La famiglia e le parole, i gesti, le partenze. Omelia per San Giuliano

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Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia tenuta da mons. Franco Giulio Brambilla nella basilica di Gozzano, per la festa patrnale di San Giuliano, lo scorso 7 gennaio.

 

La famiglia e le parole, i gesti, le partenze

Un cordiale saluto a tutte le persone a cui il parroco all’inizio della celebrazione eucaristica ha già rivolto distintamente la sua parola e di cui riconosco i volti, dal momento che è da un po’ di anni che ci frequentiamo, soprattutto in questa occasione. In ordine di tempo è la prima delle tre ricorrenze dei santi patroni della diocesi: oggi san Giuliano, poi il 22 gennaio san Gaudenzio e a fine mese San Giulio, santi chiamati anche popolarmente “mercanti di neve”, anche se ormai la neve non si vede più!

Questa celebrazione, appena dopo l’Epifania, ci segnala che l’anno ha già mosso i suoi primi passi e ci consente quindi di fare la nostra riflessione con lo sguardo rivolto al tempo appena iniziato. Se nelle scorse occasioni più volte avevo trattato del tema della ripartenza, ora non ne parlerò più, nella speranza che ciò si avveri concretamente.


La famiglia e le parole, i gesti, le partenze
Omelia nella festa di San Giuliano
07-01-2023
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Propongo, allora, la mia riflessione focalizzandomi su uno dei punti più importanti della realtà e dei più decisivi della nostra società che è la famiglia. Non solo per la caratteristica tipicamente italiana di avere una società ancora molto incentrata su di essa, come documentano le statistiche. Nonostante tutti i cambiamenti e le erosioni culturali, esse dicono che i nostri figli, una volta sposati (o anche conviventi), abitano entro un chilometro dalla casa dei genitori, se non devono andare lontano per motivi di lavoro. Quelli che stanno vicini alla casa dei genitori sono una cifra molto alta: prima del periodo Covid si aggirava attorno al 45%, se non ricordo male. Al contrario le altre nazioni europee, riguardo a questo dato, hanno uno scarto di circa venti punti percentuali in meno, perché c’è un sistematico allontanamento dalla famiglia d’origine fin da giovani, al compimento della maggiore età, e perciò una precoce autonomia di vita.

Riguardo, dunque, al tema della famiglia non possiamo immaginare di perdere o trascurare questo soggetto che è costitutivo della trama e dell’intreccio della vita sociale, tant’è vero che, come si dice, la famiglia è la prima cellula della società. È ben noto il mio interesse e anche la mia riflessione che ho proposto dapprima nella lettera pastorale, dal titolo Lessico familiare, come se fosse un alfabeto familiare. In quel caso ho svolto sette termini per sette lettere dell’alfabeto, lasciando all’intuizione dei lettori la precisazione per le restanti quattordici lettere dell’alfabeto italiano. Il vostro parroco ha suggerito, cambiandone alcune, così com’era possibile e previsto, alcune voci, riportandole sul cartoncino che vi verrà consegnato a ricordo di questa celebrazione.

Nel mese di maggio ho poi pubblicato un volumetto (Amoris laetitia, un amore concreto, Queriniana, Brescia 2022) che mette maggiormente in luce la famiglia sotto l’aspetto delle sue stagioni lungo il cammino della vita: la preparazione al matrimonio, i primi anni insieme, il momento nel quale i figli diventano adulti, e infine l’ultima età della vita unitamente ai temi del lavoro, della festa, del perdono e della riconciliazione. Pertanto, da una parte, nella lettera pastorale, sottolineo maggiormente lo stile della vita familiare, e dall’altra, nel libro, le età e le stagioni della vita della famiglia.

Oggi desidero, a mo’ di pennellate, consegnarvi la mia riflessione su tre temi che mi stanno particolarmente a cuore: la famiglia e le parole; la famiglia e i gesti; la famiglia e le partenze.

  1. La famiglia e le parole

Il primo è un punto importante. A volte ho suggerito ai ragazzi della cresima questo esercizio: mentre si è a tavola durante il pranzo della domenica, di nascondere un registratore sotto la tovaglia senza avvisare nessuno. Suggerisco di non farlo lungo la settimana, perché sono contesti ben diversi dello stare a tavola. Infatti quando si torna dal lavoro si fa mensa per cibarsi e vivere, mentre la domenica si fa pranzo, un momento in cui si rinsaldano le relazioni per regalarsi del tempo e la presenza insieme. Questo semplice gioco mette però in evidenza cosa si dice, di che cosa si parla, oppure ciò di cui non si parla, durante il pranzo della domenica!

Sovente le nostre sono parole che indicano impegni, compiti, rimproveri, malumori, risentimenti, persino qualche alzata di voce. Difficilmente sono parole “edificanti”, vale a dire che costruiscono, che aprono alla speranza. La parola edificante non elenca le cose da fare, non assilla, ma apre il cuore, aiuta a ponderare le cose della vita, sottolinea il positivo e mette la sordina sul negativo. I bambini imparano le parole per la prima volta in casa. Uno dei misteri più grandi dell’homo sapiens, che siamo noi, è di come un bimbino riesca ad apprendere la lingua nel giro di due/tre anni. Là dove ci fossero i due genitori di un bambo, con anche un fratello, i quali parlassero tre lingue diverse, e mantenessero sempre con rigore il parlare solo nella propria lingua, quel bambino imparerebbe distintamente e senza nessun problema tre lingue. È un mistero, perché all’inizio il bambino raccoglie le parole come se fossero blocchetti di “lego” e poi passa a fare le combinazioni più articolate e complesse. Sono le sorprese della lingua di un bambino di tre/quattro anni che stupiscono e meravigliano i genitori e i parenti!

Ci sono poi le parole che, più avanti durante la fanciullezza, hanno la forza di aprire il ragazzo e la ragazza al mondo. Freud, nonostante la sua grandezza di iniziatore della psicanalisi, nel caso della fanciullezza (5-11 anni) ci ha un po’ depistato, perché ha definito questa stagione della vita l’età della latenza, in quanto tacciono le pulsioni sessuali, perché egli segue tale registro per distinguere e interpretare le età della vita. Il ragazzo delle elementari vive invece un’età creativa, libera di esplorare il mondo. Purtroppo, però non viene lasciata al ragazzo e alla ragazza di quell’età la libertà del gioco e della fantasia: basta vedere l’agenda di un bambino di 6-11 anni, piena di mille cose e attività da fare, più intasata di quella di un vescovo!

Per il bambino di tale età si tratta di una parola che lo fa vivere e la forma di questa parola è il racconto: il racconto della sera, per passare dalla chiarezza luminosa del giorno al buio pauroso della notte. Questi passaggi sono sentiti come pericolosi dai bambini; essi si sentono minacciati e hanno bisogno del soccorso e del racconto dei genitori perché li aiutino a trovare il filo rosso della storia: il racconto che si ascolta raccoglie i frammenti della giornata e gli eventi della propria famiglia. Ritornando al registratore vocale del nostro pranzo, è utile ogni tanto riascoltare cosa e come ci siamo parlati, perché la parola scambiata deve essere edificante. Anche nella stagione difficile dell’adolescente, non bisogna mai perdere il rapporto con lui e con la parola che l’accompagna…

  1. La famiglia e i gesti

Il secondo tema notevole riguarda la famiglia e i gesti. Anche per questo aspetto stiamo diventando avari, poveri di gesti. Un tempo le famiglie si identificavano proprio per la loro tradizione familiare e alcuni erano costanti nella fedeltà ai gesti della propria famiglia, con azioni che la identificavano, che le attribuivano un’identità, attraverso addirittura il richiamo al cognome e alla parentela. Pensiamo ai gesti che si compivano in alcune occasioni dell’anno, come a Natale o a Pasqua. L’omologazione generale ci ha spinti a fare i gesti famigliari copiando ed emulando quelli degli altri. Il cucciolo d’uomo, il bambino, che è un animale mimetico, cioè colui che imita – in particolare il papà – deve essere aiutato non solo ad agire, ma a fare azioni che siano costruttive.

Si tratta, come ama dire papa Francesco, dell’“eloquenza dei gesti”, perché anche i gesti “parlano”. Se il papà e la mamma pregano, se il papà ripete durante la settimana un’azione in cui mostra la sua abilità, questo sarà ritenuto importante dal ragazzo o dalla ragazza. Tra i grandi educatori cito san Filippo Neri, il quale diceva che la predica fatta dal prete in chiesa deve essere solo a metà, mai per intero, in modo che l’altra metà possa essere completata dal papà e dalla mamma entro le mura domestiche. San Filippo Neri fu il più grande riformatore a Roma, un’impresa non facile, eppure tra i suoi oratoriani ebbe ben venti vescovi e tre cardinali, tra cui Federigo Borromeo, nipote di san Carlo. Non sappiamo se il Manzoni conoscesse questa raccomandazione del santo, ma nel famoso capitolo XXIV[1] de I promessi sposi,  là dove si parla della visita del cardinal Federigo Borromeo ad una parrocchia dove era anche don Abbondio, si racconta del sarto che, rientrando a casa riprende a tavola la predica che ha ascoltato, e poi prende un piatto, con una fetta di polenta e altre vivande, e manda da una vedova, vicina di casa, la figlia, raccomandandole di non far pesare quell’atto di carità come gesto d’elemosina!

Così è l’eloquenza dei gesti, tutto quello facciamo, anche lo sport e il divertimento, le nostre scelte di vita, cosa e come acquistiamo… diventano un evento parlante. Ricordo un fatto drammatico: un adolescente da quattordici a sedici anni si era fatto regalare dalla famiglia che conoscevo, diverse moto abbastanza costose, spendendo però più soldi in optionals di quanto costassero le moto stesse. I suoi genitori preoccupati vennero a chieder consiglio da me per dare una dritta al figlio per questo spreco, ma la contraddizione del papà e della mamma stava nel fatto di aver speso tanto denaro nel fare un viaggio quell’estate all’estero. Il figlio sembrava sordo ai richiami dei genitori, ma aveva la vista molto attenta, ed era difficile chiedere al figlio un ridimensionamento delle sue pretese! Ecco l’eloquenza dei gesti… 

  1. La famiglia e le partenze

L’ultimo cenno riguarda la famiglia e le partenze. Il tema nella sua interezza dovrebbe recitare: la famiglia e gli arrivi e le partenze. Per arrivi intendo le nascite che, come è noto, sono crollate, ma sono fondamentali anche le partenze, poiché introducono un dinamismo nella vita della famiglia. Oggi noi siamo in grande difficoltà con le partenze. Sia quando parte una persona cara, mettendoci dinanzi al tema della morte, sia quando i figli lasciano la casa natale. In questa età, la famiglia con la parola e il gesto dev’essere in modo particolare “edificante” e incoraggiante.

Occorre ricordare alle famiglie che la partenza dei figli non è solo una perdita, ma è una perdita per il momento, in vista di un guadagno più grande domani. E non per un mero calcolo di opportunità, ma perché il gesto di lasciar partire il figlio, significa riaverlo domani da grande. Termina il periodo della sua dipendenza dai genitori, ma non finisce la relazione coi genitori, anzi matura in una relazione da adulto. Il tempo della partenza è la stagione in cui un figlio sfida il suo futuro e matura nella sua identità.

La mia generazione talvolta se ne andava sbattendo la porta di casa e con lo zaino in spalla, negli anni settanta e ottanta del Novecento. Oggi i figli non riescono più a partire, anche a motivo dell’incapacità di affrontare in modo adeguato l’acquisto della casa e le spese del proprio mantenimento (ad esempio, le bollette per i consumi delle varie utenze, oggi più che mai preoccupanti). Occorre allora aiutare i figli a partire, poiché la vita si forma, cresce con queste separazioni. E la partenza è una separazione. Anche per questo motivo la morte è diventata una cosa drammaticissima, perché non siamo più abituati alle altre piccole separazioni, che accadono lungo l’arco della vita.

Ecco, in sintesi: la famiglia e le parole, la famiglia i gesti, la famiglia e le partenze. Vi auguro che questa breve riflessione ci aiuti a iniziare con nuovo slancio quest’anno!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara


[1] Da “I PROMESSI SPOSI” di A. MANZONI, cap. XXIV: Il sarto cominciò, ai primi bocconi, a discorrere con grand’enfasi, in mezzo all’interruzioni de’ ragazzi, che mangiavano ritti intorno alla tavola, e che in verità avevano viste troppe cose straordinarie, per fare alla lunga la sola parte d’ascoltatori. Descriveva le cerimonie solenni, poi saltava a parlare della conversione miracolosa. Ma ciò che gli aveva fatto più impressione, e su cui tornava più spesso, era la predica del cardinale. []Qui interruppe il discorso da sé, come sorpreso da un pensiero. Stette un momento; poi mise insieme un piatto delle vivande ch’eran sulla tavola, e aggiuntovi un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro cocche, disse alla sua bambinetta maggiore: – piglia qui -. Le diede nell’altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: – va’ qui da Maria vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera, ve’; che non paia che tu le faccia l’elemosina”.