Il 18 e 19 novembre, a Varallo, si è tenuta una due giorni dal titolo “Ottocento anni dal presepe di Greccio” cui ha partecipato anche il vescovo Franco Giulio. Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia della messa che ha chiuso l’iniziativa.
Io, noi e… loro
Come i pellegrini d’un tempo, così anche noi siamo approdati di nuovo al Sacro Monte di Varallo, meta del pellegrinaggio, visitando le cappelle della nascita di Gesù. Abbiamo iniziato il nostro cammino giù in città, alla chiesa della Madonna delle Grazie, illustrando il Presepe secondo san Francesco, nell’ottavo centenario della sua “invenzione”, vale a dire della “scoperta” della rappresentazione della nascita di Gesù. Il termine deriva dal verbo latino invenire che significa cercare e trovare. Francesco “ritrova” il presepe! C’erano già state altre rappresentazioni della nascita di Gesù, di cui ho parlato ieri nell’evento sul “Presepe di Francesco”. Nel testo che ho fatto pervenire, corredato da immagini e che potrete rileggere con calma, racconto che c’erano state altre vraffigurazioni precedenti, a cominciare dalla più antica immagine della Vergine con Gesù Bambino, raffigurata nelle Catacombe di Priscilla, dipinta da un ignoto artista del III secolo all’interno di un arcosolio del II secolo. Nella tradizione bizantina la Natività di Gesù era raffigurata in una grotta, con la Vergine Maria distesa su un giaciglio, con il figlio nella mangiatoia, mentre san Giuseppe era collocato all’esterno, in disparte.
Io, noi e… loro
Due giorni sul Presepe di Francesco
19-11-2023
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La novità portata da san Francesco darà impulso a tutta la tradizione francescana, e non solo, che da lui ha origine e che concentra il suo sguardo sull’umano di Gesù, il fratello che accompagna la vita delle persone. Dobbiamo tuttavia fare attenzione perché, quando noi usiamo questa espressione, riteniamo di saper cosa sia e quale significato abbia umano, umanità, persino i diritti umani. Francesco intuisce che è importante mettere in evidenza l’umanità della nascita di Cristo, in confronto con la tradizione precedente che sottolineava prevalentemente la divinità di Gesù, anche se san Leone Magno aveva affermato – nel Tomus Leonis ad Flavianum – che Gesù è totus in suis, totus in nostris[1], vale a dire che egli è “totalmente nella sfera di Dio e ugualmente nella dimensione dell’umano”.
Nondimeno, come avete potuto ascoltare ieri, Francesco nel presepe predispone solo la scena dell’accoglienza del bambino: fa preparare la mangiatoia, il fieno, il bue e l’asino. Non fa rappresentare nessuna comparsa che impersoni il Bambino, sua Madre, san Giuseppe, i pastori o gli angeli. Egli fa preparare una scena in cui si mostrino «i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato». Ecco, dunque, cosa fa approntare perché gli occhi del corpo vedano: solo la greppia, il fieno, il bue e l’asino! Sono tre segni dell’accoglienza che invitano a dilatare il cuore, i gesti, l’azioni e la vita, perché si crei lo spazio per accogliere il Signore. Se, infatti, la nostra vita è piena di cose, non ci sarà spazio per Lui, per Gesù, e per tutti gli altri.
Ieri sera, durante il concerto della banda Città di Varallo, per cui ringrazio il qui presente maestro Colombo, aiutato dalle suggestioni del programma musicale, riflettevo su cosa stamattina avrei potuto proporvi alla fine del percorso di questa due giorni. Ho trovato come articolare il mio dire attorno a tre pronomi personali: io, noi, loro.
Io – l’anima
Per prima cosa nella banda musicale mi hanno colpito alcuni componenti, ad esempio un giovane che suonava il flauto, poi una ragazza con il suo strumento. Mentre li osservavo, come ugualmente ammiravo tutti gli altri per l’attenzione e la concentrazione impiegata nel suonare, mi sono chiesto se fosse possibile suonare così senza l’anima! Molti si chiedono se esista o meno l’anima. Infatti, mentre si ascolta un brano di musica, come quelli di ieri sera, viene da chiedersi se sia possibile suonare in tal modo senza lo spirito, senza, appunto, l’anima. Ognuno suona in modo professionale e con passione il suo strumento, ma senza un’anima come sarebbe possibile?! Ho compreso questo, allorquando un collega del seminario di Venegono, esperto di computer, venne a mostrarmi per la prima volta un programma che autonomamente muoveva i tasti di una pianola. Oggi sarà ancor più inquietante con l’arrivo dell’intelligenza artificiale. Ebbene, non ci potrà essere nessuna intelligenza artificiale che possa imitare l’anima! Infatti, quel mio collega mi dimostrò come il computer eseguiva autonomamente l’inizio (il primo movimento) della Quinta sinfonia di Beethoven. Tuttavia, egli stesso mi propose due personali esecuzioni e mi dimostrò la differenza! La prima, per quanto perfetta era anodina e metallica, quella del collega aveva un’anima, una passione, esprimeva l’“io” personale che sentiva dentro.
C’è un cortometraggio del 1979 di Fellini, il grande regista, intitolato Prova d’orchestra, giocato tutto sull’idea che ogni strumento racconta l’identità di colui che lo suona. Ogni musicista narra la sua storia e si identifica con lo strumento suonato. Nell’orchestra ciascuno, prima di eseguire la musica in gruppo, esprime la propria identità. O, meglio, attraverso il fatto che esegue la sua parte insieme agli altri, riesce a scoprire il suo “io”, la propria anima. Invito voi a perseverare nel suonare nella banda o in un’orchestra. La musica interpreta ed esprime una molteplicità di sentimenti: la gioia, la tristezza, la sofferenza, la ricerca, il sogno, ma senza l’anima tutto sarebbe arido. Così come l’arte, la letteratura, l’architettura, la pittura, la scultura devono avere un’anima. Tutta la produzione artistica dell’uomo esprime nientemeno che l’anima!
Noi – l’armonia
Ascoltando ancora voi, che ieri sera ci avete offerto il concerto, ho osservato che la bellezza di quanto avete suonato era data proprio dal fatto che, ognuno suonando il proprio strumento, lo ha fatto “sinfonicamente” con gli altri, guidati dal maestro per tenere il tempo giusto. Qui emerge il “noi”! Ahimè è il grande assente della nostra epoca moderna. Noi siamo portati a pensare che il “noi” sia l’insieme di tanti “io”, intesi come individui, ma in questo caso debbo farvi notare che la somma di tanti “io” totalizza una grandezza maggiore degli addendi. Sarà forse una strana matematica da dimostrare, ma ascoltando una banda o un’orchestra la seconda parola, dopo l’“io” in cui si esprime l’anima, manifesta la realtà del “noi” che si chiama “armonia”. Noi non siamo più una società armonica. Già la famiglia non vive più questa dimensione. Dobbiamo ritrovare il “noi”, ne parlo dopo aver vissuto la prima sessione del Sinodo che per un mese ha trattato questo argomento. Esiste una regola ermeneutica fondamentale: quando un tempo parla troppo di un argomento, rivela che gli fa difetto e che gli manca! Infatti, se una realtà è praticata, non c’è necessità di parlarne. Continuiamo a parlare di comunità, di “noi sociale”, “noi civile”, “noi ecclesiale”, e per giunta di “sinodalità”, ma non ho mai visto un tempo come il nostro nel quale ognuno fa quel che vuole!
Si parlava di armonia… oggi abbiamo ascoltato nel Vangelo la parabola dei talenti (Mt 25,14-30). Il talento per senso traslato oggi indica un’inclinazione e un dono naturale, come ad esempio quello musicale. È un talento che va coltivato fin dai primi anni di vita, basta vedere alcuni grandi artisti. Anche se i bambini di oggi, anziché potersi godere un po’ di spensieratezza, hanno talvolta un’agenda fittissima di tante e troppe cose da fare (calcio, altri sport, danza, musica, ecc.). Noi oggi siamo invitati a scoprire il talento dell’armonia sociale. Ciascuno coltiva il suo talento – dice Tommaso d’Aquino – ma solo grazie alla pratica di un lungo esercizio è possibile trasformarlo in un’abilità vera e propria. Perché diventi un vero talento, non basta la buona inclinazione, ma bisogna far crescere anche l’abilità. Ad esempio, il Maestro Colombo ha il talento di tenere insieme il gruppo musicale in tutti i suoi componenti e con le diverse particolarità. Solo suonando insieme, guidati da un ottimo direttore, potete far ascoltare ad altri l’armonia della musica. Così è nella vita personale, familiare e civile: solo con l’esercizio, faticoso e ripetuto, è possibile realizzare l’armonia della vita!
Loro – la passione
Infine, ieri sera, durante le premiazioni alla carriera, mi ha molto colpito l’insistenza sul tema dell’accesso dei giovani, dei ragazzi, di coloro che verranno dopo di noi. Il corpo bandistico di Varallo è veramente un fiore all’occhiello, non solo per la città, ma per tutta la valle. Oggi, però, occorre che questo bene prezioso sia trasmesso a “loro”, ai giovani. Il tempo speso per la scuola di musica è il più importante. Ripeto sovente che la società vive di due polmoni: la carità e l’educazione. Se c’è “tanta” carità, senza educazione, esauriremo tutte le nostre risorse e i poveri aumenteranno, anzi “si specializzeranno”. Un tempo essi si accontentavano del vestito, poi l’hanno voluto lavato – è giusto per la loro dignità, certamente! –, ma ora capita di sentire che lo vogliano griffato.
Tutti i gruppi sociali oggi sono in grave difficoltà per l’accesso dei giovani: le associazioni come la Caritas, il gruppo missionario, le forme di volontariato caritativo o culturale faticano ad arruolare giovani. I giovani hanno poca possibilità di accesso. Quelli che studiano il tema dicono che per i gruppi di volontariato la soglia di accesso per i giovani è troppo alta. Gli adulti che vi partecipano fanno fatica a cedere spazio e tempo. Eppure, noi abbiamo il grande compito di consegnare a “loro”, alla nuova generazione, la passione della solidarietà e della formazione! Come anche qui è importante trasmettere la passione dell’arte, perché molti possano fruire del Sacro Monte, perché possano entrarvi e ammirarlo, perché possano identificarsi nel grande teatro montano, il gran teatro della vita umana.
Cari amici della banda musicale Città di Varallo, voi ieri sera mi avete richiamato la bellezza della musica, perché per affascinare i giovani bisogna trasmettere la passione. Insegnate innanzitutto, prima dello strumento, la passione per la musica. Se nel bambino, nel ragazzo, nell’adolescente e nel giovane che impara a suonare, mentre diventa esperto nella tecnica con l’uso del suo strumento, non scatta lo slancio della passione, non darà l’anima per ciò che fa. E d’altra parte la passione da sola non basta, perché è richiesta anche forza e perseveranza. Così è anche nello sport dove la passione si chiama agonismo, perché ha a che fare con l’agonia, che significa lotta per la vita, vittoria della vita sulla morte.
Vi ringrazio per queste due giornate trascorse insieme. Ringrazio chi le ha organizzate; ringrazio i nostri sacerdoti e le persone che sono intervenute. Trasmettete e fate scoprire a tutti l’“io”, cioè l’anima; il “noi”, vale a dire l’armonia; e, infine, il “loro”, la passione per la musica e… per la vita.
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara
[1] «In integra ergo veri hominis perfectaque natura verus natus est Deus, totus in suis, totus in nostris — nostra autem dicimus quae in nobis ab initio Creator condidit et quae reparanda suscepit» (Tomus Leonis, in DH, 293).