Sabato 14 settembre, il vescovo Franco Giulio ha presieduto, nella basilica dell’isola di san Giulio, la celebrazione per la professione monastica di suor Maria Cristiana, del monastero Mater Ecclesiae.
Di seguito, il testo integrale dell’omelia.
La vita monastica come esodo
Cara sorella Maria Cristiana,
cara Madre e sorelle monache,
cari voi tutti che siete convenuti,
oggi siamo come una famiglia raccolta e rappresentiamo quasi un piccolo cenacolo. L’intensità del momento non dipende dal numero di presenze, ma dalla risonanza del cuore. Alcuni anni fa ebbi l’occasione di conoscere il grande esegeta spagnolo Luis Alonso Schökel (Madrid, 1920 – Salamanca, 10 luglio 1998), – famoso anche per la traduzione in lingua spagnola dei salmi, tanto che la Conferenza episcopale spagnola la assunse come testo ufficiale – il quale, tenendo un corso biblico sul Libro dell’Esodo, spiegava come la struttura del libro è contrassegnata da tre verbi: uscire (o salire) da, passare attraverso, per entrare nella terra. Potremmo dire che la vocazione monastica, così come ogni vocazione cristiana, è come un grande esodo, che impone di uscire dall’Egitto, passare attraverso il deserto meraviglioso ma anche periglioso, per entrare nella terra dove scorrono latte e miele.
LA VITA MONASTICA COME ESODO
Professione monastica di Suor Maria Cristiana osb
14-09-2024 Download
Le tre letture che abbiamo ascoltato potrebbero essere inanellate sul canovaccio di questi tre verbi.
1. Uscire da…
La prima lettura, che amo molto poiché è la lettura più significativa per noi dal nostro punto di partenza contemporaneo incentrato sull’uomo, ci dice che uscire dall’Egitto, salire dall’Egitto non è mai una facile operazione, lascia sempre un po’ di nostalgia e di amaro in bocca. E il testo ne esplicita il motivo:
“Il popolo disse contro Dio e contro Mosè…” (Nm 21,5a)
Perché quando uno è in difficoltà si scaglia contro Dio, ma anche contro chi lo rappresenta… E prosegue:
“Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto?” (Nm 21, 5b)
L’esperienza personale di suor Maria Cristiana dice che anch’ella ha viaggiato molto. Essendo partita dal Brasile – per questo con un messaggio ho reso partecipe del nostro evento il cardinale arcivescovo di Brasilia che ho potuto conoscere al Sinodo universale dello scorso anno – è poi arrivata in Italia, ha studiato a Roma e finalmente è approdata a quest’Isola. Anche lei è uscita dal suo paese… Occorre vigilare perché l’amaro della nostalgia può riemergere da un momento all’altro, sia durante i momenti di preparazione, ma anche in seguito quando tutto sembra già ormai consolidato. È interessante notare come un’importante tappa della vita quale la professione non segna, una volta per tutte, la fine dei momenti di nostalgia. Ciò è provocato dallo scarto tra i mezzi di sostentamento che ci sono nel deserto e quelli che ci fanno rimpiangere “l’Egitto” (i coriandoli della carne e le cipolle). Allora questa nostalgia potrà sempre emergere come dice bene il testo:
“Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero” (Nm 21, 5c).
Il cibo leggero è la manna. La manna, il cui nome è una domanda “man-hu/מָן הוּא/che cos’è?” è un cibo per comprendere il quale è necessario domandarsi che cos’è questo cibo che ci nutre qui e ora. Tanto è vero che poi nella tradizione delle “vite di Mosè” e della mistica ebraica assumerà tutti i sapori e tutti i colori, perché è insopportabile un cibo così leggero e nauseante. Ecco, questo è il nostro punto di partenza.
Il seguito del brano diventa impressionante con la presenza di serpenti brucianti. Ricordiamo il serpente che sta all’inizio, al centro della Bibbia (il bambino che mette la mano sulla tana dell’aspide, Is 11,8) fino al grande dragone che tira giù un terzo delle stelle del cielo (Ap 12,4). Il serpente è e rimane creatura, e non ha tratti demoniaci come verrà descritto invece nel libro della Sapienza, perché resta sotto il controllo di Dio, sotto la signoria divina. Tuttavia la sua postura tortuosa, rappresenta il fatto che si insinua dovunque. E pertanto può spuntare da qualsiasi parte attorno a noi. Mosè compie un rito sicuramente antico che consiste nell’innalzare un serpente di bronzo sul quale tornerà anche l’evangelista Giovanni nel suo Vangelo. Mosè compie tale rito come antidoto al morso del serpente. Questa prima riflessione ci dice che non bisogna sottovalutare la possibilità dell’insinuarsi della nostalgia. Nella vita di ogni persona, come ammonisce la Scrittura stessa, occorre vigilare per non cadere. I tre momenti del cammino esodico che ho elencato non sono i tre tempi di un film, ma sono tre fili intrecciati, o meglio tre situazioni che possono ripresentarsi. Siamo invitati di continuo a uscire da…
Ce lo ha ricordato in modo efficace papa Francesco, quando nel capodanno del 2014, citando l’attore Benigni, disse che per il Signore fu più facile togliere gli israeliti dall’Egitto che togliere l’Egitto dal cuore degli israeliti! (Cfr. Omelia nella Celebrazione dei primi vespri della solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e Te Deum di ringraziamento, Basilica Vaticana Mercoledì, 31 dicembre 2014)[1]. E come un gioco di parole sull’Egitto reale e l’Egitto mitico… ma quello mitico è difficile da estirpare poiché ci resta dentro e si ripresenta come nostalgia del cibo succulento, pur nella condizioni di schiavi, piuttosto che il cibo amaro, che è il prezzo della libertà!
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Passare attraverso…
Il secondo verbo, che traggo dalla seconda lettura, dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi è passare attraverso. Per gli Israeliti durò quarant’anni, per noi dura lungo tutto il periodo della vita. Il brano che abbiamo ascoltato è d’una bellezza sconfinata, soprattutto se pensiamo che probabilmente è il primo testo nel quale emerge il tema della giustificazione. La datazione della lettera pone alcune questioni, non essendo certi che sia stata scritta prima o dopo quella indirizzata ai Galati, dove il tema predetto è più evidente, anche se non manca neppure qualche riferimento nel brano letto oggi. E per suor Maria Cristiana è da intendersi come un programma di vita.
“Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. (Fil 3,8a)
La regola fondamentale della vita che persino vescovi e presbiteri fanno fatica a comprendere si chiama la legge dei pieni e dei vuoti. Se sentiamo un vuoto è perché non abbiamo qualcosa che lo colmi. E, solo quando lo riempiamo di altro, non avvertiamo il vuoto precedente. Non si può lasciare il primo amore se per un amore più grande, altrimenti il primo si riprende la sua parte e il suo spazio. Molte crisi nella vita dei preti e persino dei vescovi, fors’anche delle monache, è dovuto a questo. Chi cercasse di fare il vuoto senza innamorarsi di qualcosa di più grande va in crisi! Questo succede anche nella storia di molti matrimoni che falliscono a causa di una cattiva partenza da casa. Si sono staccati solo apparentemente dalla prima casa, rendendo praticamente vuoto nella vita e nel sacramento il matrimonio, perché non è avvenuto un vero matrimonio, ma esso è diventato l’occasione utilitarista per fuggire dalla casa dei genitori e dalla realtà. Non è facile neanche da parte degli psicologi esprimere in modo chiaro questo pericolo. San Paolo al contrario considera che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Bisogna rimanere attaccati a questa tavola di salvezza, come dicevano gli antichi padri.
Quale significato ha poi l’espressione: La sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore? Innanzitutto si tratta di una conoscenza che si guadagna non con le opere della Legge, ma con la fede. Si guadagna non mettendo mattone su mattone per costruirci un piedistallo su cui essere ammirati, ma attraverso appunto la fede. Per questo san Paolo, al di là dell’antica questione che lo vedrebbe in opposizione al regime delle opere, intende affermare che la fede è più importante, se le opere sono l’occasione per menar vanto e ingigantire il nostro ego. Per cui San Paolo, che fu uomo dai sentimenti forti, continua:
“Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo” (Fil 3,8b-9a).
Il regime della Legge ha al centro l’io, sono “io che compio e faccio il bene!”. Il regime della fede al centro ha Dio, sono “io che mi affido a Dio”. È sempre il soggetto “io”, ma nel primo caso il soggetto è autocentrato, nel secondo è eterocentrato. Non si tratta tanto di accumulare meriti attraverso un’infinità di cose fatte, ma si tratta di comprendere se la vita è costruita esclusivamente con al centro l’ “io” o “Dio”.
Desidero poi che tu suor Maria Cristiana possa annotare come importantissime per te le esplicitazioni che seguono:
“Perché io possa conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti”. (Fil 3, 10-11a).
Il passare attraverso è nientemeno che il mistero pasquale! E da qui deriva una specie di timbro consolante attraverso una frase che ripetiamo con frequenza:
“Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione – non dobbiamo dimenticare che esiste anche un démone della perfezione, come uno dei serpenti evocati all’inizio, tanto che anche l’espressione di Gesù: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5, 48) meriterebbe un’esegesi un po’ più approfondita! – ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”. (Fil 3, 12)
Passare attraverso: questa è la vita monastica; ma direi semplicemente che questa è la vita cristiana, dato che la vita monastica è la radicalità della vita cristiana!
- Per entrare nella terra
Il terzo verbo, come si è detto è: per entrare…, vale a dire per entrare nella terra promessa! La parola “promessa” significa tre cose: la prima sta ad indicare una cosa messa davanti ed ha una connotazione spaziale (prospiciente); la seconda indica una realtà che è disposta a favore di qualcuno, come quando si usa la particella pro missioni o terzo mondo (a favore di) ed ha una connotazione solidale; il terzo significato è di sottile comprensione, per cui la promessa sta davanti a me, è un appello rivolto a me perché io risponda (provocazione) ed ha un significato vocazionale. La promessa è per definizione quel dono a cui noi dobbiamo aderire, che è presente ma che non si esaurisce mai, perché è la terra in cui scorrono latte e miele[2].
È la terra delle beatitudini, come abbiamo ascoltato nella terza pagina della Liturgia della Parola di questa celebrazione. Sappiamo che alla fine del percorso dell’esodo, Mosè, colui che guidò il popolo fuori dall’Egitto, non entrò nella terra promessa, ma la poté scorgere solo da lontano (Dt 34,4c). Non vi è la certezza di poter accedere alla terra promessa! Essa esprime il carattere di gratuità assoluta del cristianesimo, per cui la fede cristiana è un patto, è un’alleanza. Nel deserto, infatti, la promessa custodisce il dono della Legge, che è il patto di alleanza tra Dio e il suo popolo. L’alleanza è suggellata dai comandamenti che domandano di ricevere sempre la promessa come dono gratuito e mai come sicuro possesso. Ma in questo sta la sorpresa: in tale scarto incolmabile – al quale corrisponde il fatto che noi non siamo soggetti di bisogni, ma soggetti di desiderio – la differenza tra bisogno e desiderio consiste nel fatto che il bisogno è come una sacca che, una volta riempita, ha colmato definitivamente la sua attesa; mentre il desiderio trova nella sua origine etimologica il suo significato: è termine di origine marinara, de (mancanza) – sidus (stella) che esprime la mancanza, la nostalgia, la ricerca della stella che guida nella navigazione sul mare, come la Stella polare. La stella potrà riflettersi sulle onde, dandoci quasi l’impressione di poterla afferrare, ma invece rimane sempre là in cielo; quello che noi possiamo forse toccare è sempre un riflesso. Tale è e rimane l’oggetto gratuito del desiderio. È la beatitudine, che è desiderio e dono.
Auguro a te, suor Maria Cristiana di sperimentare la beatitudine per tanti giorni. Un giorno sei arrivata su questa isola e al monastero che il vescovo Aldo in passato ha donato alla comunità monastica e dunque ti auguro di essere insieme alle sorelle un segno che qui “scorre latte e miele”.
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara
[1] Papa Francesco: (…) Diceva qualche giorno fa un grande artista italiano che per il Signore fu più facile togliere gli israeliti dall’Egitto che togliere l’Egitto dal cuore degli israeliti. Erano stati, “sì”, liberati “materialmente” dalla schiavitù, ma durante la marcia nel deserto con le varie difficoltà e con la fame cominciarono allora a provare nostalgia per l’Egitto e ricordavano quando “mangiavano … cipolle e aglio” (cfr Nm 11,5); ma si dimenticavano però che ne mangiavano al tavolo della schiavitù. Nel nostro cuore si annida la nostalgia della schiavitù, perché apparentemente più rassicurante, più della libertà, che è molto più rischiosa. Come ci piace essere ingabbiati da tanti fuochi d’artificio, apparentemente belli ma che in realtà durano solo pochi istanti! E questo è il regno, questo è il fascino del momento! (Dall’omelia nella Celebrazione dei primi vespri della solennità di Maria SS.ma Madre di Dio e Te Deum di ringraziamento, Basilica Vaticana Mercoledì, 31 dicembre 2014.
[2] “La terra dove scorre latte e miele”. Cfr. Es 3,8; Es 3,17; Es 13,5; Es 33,3; Lv 20,24; Nm 13,27; Nm 14,8; Nm 16,13; Nm 16,14; Dt 6,3; Dt 11,9; Dt 26,9; Dt 26,15; Dt 27,3; Dt 31,20; Gs 5,6; Sir 46,8; Ger 11,5; Ger 32,22; Bar 1,20; Ez 20,6; Ez 20,15.