L’omelia del vescovo Franco Giulio nella messa per la solennità di San Giuseppe – celebrata proprio nella parrocchia dedicata al santo “papà” della Sacra Famiglia – che apre l’anno dedicato ad Amoris Laetitia.
Il silenzio eloquente di San Giuseppe
Omelia nella Solennità di San Giuseppe
Nel 1870, poco più di centocinquant’anni fa, Pio IX proclamava San Giuseppe patrono della Chiesa universale. Da allora la sua figura è stata sempre più valorizzata e fu introdotta nella preghiera eucaristica da papa Giovanni XXIII. Il patronato relativamente recente di San Giuseppe spiega forse la ragione del fatto che non molte chiese della nostra diocesi siano dedicate a lui.
Il Silenzio eloquente di Giuseppe
Messaggio alle famiglie nell’apertura dell’anno dedicato ad Amoris Laetitia
19-03-2021
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Ho registrato un messaggio inviato alle famiglie che è intitolato “Il silenzio eloquente di San Giuseppe” (https://youtu.be/kFiJeGNOdOk). Vorrei ora sviluppare in modo più disteso i punti a cui ho accennato nel video augurale. Ciò che impressiona, soprattutto nei primi due capitoli del vangelo di Matteo, detti i “Vangeli dell’infanzia” in cui insistentemente compare la figura di Giuseppe, è che egli non parli mai, rimanga nel più totale silenzio!
Sono cinque le volte in cui Giuseppe entra in scena: due sono semplici menzioni – la prima e l’ultima – e in tre episodi, invece, Giuseppe è protagonista. Delle cinque apparizioni del personaggio Giuseppe, quattro si trovano nei primi due capitoli del vangelo di Matteo, mentre la quinta citazione si trova più avanti al capitolo 13.
Commentando, allora, i cinque luoghi nei quali Giuseppe interviene, ma non parla, possiamo in qualche modo delineare la sua figura evangelica. La ricostruiamo anche sullo sfondo della situazione attuale, dove, per un verso, il fatto che la nostra regione sia rientrata in zona rossa, ha reso il contesto della famiglia ancora una volta faticoso, anche se non c’è più lo shock dello scorso anno, con le difficoltà di chi stava imparando come muoversi, anzi come vivere rinchiuso in casa. Ora invece si vive quasi con la rassegnazione, talvolta la stanchezza e la rabbia!
La recente prova della famiglia, però, si inserisce in una difficoltà più remota nel tempo, che potremmo datare al periodo dopo la seconda guerra mondiale. Se il secolo ventesimo si apre sotto il segno del padre-padrone – su questo argomento la “Lettera al padre” di Franz Kafka è un testo-testimonianza sconvolgente in rapporto alla figura del padre, come colui che in qualche modo determina la vita, che la tiene sotto il regime della legge – dopo l’ultima guerra ormai, anche attraverso la lente della psicologia, si parla dell’evaporazione della figura del padre! Il padre è assente, è evaporato, fa fatica ad avere una presenza significativa nello spazio della famiglia.
Ora, proviamo a vedere nel vangelo quali sono gli elementi, così come nelle tradizioni antiche, con cui ci viene presentata la figura paterna.
- Giuseppe: colui che trasmette la tradizione e la benedizione
La prima volta che Giuseppe entra in scena, è ricordato in un versetto solo, con cui inizia anche il Vangelo che abbiamo ascoltato stasera. Il vangelo di Matteo si apre con la genealogia di Gesù e, alla fine della lunga successione di nomi, si dice:
“Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (Mt 1,16).
È un versetto “singolare”, poiché tutta la genealogia è costruita come una catena, e per tre volte l’evangelista intreccia una catena di quattordici anelli, ma l’ultimo anello non viene chiuso, bensì rimane aperto, perché in esso è messo in maggior evidenza il legame di derivazione di Gesù da Maria (“dalla quale è nato Gesù…). Dunque, Giuseppe è l’ultimo anello aperto della catena genealogica, nella quale però Gesù viene introdotto da Maria – in verità nella genealogia ci sono altre tre donne (Racab, Rut, la moglie di Uria), oltre a Maria, anche se gli Ebrei non costruivano le genealogie citando le donne – e anche questo appare singolare! Maria entra nella genealogia in quanto è da Lei che nasce Gesù. Pertanto l’ultimo anello rimasto aperto avrebbe la funzione di indicare che la nascita di Gesù, oltre ad essere il fine verso cui tende la genealogia, è aperta anche ad un’altra nascita che viene dall’Alto. È ciò che racconta il brano che segue.
In questa prima apparizione, Giuseppe viene presentato come il padre che trasmette la tradizione e la benedizione. Nelle genealogie bibliche, non sempre ai padri succedono esattamente i loro figli carnali. Talvolta sono stilizzate, sono presentate come anelli della tradizione, attraverso i quali si trasmetteva la benedizione. Era il primogenito cha portava la benedizione di Dio, il legame dell’Alleanza divina col suo popolo. La prima funzione del padre è che egli trasmette la benedizione di Dio sui suoi figli, trasmette il fatto che quando qualcuno viene in questo mondo, non è uno che parte da zero, ma si colloca dentro una catena che è appunto la tradizione di famiglia e, più in generale, di un popolo, di una nazione.
- Giuseppe: colui che prende con sé Maria e dà il nome a Gesù
Il brano seguente, che pure abbiamo ascoltato stasera, inizia così: “Così fu generato Gesù Cristo”, il testo originale dice: “Ecco quale fu la genesi di Gesù Cristo” – Τοῦ δὲ Ἰησοῦ χριστοῦ ἡ γένεσις οὕτως ἦν (Mt 1,18) -. Il primo versetto del vangelo di Matteo dice: libro della genesi di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo – Βίβλος γενέσεως Ἰησοῦ χριστοῦ υἱοῦ Δαυὶδ υἱοῦ Ἀβραάμ. Quindi il racconto parla di due generazioni (γένεσις): quella orizzontale che avviene attraverso Giuseppe e quella verticale che accade attraverso Maria: l’anello che era rimasto aperto con la prima generazione che si snoda nella storia viene chiuso con la seconda nascita dall’alto!
Continua, infatti, il Vangelo:
“… essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18b).
μνηστευθείσης τῆς μητρὸς αὐτοῦ Μαρίας τῷ Ἰωσήφ, πρὶν ἢ συνελθεῖν αὐτοὺς εὑρέθη ἐν γαστρὶ ἔχουσα ἐκ πνεύματος ἁγίου.
In greco il testo è molto più diretto.
19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto (Mt 1,19).
Il racconto lascia supporre che Giuseppe conosca la situazione di Maria, ma l’evangelista dichiara a noi anticipatamente da dove viene Gesù (da Spirito Santo!), creando un effetto di attesa per come si comporterà Giuseppe.
20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno… (Mt 1,20a)
È interessante notare che i tre racconti su Giuseppe sono ambientati durante tre sogni, illuminando la figura di Giuseppe di Nazareth alla luce e in parallelo con la figura di Giuseppe dell’Antico Testamento, figlio di Israele/Giacobbe, il fratello tra i dodici che fu un grande sognatore:
«Giuseppe, figlio di Davide,
ecco sentiamo che l’ultimo anello si chiude!
non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20b)
Prendere con sé significa passare dalla prima alla seconda tappa del matrimonio, secondo il rito giudaico. Nel matrimonio ebraico in un primo momento c’è il vero e proprio patto, rompere il quale significava, se volessimo dirlo col linguaggio attuale, divorziare, mentre nel secondo momento si passava alla coabitazione:
Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù… » (ivi).
Il compito di Giuseppe è duplice: prendere con sé Maria e dare il nome a Gesù. Dunque, secondo l’apparizione in sogno a Giuseppe, il padre è colui che dà il nome! Anche per noi il modo con cui si riconosce il proprio figlio è dargli il nome. In tal senso è sbagliato chiamare Giuseppe “padre putativo” (presunto, supposto), perché Giuseppe è il padre legale e in quanto tale dà il nome, così com’era previsto dal diritto ebraico.
Quindi il secondo compito del padre è di introdurre il figlio nello spazio della madre, nella casa e di conferire il nome. Ci sono due cose che non ci siamo inventati, ma che sono iscritte dentro di noi: il corpo e il nome! Queste due realtà sono ricevute in dono, nessuno può manometterle, sono il segno che la nostra vita, per l’aspetto più importante, non l’abbiamo creata noi, poiché la vita è un dono ricevuto prima che una conquista fatta.
Ecco allora la seconda funzione del padre: riuscire a dare un volto e un nome, creare una storia umana che proceda oltre. Per questo la mancanza o l’evanescenza o l’evaporazione del padre è drammatica, perché non c’è chi dà il nome al figlio per farlo emergere dal grembo della madre. La funzione del padre e della madre sono profondamente intrecciate tra loro. Dare un nome significa staccare il figlio dal grembo della madre. La prima voce che il bambino sente, diversa da quella della mamma, è esattamente la voce del padre. Il bambino ha sentito la voce della madre per nove mesi… la prima forma di distanziamento dalla madre, per quanto la sua presenza rimanga decisiva per tutta la vita, proviene dall’ascoltare la voce del padre. Per questo è importante che la madre lasci il dovuto spazio al padre.
24«Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù». (Mt 1,24-24)
È uno schema abbastanza semplice ricorrente nella bibbia: comando-esecuzione, che accade per ben tre volte attraverso la figura di Giuseppe. Per questo non bisogna troppo ironizzare sul fatto che Giuseppe non parli mai. Sarebbe psicologizzare troppo il racconto, prestargli i nostri sentimenti. Il silenzio di Giuseppe è molto eloquente.
- Giuseppe: colui che è il custode del futuro
La terza menzione di Giuseppe si riferisce alla fuga in Egitto:
“Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto”. (Mt 2,13-14)
Qui Erode rivela il suo intento omicida, al contrario di quanto aveva simulato nel suo interessamento con i Magi (Mt 2,7-8). In questa occasione emerge la terza funzione del padre che è quella di essere custode, custode del destino futuro di Gesù. Erode il persecutore non può aver potere su Gesù. Giuseppe preserva i suoi portandoli in una zona franca, come il Giuseppe della Genesi, in Egitto, ha custodito il futuro di Israele.
È suggestiva la rappresentazione della fuga in Egitto in uno dei riquadri della Parete Gaudenziana nella Chiesa delle Grazie a Varallo, nella quale Giuseppe è rappresentato con lo sguardo teso verso l’orizzonte, accanto all’angelo che tira l’asino mentre essi fuggono. Il padre è colui che scruta l’orizzonte, mette in sicurezza, è il custode del futuro. Se vede il figlio che sta per cadere nel burrone lo tira su, magari lo rimprovera con il rischio di avere la mano un po’ forte, ma gl’interessa salvare la persona, custodire il suo futuro!
- Giuseppe: colui che legge i segni del tempo
L’ultimo episodio in cui Giuseppe compare nei Vangeli dell’infanzia è il ritorno dall’Egitto, dove Giuseppe si mostra capace di leggere i “segni dei tempi”. Nel racconto c’è un triplice dirottamento della sua famiglia da parte di Giuseppe:
“Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea andò ad abitare in una città chiamata Nazareth”. (Mt 2,19-21)
Avviene un triplice dirottamento, prima verso Israele, poi in Galilea e, infine, a Nazareth. Quindi in certo modo Giuseppe legge i segni della storia, che non sono subito chiari. Nel testo per tre volte si ripete la particella “εἰς”, per indicare una triplice correzione della direzione di ritorno: Israele, la Galilea e, infine, Nazareth. Giuseppe è colui che è capace di leggere i segni dei tempi, di comprendere quando ci sono i pericoli, gli eventi, le opportunità sul cammino, che porta al paese dove si è generati alla vita in formato adulto.
- Giuseppe: colui che insegna il mestiere di vivere
Concludo, allora, con l’ultima apparizione di Giuseppe che avviene molto più avanti nel Vangelo, al cap. 13 di Matteo:
Terminate queste parabole, Gesù partì di là. Venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi. (Mt 13,53-58)
L’ultima funzione del padre che tutti noi sappiamo e gli riconosciamo è quello di insegnare il mestiere, anzi il mestiere di vivere! Giuseppe non è solo custode, non è solo colui che legge i segni della storia, ma è anche colui che insegna un mestiere, una professione, ma soprattutto trasmette il mestiere di vivere. Il padre è colui che permette di “rubare il mestiere”, attraverso la sua esperienza, le sue capacità, perché mediante queste insegna il vero mestiere che conta: il mestiere di vivere, la sapienza della vita. «Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,17b). Nel rapporto col padre umano Gesù ha ricevuto la forma umana della rivelazione del Padre che è nei cieli.
Ecco questa è la figura di Giuseppe di Nazareth come ci viene presentata dal Vangelo. E molti sono gli elementi ancora attuali oggi, per cui ringraziamo il Signore di aver avuto i nostri padri che sono stati in parte e in tutto come Giuseppe. Li ricordiamo con affetto. Per questo la figura di San Giuseppe è e rimane una figura importante nella nostra vita e nella Chiesa.
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara