Sabato 10 febbraio si è svolto a Torino, presso il salone – teatro Cottolengo il convegno annuale organizzato da USMI e CISM del Piemonte – Valle d’Aosta. Vi hanno partecipato circa quattrocento tra religiosi, religiose e consacrati, tra i quali una delegazione della diocesi di Novara.
Dopo il saluto iniziale del Vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, incaricato dalla CEP per il capitolo della vita consacrata, ha svolto la relazione il teologo don Armando Matteo. Ha affrontato il tema: “Vino nuovo in otri nuovi: la novità della vita consacrata in un contesto sociale senza più adulti e vecchi”.
Con efficace capacità comunicativa e forte coinvolgimento ha interpellato la vita consacrata a proposito del mito del giovanilismo che rifiuta il diventare adulti e poi vecchi. Il corto circuito che ne segue impedisce ai giovani di realizzarsi, di avere spazio, di assumersi responsabilità. Una grande sfida educativa per tutti. Il relatore ha sviluppato i seguenti passaggi:
- gli adulti non sono più quelli di una volta ovvero la nascita del “diversamente giovane”;
- non c’è più educazione in una società “senza” adulti e senza vecchi;
- trasmissione della fede interrotta;
- la sfida per la novità della “vita consacrata”.
Ecco, in sintesi lo schema dell’intervento di don Matteo, a cura dell’Ufficio per il clero e la vita consacrata, scaricabile anche come file di testo da questo link.
Vino nuovo in otri nuovi.
La novità della Vita Religiosa in un contesto sociale “senza” più adulti e vecchi
Schema
«La buona notizia è questa: ogni generazione viene al mondo con i fondamentali che deve avere; sono idealisti come noi, goffi come noi, teneri come noi, stupidi come noi che volevamo cambiare il mondo ogni momento. La cattiva notizia è questa: trovano noi. E noi siamo un po’ cambiati» (Pierangelo Sequeri).
Il punto più delicato dell’attuale contesto culturale riguarda l’immaginario relativo alla condizione dell’essere adulto e dunque gli adulti stessi; il risultato di questo mutamento è il dato per il quale “gli adulti non sono più quelli di una volta” e dunque ci troviamo per così dire a vivere in una società “senza” più adulti e vecchi.
Nella metamorfosi dell’adultità e nel conseguente “rimbecillimento” [dal latino: sine baculo] degli adulti (a partire dalla generazione nata tra il 1946 e il 1964 e dalla successiva 1964-1979) emerge il luogo di maggiore sfida per gli ambiti più sensibili della nostra società: la famiglia, l’educazione, la giustizia integenerazionale, la trasmissione della fede, il futuro dell’istituzione ecclesiale. Ed in una certa misura ciò tocca pure le dinamiche della vita consacrata, così come pure rappresenta per essa una sfida.
Alla luce di tutto ciò, proverò perciò a rispondere a quattro domande:
- che cosa è successo agli adulti ovvero in che modo si è trasformata la parola “adulto”?
- che cosa comporta questa “scomparsa degli adulti e dei vecchi” nell’ambito del dialogo tra le generazioni, in famiglia, a scuola e nella società?
- e che cosa nel contesto della trasmissione della fede e della vita della Chiesa?
- quale sfida tutto ciò porta per la novità della vita consacrata?
- Gli adulti non sono più quelli di una volta ovvero la nascita del “diversamente giovane”
Mutazione profonda della generazione nata tra il 1946 e il 1964
«La specificità di questa generazione è che i suoi membri, pur divenuti adulti o già anziani, padri o madri, conservano in se stessi, incorporato, il significante giovane. Giovani come sono stati loro, nessuno potrà più esserlo – questo pensano. E ciò li induce a non cedere nulla al tempo, al corpo che invecchia, a chi è arrivato dopo ed è lui, ora, il giovane» (F. Stoppa)
La causa scatenante di tutto ciò risiede nella longevità acquisita dalla popolazione occidentale.
Viene meno la vocazione all’adultità, che è quella di “dimenticarsi di sé per prendersi cura degli altri”. Questo è il senso dell’essere adulto. Tutti siamo nati per essere adulti. Non dimenticare inoltre che la cultura attuale (quella politica e quella economica) è immensamente contenta di avere a che fare con adulti poco cresciuti e quindi “imbecilli”.
Il mito del giovanilismo ridefinisce il rapporto degli adulti
– con l’esperienza della vecchiaia
– con l’esperienza della malattia
– con l’esperienza della morte
– con le nuove generazioni
Si assiste così, da parte degli adulti, ad un disallineamento dal reale che ne inibisce la capacità generativa ad ogni livello.
- Non c’è più educazione in una società “senza” adulti e senza vecchi
La comparsa del genitore “diversamente giovane” dà vita ad un’inversione totale della struttura educativa. Da “Lì dove io (adulto) sono tu (giovane) sarai” a “Lì dove tu (giovane) sei io (adulto) sarò”; e alla ridefinizione dei soggetti coinvolti nel processo educativo:
– la “dis-umanizzazione” dei bambini e degli adolescenti
– l’alleggerimento della giovinezza
Le pratiche educative vengono pertanto ridotte alla logica della pre-occupazione e alla pratica del controllo (Genitori “spazzaneve”, genitori “Lisoform”, genitori “Amuchina”). In questo modo ogni dialogo è impossibile, in quanto manca la differenza che è la vera molla di ogni rapporto tra diversi.
Il risultato è la mancata crescita dei più giovani, che tuttavia viene ben “digerita” dagli adulti/anziani grazie alla riserva mentale in loro attivata dalla longevità.
- Trasmissione della fede interrotta
Gli occhi dei genitori e degli adulti significativi sono la prima cattedra di teologia: il “primo annuncio”. Oggi dobbiamo riconoscere una grande crisi di fede del mondo adulto. Pertanto i giovani di cui i sociologi evidenziano “l’estraneità” alla fede sono in verità figli di genitori, di adulti, che non hanno dato più spazio alla cura della propria fede cristiana.
Il mito di giovanilismo diventa l’unico e ultimo comandamento religioso dell’attuale generazione adulta, che impone una divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere trasmesse alle nuove generazioni. La teoria del catechismo non trova riscontro nella pratica della famiglia e degli adulti significativi con cui si viene a contato, crescendo. La fede diventa così una cosa da bambini e finché si è bambini.
Il passaggio da una “fede bambina” ad una “fede adulta” è sempre mediato da una testimonianza adulta, che non si dà più. Per questo i ragazzi stanno imparando a vivere “senza il Dio presentato dal Vangelo e senza la Chiesa” (Documento preparatorio per il Sinodo sui giovani), non riuscendo più a trovare una risposta incarnata alla seguente domanda: cosa significa credere quando si diventa adulti?
Questo poi si riflette pure per la questione delle vocazioni alla vita religiosa. Dove, infatti, non c’è cultura dell’adultità, non c’è neppure cultura vocazionale. Quando gli adulti vengono meno alla loro vocazione all’adultità, sono sempre meno capaci di generare alle vocazioni. La prima essenziale e fondante vocazione che ogni uomo e ogni donna ha è quella di essere adulto.
Così come il discorso sin qui fatto si riflette sulla questione della formazione alla vita religiosa. Non tutti gli adulti sono formatori, ma tutti i formatori debbono essere adulti; non è più un dato scontato, purtroppo, la biunivocità di scoperta della vocazione e crescita nell’adultità, nelle generazioni più giovani; lavorare per il raggiungimento dell’adultità da parte dei consacrati/delle consacrate più giovani significa ridefinire il significato della parola “consacrato/a”, il che si traduce nel seguente interrogativo: che significa “consacrato/a giovane” presso le vostre singole realtà?
- La sfida per la novità della “vita consacrata”
Mi rifaccio qui ad alcune raccomandazioni che papa Francesco vi ha rivolto in occasione dell’anno della vita consacrata, che commento brevemente, facendo eco a quanto emerso sinora.
- Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: «Dove ci sono i religiosi c‘è gioia».
Gioia nasce dal riconoscere la verità delle cose per quelle che sono. Coltivare una sana obbedienza al magistero del reale.
- Mi attendo che “svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia.
Profezia è oggi necessaria soprattutto nei confronti del mondo adulto. Risvegliare dal sonno in cui è caduto andando dietro al giovanilismo.
- I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono chiamati ad essere “esperti di comunione”.
Individualismo egoista di oggi e la prospettiva della fraternità evangelica come occasione per cambiare il verso del mondo.
- Attendo ancora da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali.
I giovani richiedono adulti come Dio comanda!
- Mi aspetto che ogni forma di vita consacrata si interroghi su quello che Dio e l’umanità di oggi domandano.
Le case dei religiosi/delle religiose come luoghi in cui si coltiva il gusto della Parola e l’arte della preghiera.