San Gaudenzio 2022 «Vicino ai giovani»

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Nella mattina di sabato 22 gennaio si è svolta la cerimonia del fiore ed è stata celebrata la messa pontificale presieduta dal vescovo Franco Giulio Brambilla per la festa di san Gaudenzio 2022, patrono della diocesi e della città di Novara.

Filo guida del suo discorso l’episodio evangelico del ritrovamento di Gesù al tempio, attraverso la lettura del quale il vescovo ha messo al centro il tema dell’ascolto e della vicinanza alle nuove generazioni e delle fatiche che stanno vivendo in questo tempo di pandemia.

In basilica – il cui accesso era a inviti proprio per le norme di sicurezza anti Covid – era presente una delegazione di giovani proveniente da tutti gli oratori della diocesi, cui è stato fatto il dono di alcuni semi di rosa, fiore che richiama il miracolo più famoso di Gaudenzio nella tradizione popolare e simbolo di un futuro da coltivare, nel segno dell’ultima lettera pastorale di mons. Brambilla, “I semi del tempo”.

Al termine della celebrazione, è stata data lettura da parte del vicario generale don Fausto Cossalter dell’assegnazione del titolo di canonici onorari di San Gaudenzio dei due vicari episcopali di nuova nomina: don Franco Giudice e don Massimo Martinoli.

Don Cossalter ha anche ricordato l’anniversario che ricorre in occasione di questa patronale: i dieci anni di episcopato novarese del vescovo Brambilla, che il 23 gennaio 2012 prendeva ufficialmente possesso della diocesi.


Qui la presentazione del libro “Parliamo il Signore Gesù” per i dieci anni di episcopato novarese del vescovo Franco Giulio.

Qui le parole del vicario generale che esprimono il grazie al vescovo da parte della comunità novarese.

Qui la nomina dei nuovi canonici onorari di San Gaudenzio.

Qui il programma religioso della Patronale 2022 dal 21 gennaio al 30 gennaio.

Qui la fotogallery della celebrazione.


Di seguito il testo integrale del discorso alla città e alla diocesi nella festa di San Gaudenzio 2022.

 

 

Vicino ai giovani

Discorso alla città e alla diocesi 2022

 

Per la festa di san Gaudenzio di quest’anno ho scelto il vangelo del “ritrovamento di Gesù al tempio”. È l’unico episodio che alza il velo sulla vita di Gesù a Nazareth, giocato però in trasferta a Gerusalemme! Il racconto di Luca ha una funzione “cerniera” tra il vangelo dell’infanzia (Lc 1-2) e il ministero di Gesù adulto (Lc 3-24). Potrebbe essere intitolato: alla ricerca di Gesù. Gesù adolescente viene smarrito e i suoi genitori sono alla sua ricerca. Questa vicenda mi ha suggerito il tema per quest’anno. Anche noi dobbiamo andare alla ricerca dei ragazzi e adolescenti dopo questi due anni: dobbiamo metterci vicino ai giovani!

 Seguendo le tre parti del racconto, possiamo anche noi compiere l’arduo cammino che va dalla perdita al ritrovamento dei giovani, attraverso la ricerca della nuova condizione dei giovani dopo questo tempo di prova.

 

  1. Perdita, ricerca e ritrovamento di Gesù (narrati)

All’inizio del racconto (Lc 2,41-52), Gesù è presentato nel contesto di una famiglia fedele alla Torah: «Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore» (v. 39). Nazareth (la famiglia) e la Torah (la religiosità ebraica) sono il punto d’inizio della ricerca della nuova identità di Gesù dopo i primi dodici anni della sua vita. Il suo cammino è disegnato in questo modo: «Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui» (v. 40). Il ritornello contiene due termini cari a Luca: il primo, la sapienza, (Luca 6 volte, Matteo 4 volte, Marco 1 volta) è sempre riferito a Gesù, una sapienza ben più grande di quella di Salomone (Lc 11,31); il secondo, la grazia (8 volte in Luca), indica la presenza dello Spirito, già disceso su Maria “piena di grazia” (Lc 1,28.30).

Il punto d’avvio del racconto è la perdita di Gesù (vv. 41-43). I genitori di Gesù sono fedeli alla legge (Dt 16,16) e alla spiritualità ebraica («si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua […] secondo l’usanza», vv. 41.42). Qui si introduce un elemento di novità: «Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo» (v. 42). L’attenzione all’inizio sembra concentrata ancora sulla famiglia, ma da essi si stacca il racconto a proposito di Gesù: «Quando egli ebbe dodici anni…». Prende avvio la trama adombrata in quel «vi salirono di nuovo», cioè in forma nuova, perché ormai sta capitando qualcosa di nuovo. Dove capiterà? A Gerusalemme e a Pasqua, nel luogo del tempio e alla festa centrale della religiosità ebraica. Su questo sfondo si staglia l’azione di Gesù («il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme» v. 43). Egli resta a Gerusalemme, all’insaputa dei “suoi” («senza che i genitori se ne accorgessero» v. 43). Gesù si separa dai suoi e diventa l’oggetto della ricerca. A questo punto del racconto, noi siamo in vantaggio rispetto ai personaggi (i genitori), sappiamo che Gesù non si è perduto, ma è rimasto a Gerusalemme, mentre i genitori non lo sanno e lo cercano nella direzione sbagliata… Il lettore sembra parteggiare per Gesù, ma per il momento anche noi dobbiamo cercare: non sappiamo perché Gesù sia rimasto a Gerusalemme!

La ricerca di Gesù (vv. 44-45) è fatta dai genitori, ma ormai il racconto si concentra su Gesù adolescente. È “Lui” l’oggetto della ricerca (credendo che Egli… si misero a cercarLo… non avendoLo trovato… tornarono in cerca di Lui). È emozionante questa ricerca spasmodica a cui partecipiamo anche noi lettori! Anche la scansione temporale suggerisce la direzione: una giornata nella carovana e dopo tre giorni a Gerusalemme! I genitori, finito il pellegrinaggio richiesto dall’Antica Alleanza, iniziano di nuovo il pellegrinaggio verso Gerusalemme, quello della Nuova e definitiva Alleanza, che porta Gesù fuori dal tempio, dove viene ritrovato, perché lui è il nuovo Tempio.

Segue il ritrovamento di Gesù (vv. 46-47). I genitori e il lettore lo ritrovano dove non se l’aspettavano. “Dopo tre giorni” Gesù fu ritrovato nel tempio. La suspense narrativa ha un primo momento di riposo: c’è un ritrovamento inaspettato e avviene dopo tre giorni! Queste notizie non possono non rimanere impresse nel cuore del lettore. È la prima scena di interno: Gesù è in mezzo ai dottori nel tempio. Il suo ritrovamento fa tirare un sospiro (ai genitori e al lettore), ma subito apre una domanda: che cosa mai starà dicendo loro Gesù? Anche per noi lettori, che finora ne sapevamo più dei genitori, cominciano le sorprese: ritroviamo Gesù dove non ce lo aspettavamo, come un discepolo che interroga e ascolta i maestri. E presto anche noi lettori siamo chiamati a farci presenti tra gli astanti e a meravigliarci per l’acutezza di domande e risposte: «E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (v. 47). Così anche la scena del ritrovamento resta sospesa: ormai i protagonisti (Gesù, i genitori, i presenti e i lettori) sono tutti sulla stessa linea. Il Narratore è pronto a condurli al centro del racconto.

Facciamo ora una prima sosta sulla perdita di tanti ragazzi, adolescenti e giovani, dopo questi due anni di pandemia. Molti sembrano smarriti, altri portano dentro di sé tanta paura e taluni persino l’angoscia per la malattia, la morte dei loro cari, amici, genitori, nonni. Altri ancora sembrano dispersi, quasi intimoriti ad affrontare un tempo che chiede ancora resilienza. Soprattutto coloro che in questi due anni hanno vissuto le età di passaggio (quinta elementare e prima media, terza media e prima superiore, quinta superiore e inizio università) si sentono come defraudati di un tempo che doveva essere per loro propizio: per essi è stata un’età negata, un tempo perduto.

Anche noi adulti li cerchiamo dalla parte sbagliata, li crediamo ancora al sicuro nella carovana della nostra famiglia, mentre se ascoltassimo il loro silenzio e se leggessimo nei loro messaggini troveremmo apatia, noia e forse timore a riprendere con lena il passo, dopo aver perso un’occasione che non torna più. Ci vogliono tre giorni, il tempo della risurrezione, per ritrovare i nostri ragazzi nel luogo dove sono. Ognuno di noi vada alla ricerca del loro smarrimento, dedichi risorse ed energie a rintracciarli, non li lasci nascondere nelle pieghe del paese o della città. Mettiamoci insieme per dedicare tempo e risorse per ritornare a Gerusalemme e ritrovarli là nel tempio, dove non ce li aspetteremmo a fare domande e a cercare risposte. Dobbiamo ascoltare la loro domanda più dolorosa: se sto perdendo il tempo più prezioso della mia vita, che senso e valore essa ha?

 

  1. Perdita, ricerca e ritrovamento di Gesù (dialogati)

Al racconto della perdita, ricerca e ritrovamento di Gesù segue il dialogo tra Gesù e i genitori (vv. 48-50). È introdotto da una laconica espressione: «sua madre gli disse» (v. 48). Sia in questo momento che nell’episodio di Cana è la “madre sua” (di Gesù) a sciogliere l’azione, mediante il dialogo. Maria chiama Gesù non “figlio” (hyiós), ma “bambino mio” (téknon), gli fa sentire ancora la dipendenza materna, si rivolge al “piccolo suo”. Certo Maria e Giuseppe lo ritrovano, ma non lo riconoscono più. Non lo trovano più come “figlio proprio”: «tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo».

Maria chiama in causa il padre e dice che insieme non riescono più a riconoscerlo come figlio, che sta sfuggendo a loro come figlio, e questo minaccia il loro essere padre e madre! L’angoscia di Maria fa riascoltare la profezia di Simeone fatta poco prima nel testo a Maria: «a te una spada trafiggerà l’anima» (v. 35). Con questa angoscia il dialogo giunge al suo vertice, ma anche il racconto giunge al nostro cuore. Ora parla Gesù.

La prima parola di Gesù si esprime con una domanda provocante. Riprende alla lettera, come fanno spesso gli adolescenti e i giovani, l’intervento di Maria: «Perché mi cerca­vate?». Segue una seconda domanda retorica, la quale sottintende una risposta affermativa che i genitori (e noi lettori adulti) sono chiamati a dare («non sapevate?»: chi deve sapere? I genitori certamente, ma la frase è rivolta anche a noi…). Certo i genitori hanno assistito agli episodi dell’infanzia di Gesù, come i genitori e gli adulti di oggi sanno molte cose dei loro figli, ma ora la situazione sembra improvvisamente cambiata. Gesù si fa avanti spavaldo e provocatorio.

Le prime parole di Gesù appaiono sorprendenti, proprio perché si appellano ad un “sapere” che è quello della generazione, che è il sapere proprio dei genitori. Maria e Giuseppe dovrebbero sapere che Gesù «deve essere nelle cose (en toîs) del Padre suo» (en toîs toû patròs mou deî eînai me, v. 49). È la prefigurazione dell’identità di Gesù, come di colui che è “nella casa”, “nella relazione”, “nelle cose” del Padre. Il senso spaziale sembra il più facile, ma è anche possibile il senso funzionale (dedicato alle cose divine) e il senso associativo (tra coloro che servono a Dio). L’espressione è volutamente aperta!

Il Narratore fa notare che i genitori «non compresero la parola (to rhêma) che aveva detto loro», anticipando ciò che accadrà altre volte anche ai discepoli (cfr. Lc 9,45; 18,34: dopo il secondo e il terzo annuncio della passione). La prima parola di Gesù produce uno “spiazzamento” dei due protagonisti (e di noi lettori) «Non sapevate che devo essere in ciò che è del Padre mio?». Gesù si richiama a quel «devo», rimanda alla vocazione divina. Finalmente il vangelo è a una svolta, è Gesù stesso che si autodichiara. Il titolo di “figlio”, dato a Gesù nei vangeli dell’infanzia, comincia ad accendersi in forma evidente sulla bocca di Gesù. Si noti, tutto ciò è detto proprio davanti ai suoi genitori…

Vi sono tre temi che emergono dalla “forma dialogata” con cui nella seconda parte del racconto è narrata di nuovo la perdita, la ricerca e il ritrovamento di Gesù. Provo a dirlo con un’attenzione al momento presente. Anzitutto, il dialogo rivela che la perdita di Gesù genera angoscia, perché i genitori non trovano più il figlio che conoscevano. Anche noi oggi e domani saremo messi di fronte a un periodo di angoscia. Guardo a questi giovani preti che sono dedicati totalmente a loro: li stimiamo e li ringraziamo per l’impegno che mettono a stare con i ragazzi, adolescenti e giovani. Oggi è difficile, molto difficile, perché le nuove generazioni non sembrano più accessibili come nell’epoca precedente.

Non bisogna avere paura: abbiamo la possibilità dell’ascolto e del dialogo. Non dobbiamo scoraggiarci, lo facciamo perché essi attendono una presenza amica e rassicurante, anche se all’inizio si presentano spavaldi o annoiati, abulici o depressi, persino bulli e dispersi. Con i genitori, gli educatori, gli animatori sono chiamati a raccolta tutti coloro che hanno il compito della formazione: la famiglia, la scuola, l’oratorio, il volontariato, la società civile. I ragazzi, adolescenti e giovani dell’inizio di questo terzo decennio del secolo ci chiedono una cosa sola: voi dovreste sapere cosa significa che noi dobbiamo e vogliamo diventare grandi! Se lo siete diventati voi, aiutate anche noi, magari non diventeremo adulti alla vostra maniera, ma in ogni caso non possiamo farlo senza la vostra vicinanza. Stateci vicini!

Essi gridano, talvolta con linguaggi provocatori, perché noi possiamo essere per loro testimoni della vita buona. Essi ci dicono: non lasciateci soli, non abbandonateci alla deriva, dateci meno cose e più tempo, ascoltateci! Perché solo così anche noi potremo diventare adulti, perché anche noi dobbiamo dire di sì al mistero della vita, possiamo sognare con coraggio la nostra vocazione, perché anche noi dobbiamo rispondere a una Chiamata. È come se questi ragazzi e adolescenti si attendessero da noi adulti di risentire ciò che Eli disse al giovane Samuele, quando egli sentiva una voce che non sembrava trovare conferma. Eli lo rassicura così: «quando la risentirai, tu dovrai dire: “Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta!”» (1Sam 3,9). Anche i giovani di oggi, soprattutto i giovani del nostro tempo hanno bisogno di genitori, educatori, professori e comunità presenti e rassicuranti, capaci di amore, comprensione e accompagnamento.

 

  1. Ritorno e crescita a Nazareth

La conclusione del racconto riporta due notizie rassicuranti. La prima: i genitori «non compresero ciò che aveva detto loro» (v. 50). Non si deve temere se non è tutto subito chiaro! La seconda: il Narratore rassicura che Gesù «partì con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso». Il racconto suggerisce che per il ragazzo Gesù questa scappatella non è stata un colpo di testa, ma l’episodio intende aprire uno squarcio sul futuro! Anche i lettori del vangelo devono tornare a Nazareth, per ripartire con Gesù. Una cosa noi lettori possiamo fare già da adesso: stare con la “madre sua” e conservare (diatereîn: custodire attraverso il tempo) tutte le parole e le vicende (rhêma) nel “suo” cuore.  Sono parole e vicende che danno a pensare: è un non-capire che mette in ricerca Maria e Giuseppe con i lettori del vangelo. C’è un luogo simbolico per sperimentare questo: il cuore della madre di Gesù!

L’episodio si chiude con il replay del ritornello della crescita: Gesù «avanzava in sapienza, età (maturità) e grazia, davanti a Dio e agli uomini» v. 52 (le due varianti rispetto a 2,40, sono l’età e l’espressione “davanti a Dio e agli uomini”). Si apre la seconda fase del tempo passato da Gesù a Nazareth, dopo questa parentesi che ha aperto uno squarcio sul futuro. Anche noi dobbiamo aprire un tempo nuovo dopo questi primi vent’anni del nostro secolo. Due richiami ricavo da questa conclusione del vangelo.

Il primo riguarda gli educatori nella varietà delle loro figure: genitori, sacerdoti, maestri, professori, educatori, animatori e allenatori. Le figure di Maria e Giuseppe descrivono bene il momento presente: «Essi non compresero le sue parole non compresero ciò che aveva detto loro!». Spesso i formatori si sentono inadeguati, inadatti alla bisogna, non apprezzati e non valorizzati dalla società. Non dimentichiamolo: la formazione è oggi l’impresa più grande, che ha bisogno di grande apprezzamento sociale. Tuttavia essi non possono ritrovare la passione del loro compito, se non lo vivono come una vocazione: non è solo una professione, ma una chiamata, non è solo uno stipendio per vivere, ma un compito per far vivere. Essi devono essere come Maria e Giuseppe e conservare nel loro cuore l’incomparabile bellezza non solo di produrre e conquistare, di capitalizzare e scoprire nuove cose, ma di forgiare l’umano in formato grande. La fine del precariato diffuso e l’aumento di stipendio, che sono decisivi come forma di valorizzazione sociale, non potranno sostituire la stima che tutti noi dobbiamo e vogliamo dare al loro compito e alla loro missione.

Il secondo richiamo concerne l’alleanza tra tutte le forze sociali e le componenti educative della società: la famiglia che educa, la scuola che forma, l’oratorio spazio di vita, lo sport sano, non sono riserve indiane a lato di una società che per la parte più importante fa altro, cioè si dedica all’economia e alla produzione. Lo sviluppo autentico ha come componente essenziale il tempo formativo. Elevo dunque un forte invito per un grande patto educativo fra tutti i soggetti che si affaticano al compito formativo: anche la scuola ha bisogno di più stima, più sostegno sociale, più apprezzamento. Le risorse e i soldi spesi per la scuola e l’educazione sono il capitale sociale più importante per la società di domani. Nella nostra città abbiamo anche la fortuna di avere la Fondazione Carolina, dedicata alla compianta Carolina Picchio, impegnata per il buon uso digitale, con la quale la Diocesi di Novara intende stabilire un cammino di proficua collaborazione. Per questo, mentre aspettiamo di ripartire, il cuore della rinascita non potrà essere che un tempo formidabile da dedicare all’educazione delle nuove generazioni. Lo chiediamo con la protezione del nostro patrono, san Gaudenzio!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara