«Essere prima del fare». Giornata della Vita Consacrata in diocesi

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Lo scorso sabato 6 febbraio 2021, presso l’Istituto Sacro Cuore di Novara, si è tenuta la messa per celebrare la Giornata della Vita Consacrata in diocesi. Con il vescovo impossibilitato a partecipare, a presiedere è stato il vicario episcopale per la vita consacrata don Gianluigi Cerutti.

Ecco il testo integrale della sua omelia.

 

Siamo contenti di incontrarci oggi in questa chiesa dell’Istituto Sacro Cuore e ringraziamo vivamente la comunità della Sorelle della carità che ci ospita a braccia aperte.

Porto la vicinanza di preghiera e di affetto del nostro vescovo a cui inviamo un cordiale ricordo e saluto. Esprimo i più affettuosi saluti ai religiosi e alle religiose, ai consacrati e alle consacrate che non possono essere presenti fisicamente, ma che sono a noi uniti con la preghiera e partecipi spiritualmente, favoriti anche dalla trasmissione su streaming di questa nostra celebrazione. Benvenuti e benvenute a voi qui presenti e che rappresentate tutte le varie e preziose espressioni della vita consacrata nella nostra diocesi. Davvero “Fratelli tutti” e “Sorelle tutte” per citare e ampliare il titolo dell’ultima enciclica di Papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale.

Nella tradizione di questi ultimi anni viviamo la nostra celebrazione diocesana nel sabato immediatamente seguente la festa della Presentazione di Gesù al tempio del 2 febbraio, Giornata mondiale della vita consacrata. Quest’anno giunta alla venticinquesima edizione. Rinnovo l’augurio e la preghiera per i religiosi e le religiose che ricordano significativi anniversari di professione. Li abbiamo nominati introducendo questa celebrazione.

La vita consacrata mette in evidenza l’essere piuttosto che il fare. La vita consacrata fa risplendere il primato dell’essere sul fare e sull’agire che a quell’essere sempre si ispirano, in un perenne ritorno alla sorgente. Pensiamo alla potenza e alla fecondità dello Spirito Santo che mantiene viva la nostra esperienza spirituale cristiana e pensiamo anche allo specifico carisma dei vostri fondatori e fondatrici. Questo ritorno alla sorgente è soprattutto il nostro quotidiano alimentarci dell’eucaristica alla “cena mirabile”, come ci invita a fare il vescovo con la sua lettera pastorale.

Proprio in questo tempo difficile, complesso e sofferto per la pandemia tuttora in corso, siamo stati quasi violentemente richiamati alla priorità dell’essere. Forse eravamo tutti un po’ malati di attivismo. Il ritmo più religioso e quasi monastico in cui ci siamo trovati dentro, nostro malgrado, ci ha obbligati a rifare ordine nelle nostre vite personali e comunitarie. Siamo tornati a imparare, quasi in un imprevisto e ulteriore “noviziato”, quali sono le priorità, distinguendo ciò che è essenziale e più importante da ciò che non lo è.  Anche quando saremo finalmente fuori da questa prova della pandemia, non dovremo perdere la grazia di cui stiamo facendo esperienza; non dovremo dimenticarci che il Signore ci ha condotti attraverso questo deserto e ci ha fatto compiere un discernimento, come leggiamo nel libro del Deuteronomio: “per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi” (Dt 8,2). Ci siamo fermati e ancora ci fermeremo per comprendere meglio quello che abbiamo nel cuore! Nel nostro cuore e in quello delle nostre comunità. Ringraziamo poi il Signore se, nonostante tutto, non si è logorato il nostro mantello e non si è gonfiato il nostro piede (cfr Dt 8,5)!

Rinnoviamo la nostra preghiera di suffragio per i fratelli e le sorelle deceduti a causa del covid 19. Preghiamo per chi è ancora malato, per chi ne porta pesanti conseguenze nel corpo e nello spirito, per le comunità religiose che sono state più colpite e provate.

  1. Il vecchio Simeone aspettava la consolazione di Israele.

Abbiamo bisogno di ricevere, sperimentare e donare consolazione. Chiediamo al Signore  e allo Spirito Santo il balsamo della consolazione sulle nostre ferite di questo tempo. Un dono prezioso che siamo chiamati a donarci scambievolmente negli incontri, nelle relazioni, nella corresponsabilità e nella collaborazione, nella vita fraterna in comunità. In questo modo – come ha scritto Papa Francesco – offriamo il volto di una Chiesa samaritana. Nello stesso tempo rinnoviamo la nostra sequela di Cristo, che ci ha chiamati e imitiamo lui che – come si legge in un prefazio – “ancora oggi come buon samaritano viene accanto ad ogni uomo piagato nel corpo e nello spirito e versa sulle sue ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza”.

  1. Il vecchio Simeone accolse Gesù tra le braccia.

Siamo chiamati a vivere il passaggio dalla consolazione al Consolatore. Dal dono al Donatore. Siamo rinviati all’incontro personale con il Signore

L’immagine tenerissima del vecchio Simeone che accolse Gesù tra le braccia è nello stesso tempo materna e mariana. E’ la Chiesa sognata da Papa Francesco e che può diventare anche il sogno delle e per le vostre comunità. Torniamo alla descrizione del sogno, recentemente rilanciato dal Santo Padre all’incontro promosso dall’ufficio catechistico nazionale della CEI (30 gennaio 2021): “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà.”

(Papa Francesco ai rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2015). Possiamo applicare alle nostre singole comunità queste parole rivolte a tutta la Chiesa. Le braccia dei molti servizi che realizzate nelle vostre comunità religiose continuamente accolgono e donano Gesù. Le braccia che aprite ed elevate pregando nelle vostre cappelle e nei vostri cori; le braccia con cui accogliete nelle portinerie delle vostre scuole i bambini e i ragazzi, i genitori e i nonni che li accompagnano; le braccia con cui donate ai poveri. Sono però anche le nostre braccia con cui ci accogliamo tra di noi e con le quali torniamo ad accoglierci ogni giorno di nuovo!

  1. Santità semplice e concreta nella fraternità.

Voi siete  chiamati ad essere “tessitori di fraternità”.

Papa Francesco nella sua omelia dello scorso 2 febbraio affronta il tema della vita comunitaria come luogo in cui la pazienza si concretizza: “Le relazioni umane, specialmente quando si tratta di condividere un progetto di vita e un’attività apostolica, non sono sempre pacifiche, lo sappiamo tutti. A volte nascono dei conflitti e non si può esigere una soluzione immediata, né si deve giudicare frettolosamente la persona o la situazione: occorre saper prendere le giuste distanze, cercare di non perdere la pace, attendere il tempo migliore per chiarirsi nella carità e nella verità. Non lasciarsi confondere dalle tempeste” (Omelia del 2 febbraio 2021 nella Basilica di san Pietro).

Il vecchio Simeone è modello di questa pazienza reciproca in cui sempre ci esercitiamo nelle nostre comunità. Prosegue Papa Francesco: “Sopportare, cioè portare sulle proprie spalle la vita del fratello o della sorella, anche le sue debolezze e i suoi difetti. Tutti. Ricordiamoci questo: il Signore non ci chiama ad essere solisti – ce ne sono tanti, nella Chiesa, lo sappiamo –, no, non ci chiama ad essere solisti, ma ad essere parte di un coro, che a volte stona, ma sempre deve provare a cantare insieme”.

E’ la via della santità testimoniata da “i santi della porta accanto”, da scoprire anche tra di noi, nelle nostre comunità. Scrive il Papa nella Esortazione Apostolica “Gaudete et exultate”: “Mi piace vedere la santità nel popolo di Dio paziente: nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere” (n. 7). E’ molto bello pensare al sorriso delle religiose anziane!

In riferimento alla comunione e alla fraternità, il Papa mette in evidenza che “la santificazione è un cammino comunitario, da fare a due a due. Così lo rispecchiano alcune comunità sante. In varie occasioni la Chiesa ha canonizzato intere comunità che hanno vissuto eroicamente il Vangelo o che hanno offerto a Dio la vita di tutti i loro membri” (Gaudete et exultate, n. 141). Una luce che risplende anche nelle coppie di sposi santi “in cui ognuno dei coniugi è stato strumento per la santificazione dell’altro”.

La santità coltivata esercitando la pazienza nella vita comunitaria – ricorda il Papa – “è fatta di tanti piccoli dettagli quotidiani”. In questa palestra si combatte l’individualismo “che finisce per isolarci nella ricerca del benessere appartato dagli altri”. Un grande impegno da accompagnare ogni giorno con il desiderio e la preghiera di Gesù stesso: «che tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te» (Gv 17,21).

Don Gianluigi Cerutti
vicario episcopale per il clero e la vita consacrata