come nei vostri ricami, e nel ricamo della vita quotidiana, dove riuscite a far coerire, cioè a far stare insieme in armonia i più diversi aspetti della vita concreta.

Poi ci sono gli atteggiamenti di vita cristiana. La sezione inizia con una frase scioccante:

La carità non sia ipocrita (Rm 12, 9)

Stupisce l’espressione! Se c’è una realtà che dovrebbe avere una faccia sola è proprio la carità, è il dono fatto ad altri, eppure anch’essa può essere ipocrita, cioè può essere o avere una maschera. In greco υπόκριτής è colui che porta la maschera.

Poi il testo continua:

Detestate il male, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno (Rm 12, 9).

Ascoltate il carattere atmosferico del testo seguente, che vi invito a gustare con calma!

Cara sorella, alla luce di queste affermazioni fa’ amicizia con le grandi figure della vita monastica, cresci con la capacità di leggere attraverso di esse il vero vissuto cristiano, che va oltre la propria “esperienza umana”. L’esperienza credente rivela dentro di sé un’eccedenza, che rimanda oltre; contiene un surplus che ci sorprende sempre, ci “prende-come-da-sopra”. Così vanno studiati i vissuti dei testimoni cristiani.

Cito sovente il caso di santa Teresina (Santa Teresa Martin di Gesù Bambino, Alençon 1873 – Lisieux 1897). Se leggete i primi due quaderni e, in parte, il terzo di La storia di un’anima, vi accorgerete che sono difficili da comprendere per la nostra sensibilità, perché risentono del devozionalismo della fine ’800, presente anche nel coevo pietismo dei protestanti, lontano dalla nostra sensibilità. Ma alla fine del terzo quaderno, quasi crisalide che si dischiude, Teresa fa volare, come pura farfalla, la sua spiritualità fondata su pochi testi biblici. Infine, si libra in cielo nei Novissima Verba, raccolti sul letto della sua lunga malattia (la tisi). E aveva solo ventiquattro anni.

Ne parla in modo approfondito il vescovo teologo e scrittore francese, grande studioso di santa Teresa di Lisieux, Guy Gaucher (1930-2014) in La passion de Thérèse de Lisieux (1972).

  1. Il “cantus firmus” che guida

Il tuo terzo amore, che commento attraverso il testo evangelico (Mt 11,25-30), è quello della musica e del canto, in particolare, del canto gregoriano.

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra…
che hai rivelato queste cose agli umili  (Mt 11,25).

Indagando un po’ sul significato del cantus firmus, ho intitolato quest’ultima riflessione così: Il cantus firmus che guida. Come saprete, intorno al XIV-XV secolo, nel passaggio verso la polifonia, il cantus firmus (fermo) era la melodia piana eseguita, “tenuta”, da una “voce” (tenor) con note uguali e prolungate lungo tutta la composizione, mentre altre voci eseguivano le variazioni in alto e in basso. Anche in un coro monastico – e nella vita comune di una comunità così numerosa come qui all’Isola – ci saranno sempre delle “variazioni” in alto o in basso. Se ho capito bene, il cantus firmus è uno dei travasi del gregoriano nella polifonia moderna, e per questo acquista una forte valenza simbolica. Ho letto che anche i corali di J. S. Bach hanno proprio la funzione, dentro le composizioni della Passione, di “tenere” il motivo che è subito riconoscibile, come nello struggente: Signore dolce volto.

Mi è caro augurarti che tu possa mantenere il fraseggio del cantus firmus della vita monastica: un cantus firmus che guidi innanzitutto la tua vita personale e per questo diventi luce anche per la comunità che oggi ti accoglie. Con tanti auguri!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara