La dimensione sociale dell’Eucaristia. Omelia nella festa di San Giuliano

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«Senza la messa noi saremmo una società diversa. Senza la messa in tutto l’Occidente e l’Oriente non avremmo le chiese. Altre religioni hanno luoghi di preghiera differenti. Noi chiamiamo “chiesa” questo edificio per una sorta di trasposizione di significato, ma occorre ricordare che fino al mille, e anche oltre, il termine chiesa indicava le persone che si ritrovavano insieme». Lo ha detto il vescovo Franco Giulio Brambilla nell’omelia della celebrazione della festa patrona di San Giuliano a Gozzano, lo scorso 7 gennaio.


La dimensione sociale dell’Eucaristia
Omelia nella festa di San Giuliano
07-01-2021
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Un appuntamento che celebra uno dei primi evangelizzatori del nostro territorio – insieme al fratello Giulio – e che il vescovo ha voluto dedicare alla riflessione di come proprio la fede cristiana – e il suo cuore, la celebrazione dell’Eucaristia – abbia cambiato e plasmato il nostro vivere sociale. Articolando la riflessione proposta in tre punti: «Senza Eucaristia non avremmo una società capace di gratuità; senza Eucaristia non avremmo una società capace di buoni legami; senza Eucaristia non avremmo una società capace di carità. Eucaristia e gratuità, Eucaristia e buoni legami, Eucaristia e carità, sono i tre risvolti sociali della Messa. Questo vale per la Messa che celebriamo qui e ora, così come per ogni domenica, in cui si celebra la Messa “per eccellenza”, pasqua della settimana».

Ecco il testo completo della sua omelia.

 

La dimensione sociale dell’Eucaristia

Omelia nella festa di San Giuliano

 

Un saluto affettuoso e cordiale
a tutti voi che siete presenti:
ai sindaci, ai sacerdoti e religiosi,
alla comunità cristiana di Gozzano.

 

Carissimi, ogni anno onorate con la vostra presenza il legame di affetto con la festa di San Giuliano e poi tornate ancora numerosi per l’altra festa di fine mese all’Isola di san Giulio. Queste feste sono collegate ai due missionari, Giuliano e Giulio, di cui abbiamo raccontato più volte la storia durante questi nove anni. Arrivati da lontano, dalle isole della Grecia, essi sono diventati il punto di riferimento per questa area geografica, che ha un particolare legame con il vescovo di Novara, il quale fu per lungo tempo principe della Riviera, difendendo il territorio in alcuni periodi della sua storia anche dalle mire espansionistiche dei vari imperatori che l’attraversarono, preservandone il tessuto e le radici religiose e culturali, sino ad approdare ai nostri giorni.

Quest’anno ci ritroviamo cercando di tenere il filo tra il primo lockdown e il secondo, un filo che è quasi un lume acceso, con la partecipazione alla messa che ci ricorda cosa sarebbe la società senza un minimo di vita comunitaria. In questi mesi pochi hanno fatto notare che nessun focolaio è partito da una chiesa, perché si possono fare bene le cose, senza forzare la situazione. Infine, salutiamo affettuosamente tutti coloro che sono collegati via streaming.

Come ha detto don Enzo, ogni anno sviluppiamo un tema collegato con la lettera pastorale che traccia il cammino della Chiesa diocesana. È un paradosso che si parli della celebrazione dell’Eucaristia o della Messa, proprio nell’anno in cui abbiamo patito in modo più grave la sua mancanza! È come se parlassimo della salute a uno che è malato o del lavoro a chi non ce l’ha. Forse siamo nella condizione migliore per intenderne il valore.

Oggi siamo perciò più recettivi per comprendere le tre dimensioni con cui intendo illustrare la dimensione sociale dell’Eucaristia. Senza la messa noi saremmo una società diversa. Senza la messa in tutto l’Occidente e l’Oriente non avremmo le chiese. Altre religioni hanno luoghi di preghiera differenti. Noi chiamiamo “chiesa” questo edificio per una sorta di trasposizione di significato, ma occorre ricordare che fino al mille, e anche oltre, il termine chiesa indicava le persone che si ritrovavano insieme. Più che al contenitore ci si riferiva al contenuto. Mentre, per metonimia, il contenitore è passato successivamente ad indicare le varie tipologie del luogo di riunione dell’assemblea liturgica. Per esempio la “chiesa domestica” (domus ecclesiae), perché all’inizio del cristianesimo, fino al 313, erano le case romane il luogo della riunione ecclesiale. “Chiesa” viene dal greco ek-klesìa che significa “con-vocazione”, chiamata a convergere in unità da molti luoghi e differenti provenienze.

Poi è venuta la basilica paleocristiana, la chiesa romanica, la cattedrale gotica, le chiese dell’osservanza francescana, con un loro stile sobrio (indimenticabile la basilica di Assisi e qui da noi la Chiesa delle Grazie a Varallo), e ancora la basilica rinascimentale (come quella di san Pietro), fino alle chiese barocche e neoclassiche dell’Ottocento, e da ultimo, le nostre chiese simili un po’ ad hangar nel Novecento. Da tutto ciò si coglie che ogni comunità ha espresso nella chiesa la propria immagine di Dio, dell’uomo e del mondo. Nella chiesa di mura e nella comunità di persone si riflette l’immagine di Dio, dell’uomo e del mondo d’ogni epoca. Per questo la casa della comunità è sempre stata custodita con grande cura. Se riuscissimo a raccontare la storia di ciascuna colonna, di ogni fregio e suppellettile di questa chiesa, vi scorgeremmo il sedimento di quattro o cinque secoli, a seconda dell’antichità della chiesa.

Ora, però, voglio parlarvi della Chiesa di persone. Svolgerò tre brevi cenni in rapporto alla Messa e al suo rilievo sociale. Potremmo affermare che: 1) senza Eucaristia non avremmo una società capace di gratuità; 2) senza Eucaristia non avremmo una società capace di buoni legami; 3) senza Eucaristia non avremmo una società capace di carità. Eucaristia e gratuità, Eucaristia e buoni legami, Eucaristia e carità, sono i tre risvolti sociali della Messa. Questo vale per la Messa che celebriamo qui e ora, così come per ogni domenica, in cui si celebra la Messa “per eccellenza”, pasqua della settimana.

  1. Eucaristia e gratuità

A prima vista, l’Eucaristia è il tempo in cui perdiamo un’ora alla settimana per la preghiera e per convenire insieme. Noi vescovi e preti non abbiamo il coraggio di dire che bisogna dedicare un’ora alla settimana, perché questo perdere tempo non è tempo perso! È il tempo – e quest’anno lo abbiamo potuto sperimentare –  in cui si mostra cosa sarebbe una società magari libera, ma  senza un cuore, senza un punto di riferimento e un luogo di convergenza. Una società che non ha un “roveto” a cui andare a riscaldarsi.

La prima lettura (At 6,1-7), in proposito, ci fa riflettere sul rapporto tra Eucaristia e gratuità. La dimensione gratuita della vita si esprime nel fatto che l’uomo non vive solo di beni, ma anche di parola. L’Eucaristia è sostanzialmente un rito in cui ci scambiamo gesti e parole. Si vive anche di questo, soprattutto di pane e Parola. Lo stesso nome ne custodisce il segreto: eucharistein significa “rendere grazie” che è l’atto con cui accogliamo la vita come dono gratuito.

Come abbiamo ascoltato dalla prima lettura, nella comunità degli Apostoli ci fu all’inizio un momento di crisi tra il gruppo giudaico e il gruppo ellenistico. Pur animati da buona volontà, i primi cristiani dovettero superare la tentazione dei favoritismi (le vedove trascurate) e cercarono di risolvere la situazione. La nomina dei primi sette diaconi intendeva risolvere le disparità del servizio alle mense, mentre gli Apostoli scelsero di dedicarsi al ministero della preghiera e della Parola. Il pane e la Parola sono i due elementi di cui vive una società.

Mi rivolgo a voi sindaci: provate a pensare quanto tempo, quante risorse ed energie dovete mettere a disposizione per costruire una società armonica ed equilibrata. Forse avrete notato che la fatica più grande non è tanto quella della disponibilità dei beni, ma è l’impegno per favorire che le persone abbiano la capacità, attraverso l’esercizio della parola, di scambiarsi dei beni, che siano effettivamente recepiti come tali e non soltanto come un diritto, ma un diritto che genera doveri e adesione ai valori. Senza duemila anni di Eucaristia, non avremmo una società armonica nel rapporto tra beni e parole. Queste sono come il sale che dà sapore ai beni della vita (cfr. Mt 5,13-16, vangelo della festa). Non ci rendiamo conto che la messa, un rito che accompagna la comunità di domenica in domenica, educa il cuore della gente e la sua vita al rapporto tra pane e parola. Per aprirsi al dono della Parola che viene dall’alto e del pane che scende dal cielo.

Basta riferirsi a un’esperienza che facciamo tutti: se in famiglia, in questi giorni di festa, avevamo una tavola imbandita, ma c’era in casa una persona gravemente ammalata, o c’era mancanza di lavoro, oppure v’erano problemi tra marito e moglie, avremmo fatto l’esperienza di una tavola che non funziona, di una famiglia che fatica a vivere insieme. Su una tavola così diventa tutto amaro, immangiabile, incommestibile. Il dono dell’Eucaristia preserva nelle relazioni umane il valore della gratuità. Tutti noi intrecciamo relazioni in base alla previsione attuale o futura di un ritorno e le nostre alleanze sono tutte vagamente interessate. L’Eucaristia, invece, plasma nella famiglia e nella società il valore della gratuità.

  1. Eucaristia e buoni legami

Il secondo motivo è quello più difficile: il rapporto tra Eucaristia e buoni legami. Se la Chiesa non facesse nient’altro che costruire buoni legami tra le persone e – lo dico per paradosso – non aiutasse neanche un povero, avremmo comunque realizzata la situazione ideale per aiutare gli stessi poveri, perché l’unico modo per non avere i poveri è costruire una società dei buoni legami, è far sì che i poveri siano liberati dalla loro povertà! Ma come si fa a superare la povertà? Bisogna appunto costruire dei legami buoni.

Cosa significa, allora, costruire legami buoni? Noi li designiamo con il termine comunione o buone relazioni. Si tratta del rapporto con l’altro basato non solo sull’utile o sul piacevole, ma vissuto per compiere il bene! Vi sono rapporti fondati sull’utile, che si riferiscono a un elementare senso di giustizia: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me; vi sono relazioni basate sul piacevole: è il tema dell’amicizia, su cui hanno riflettuto tutti i filosofi dell’antichità, da Aristotele a Cicerone. Senza i legami di amicizia la società sarebbe solo un insieme di individui, un arcipelago di isole. Oggi dobbiamo lottare contro questa immagine del vivere sociale, in cui ciascuno vive come se fosse su  un’isola. Infine, vi sono relazioni che si riferiscono al bene, ai legami buoni, capaci di costruire relazioni fraterne.

Questo è il punto critico dell’efficacia dell’Eucaristia sulla società. L’Eucaristia della Chiesa crea una comunità di pietre vive. È un’immagine tratta dalla seconda lettura (cfr 1Pt 2,5) che ho già avuto modo di commentare e che è stata anche il tema di una mia lettera pastorale precedente. Costruire una Chiesa di pietre vive significa incastrare le pietre, sagomarle, perché entrino a costruire il grande concerto della cattedrale. Costruire una Chiesa di pietre vive significa rendere le pietre duttili e levigate, connesse e compaginate, mentre di solito il sasso è amorfo, inanimato e rigido. È il grande contributo che l’Eucaristia dà alla società. Nelle nostre parrocchie questo è il problema più acuto: gruppi che si scontrano, personalismi che partono anche da valori giusti, ma che sono fatti valere in modo unilaterale. L’Eucaristia invece custodisce il modo singolare di fare la comunità cristiana che non azzera le differenze, ma che promuove la comunione attraverso le differenze. Significativo è l’esempio delle comunità come quella delle monache sull’Isola, che devono tenersi armonicamente insieme con le loro storie e singole personalità! Questo è il dono dell’Eucaristia. La Messa fa di un corpo sociale disperso, di membra disparate, un unico corpo coeso, collaborante e vivo. Noi spesso confondiamo la carità con il servizio al povero e non consideriamo la costruzione di legami buoni e fraterni. La carità servizio è l’espressione concreta della carità fraterna.

  1. Eucaristia e carità

Gesù ci ha assicurato che “i poveri saranno sempre con noi” (cfr. Mt 26,11; Mc 14,7; Gv 12,8). Il valore aggiunto che il cristianesimo ha introdotto non riguarda soltanto il servizio ai poveri, ma il compito di liberarli dalla loro povertà. Non basta saziare la fame, non basta accogliere l’immigrato, ma occorre farlo diventare un cittadino appartenente a questa società con le sue responsabilità e i suoi doveri. Questo è un processo più complesso che riporta al tema dei buoni legami. Ciò che è proprio del cristianesimo e dell’Eucaristia è di interessarsi alla persona e di costruire rapporti di comunione.

Non bisogna solo sfamare i poveri, ma è necessario introdurli nel legame della fraternità, che è certamente cosa più impegnativa. Ciò ci riporta al punto iniziale, al rapporto tra beni e Parola, l’unico legame che fa respirare la vita. Possiamo dire tutto questo con buona coscienza, perché sappiamo che a partire dall’Eucaristia la Chiesa è stata nella storia e continua ad essere sino ad oggi una chiesa della carità. Una nube interminabile di testimoni ha mostrato la valenza sociale dell’Eucaristia nel servizio ai poveri di ogni tempo. Ma la sua azione è stata più efficace non tanto per il numero di poveri che ha servito, ma per le persone che ha coinvolto nella stessa avventura. Tutti i santi della carità sono stati grandi trascinatori.

Questo mi sono sentito di dirvi nel giorno della vostra festa. L’augurio che porgo alle comunità del Cusio, che sono ancora comunità vive, è di saper mantenere la capacità che ha l’Eucaristia di influire sulla vita sociale, per introdurvi il balsamo della gratuità, la forza della comunione e il dono della carità.

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara