L’angelo intimo: specchiarsi nell’Immacolata per dire “sì” al Signore

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In ascolto dell’angelo che parla con il suono della Parola, ma soprattutto con il senso e la forza trasformante che essa ha quando risuona nell’uomo se è capace di ascoltarla e rispondere sì, come Maria. E’ stato un percorso che ha attraversato i brani delle Letture proposte dalla liturgia, utilizzando l’arte di Antonello da Messina, quello proposto dal vescovo Franco Giulio nell’omelia per la Solennità dell’Immacolata Concezione, celebrata domenica 8 dicembre in cattedrale.


L’angelo intimo

Omelia nella Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
08-12-2019
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Una riflessione sull’uomo e un’esortazione a guardare a Maria, la “donna del sì”, raccontata con parole semplici rivolte ai babini del catechismo, ma che insieme parlavano agli adulti.

« Il mistero dell’Immacolata è esattamente questo: dovremmo essere come Maria che è la donna del “sì”! Qualche volta però ci capita, nei rapporti di ogni giorno, di dire parole che ci nascondono, che rimuovono la colpa e la danno ad altri, parole con cui ci scusiamo, che non sono incoraggianti, non sono stimolanti, non fanno crescere, oppure parole che intimano, dicono solo le cose da fare e non riscaldano gli affetti, le emozioni, i sentimenti, i valori e i progetti da scambiare – ha detto il vescovo -. Qualche volta, quando faccio le cresime, suggerisco ai ragazzi questo esperimento: nascondere il cellulare durante il pranzo della domenica sotto la tovaglia per registrare le conversazioni fatte tra i commensali, e poi riascoltare le parole che si dicono? Scopriremo che sono parole di rimprovero, che criticano le cose non andate bene, quello che non si deve fare, ma non sono mai un dialogo stimolante. Ecco, invece, la parola di Dio, è un dialogo incoraggiante, ci fa da specchio, perché non ci vuole solo più belli, ma anche migliori. In questo specchio che è Maria noi ci riflettiamo come dentro l’immagine di una persona che ha ascoltato la profondità della Parola e le ha detto sì!»

Di seguito, il testo integrale dell’omelia.


L’angelo intimo

Omelia nella Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Oggi salutiamo con gioia i bambini del catechismo presenti alla messa, che ci ricordano la bellezza e la freschezza della festa che celebriamo. L’intitolazione della festa odierna per molti presenti è difficile da comprendere, perché non tutti sanno a cosa si riferisca la dizione “Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria”. Si può rispondere affermando questo: la fede della Chiesa attribuisce all’esperienza spirituale della Vergine Maria un dono di grazia che opera in Lei a partire addirittura dalla nascita, o meglio sin dal suo concepimento. Chiamata ad essere la madre del Signore, che lo ha seguito fino alla croce e oltre, ciò che opera in Lei si riflette sino all’origine della sua esistenza. Ella, se ha fatto l’esperienza della tentazione, della fragilità, del limite umano alla maniera di ciò che vivono tutti gli uomini e le donne, tutte cose che ha vissuto anche Gesù, non ha fatto però l’esperienza del peccato e della trasgressione, sin nella sua origine. È dunque a questa realtà che si collega abbastanza facilmente l’espressione di “Immacolata Concezione”.

Mi piace raccontare tale aspetto mariano facendo una piccola riflessione che traggo dalla tavola dipinta da Antonello da Messina, chiamata l’Annunciata. È una raffigurazione dove manca l’angelo annunciante. Nella tavola c’è solo Maria, che ha una mano leggermente alzata verso noi che la guardiamo e l’altra con cui si stringe il velo. Sul leggio è appoggiato un libro di preghiera aperto, le cui pagine sono appena appena sollevate, come mosse dal soffio lieve dello Spirito. Secondo l’interpretazione critica, lo sguardo degli occhi di Maria, sembra sfuggire con timore alla vista dell’angelo, anche se con la mano invita noi a vedere riflesso nel suo volto e nel suo intimo l’angelo annunciante! C’è una sorta di interiorizzazione dell’angelo, che non è più raffigurato nel dipinto, ma è nell’intimo di Lei. Maria è divenuta così capace di ascolto, da lasciarsi plasmare dalla Parola di Dio. Tutto questo fa nascere sulla bocca di Maria il “sì”, con cui ella ha accolto la Parola di Dio, domandandosi quale senso avesse il saluto dell’angelo!

L’angelo le appare dicendo: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te” (Lc 1,28): è un’espressione che si trova in ben tre profeti (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9), nei quali però al posto di “piena di grazia” c’è l’espressione “figlia di Sion”, riferita a Gerusalemme. Maria sente rivolta a sé l’espressione “piena di grazia”, che in greco, secondo il testo di Luca, forma una bellissima allitterazione, cioè un gioco di suoni: “Χαῖρε, κεχαριτωμένη, ὁ Κύριος μετὰ σοῦ”. L’evangelista ci dice che Maria fu presa da timore, non tanto per la vista dell’angelo, come commenta sant’Ambrogio, ma a motivo del saluto che le viene rivolto: “e si domandava che senso avesse un saluto come questo” (Lc 1,29). Tale ascolto della parola non si ferma al suono, per quanto di bell’effetto (soprattutto nell’assonanza della lingua greca), ma attraverso il suono si domanda cosa le stia dicendo quella Parola, quale sia il senso dell’Annuncio angelico.

Questo ci fa ascoltare e comprendere ciò che è stato proclamato nella prima lettura: “Dopo che [Adamo ed Eva] ebbero mangiato del frutto” (cfr Gn 3,9-15.20, introduzione). Dio si avvicina ancora ad Adamo e gli chiede: “Dove sei?” (Gn 3,9). Non gli chiede “chi sei?”, ma “dove sei?”, perché Adamo non è più al suo posto. Adamo sentendosi nudo, cerca subito di scaricare la colpa sulla donna. Adamo era nudo anche prima, tanto che il libro della Genesi dedica un capitolo intero (il secondo) per descrivere la scena in cui Adamo dà il nome a tutte le cose e gli animali, e poi racconta anche il primo incontro con la donna. Tuttavia, solo dopo aver mangiato del frutto, s’accorge che è nudo, tanto che nel dialogo Dio gli fa notare: “chi ti ha detto che eri nudo?” (Gn 9,10).

Nei primi capitoli della Genesi ci solo tutti i fondamenti dell’umano e della sua storia. Il primo fondamento dell’umano è la creazione dell’uomo e della donna e il dono del comandamento come sorgente di vita. La seconda scena descrive ciò che accade quando l’uomo si sottrae al comandamento di Dio, alla sua voce. Egli si sente subito nudo, si mostra fragile, si sente senza difese, si scopre non al suo posto: “Adamo dove sei?”. E che cosa fa Adamo? Scarica la responsabilità sulla donna per aver mangiato il frutto: “è stata la donna che mi hai messo accanto” (Gn 9,12), anzi non solo sulla donna, ma su Dio stesso, tanto da dire: “la donna che Tu mi hai messo accanto!”. Anche la donna, pure lei interrogata, scarica la responsabilità sul serpente (cfr. Gn 9,13b). Il serpente è una figura misteriosa, ma nel libro Genesi non ha tratti demoniaci. Questo aspetto viene aggiunto dopo e lo si trova nel libro della Sapienza (Sap 2,24). Qui invece è detto che “il serpente era la più astuta di tutte le creature” (cfr Gn 3,1). Essendo una creatura resta sotto il governo di Dio. Tuttavia, il serpente non può scaricare a sua volta la colpa, come hanno fatto i primi due. Il serpente, come ancora dice il libro della Genesi, con una bellissima espressione, è come il male “accovacciato alla tua porta” (Gn 4,7). Noi avvertiamo tutta la nostra incapacità a sentirci naturalmente disarmati di fronte a Dio e di fronte agli altri. L’immagine della nudità, una cosa di per sé naturale, muta di significato dopo aver mangiato del frutto dell’albero, cioè dopo aver deciso da se stessi ciò che è bene e ciò che è male. Mangiando di quel frutto, ci sentiamo subito nudi, percepiamo la nostra nudità come ferita, come incapacità di trasparenza verso Dio e di fluidità nella relazione con l’altro. Percepiamo la nostra nudità come fragilità. E questo introduce il meccanismo dello “scaricabarile”, della rimozione della colpa sull’altro, perché con una relazione ferita la colpa è sempre di qualcun’altro.

La seconda lettura ci dice che noi siamo stati pensati «fin dalla fondazione del mondo per essere santi e immacolati nella carità – ἐν ἀγάπῃ – nell’agape» (cfr Ef 1,4) . Da un lato c’è la vocazione (la seconda lettura), dall’altro la nostra situazione (il libro della Genesi). Ed è per questo, tornando al Vangelo, che Maria si domanda che senso avesse il saluto dell’angelo. La lettera di Giacomo, evocando un gesto che certamente tutti avete fatto stamattina, ci dice: «se uno ascolta la parola e non la mette in pratica, costui somiglia un uomo che guarda il proprio volto allo specchio; appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era» (cfr Gc 1,23-24). La Parola di Dio è come lo specchio: guardarsi allo specchio, significa guardarsi dentro sperando di non avere nulla da rimproverarsi, anzi come si dice anche popolarmente, poter reggere il confronto con il nostro volto riflesso nello specchio! Poiché dentro la parola ascoltata risuona una Parola più remota, più alta che ci fa leggere il nostro io profondo, qualche volta ci fa sentire quasi denudati e ci dice in che cosa possiamo cambiare. Perché se chi guarda se stesso allo specchio se ne va e si dimentica com’era, la sua giornata può essere vissuta come una giornata grigia, come le giornate di nebbia. Lo specchio è come la voce di Dio che ci chiama, rivela il nostro cuore, ma non lo svela solo per condannare, ma per stimolarci ad agire bene. Per questo la lettera di Giacomo ci dice che «chi si guarda allo specchio, e poi se ne va, dimentica com’era» e allora risulta impossibile cambiare. Anche sant’Agostino, come ho scritto nella mia lettera pastorale, afferma che “nello specchio della Parola di Dio” noi ci riflettiamo e sentiamo risuonare la voce che ci dice come siamo e come dovremmo essere. Ecco il suo bel testo: «Uno specchio ti è stato posto davanti proprio in questo testo: vedi se sei come esso ha detto, e, se non lo sei, piangi per esserlo. Sarà lo specchio a rivelarti il tuo vero volto, e come lo specchio non ti farà da adulatore, così neanche tu dovrai lusingarti». In modo semplice vi invito a prendere in mano la parola di Dio, magari quella del giorno, e a riflettere su una parola, su una frase che ci faccia pensare.

Il mistero dell’Immacolata è esattamente questo: dovremmo essere come Maria che è la donna del “sì”! Qualche volta però ci capita, nei rapporti di ogni giorno, di dire parole che ci nascondono, che rimuovono la colpa e la danno ad altri, parole con cui ci scusiamo, che non sono incoraggianti, non sono stimolanti, non fanno crescere, oppure parole che intimano, dicono solo le cose da fare e non riscaldano gli affetti, le emozioni, i sentimenti, i valori e i progetti da scambiare. Qualche volta, quando faccio le cresime, suggerisco ai ragazzi questo esperimento: nascondere il cellulare durante il pranzo della domenica sotto la tovaglia per registrare le conversazioni fatte tra i commensali, e poi riascoltare le parole che si dicono? Scopriremo che sono parole di rimprovero, che criticano le cose non andate bene, quello che non si deve fare, ma non sono mai un dialogo stimolante. Ecco, invece, la parola di Dio, è un dialogo incoraggiante, ci fa da specchio, perché non ci vuole solo più belli, ma anche migliori. In questo specchio che è Maria noi ci riflettiamo come dentro l’immagine di una persona che ha ascoltato la profondità della Parola e le ha detto sì!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara