Oscar Luigi Scalfaro nel X anniversario della morte

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Sabato 29 gennaio il vescovo Franco Giulio ha presieduto in cattedarale a Novara una messa in ricordo del presidente Oscar Luigi Scalfaro a 10 anni dalla morte.

Ecco di seguito le sue parole.

 

 Oscar Luigi Scalfaro nel X anniversario della morte

Ho incontrato personalmente il presidente Oscar Luigi Scalfaro solo una volta nella parrocchia di Cantù dove svolgevo il mio ministero liturgico, quando venne a tenere una meditazione una domenica mattino.

Ritengo che il Presidente, se fosse qui presente stamani, ci inviterebbe a celebrare l’Eucaristia non solo in suo suffragio, che è il motivo che ci vede riuniti, ma ci spingerebbe a dire la messa pro supremo nationis moderatore, per il nuovo Presidente della Repubblica, così come accade quando si deve eleggere un nuovo papa che si celebra la messa pro eligendo pontifice.

 


Oscar Luigi Scalfaro nel X anniversario della morte

Messa in ricordo del presidente Scafaro
29-01-2022
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Mi sembra di potervi offrire, dal mio punto di osservazione, un piccolo canovaccio di lettura della figura di Scalfaro attraverso tre espressioni che hanno rappresentato per lui ugualmente tre punti di riferimento forti: innanzitutto l’Azione Cattolica, poi il Concilio Vaticano II e, infine, la Costituzione della Repubblica italiana.

 

1. L’Azione Cattolica

Tutti ricordiamo come anche da Presidente, Scalfaro ha sempre portato sulla giacca la spilla con il simbolo dell’Azione Cattolica! Egli appartenne alla prima fase dell’associazione, quella cosiddetta eroica, che sostanzialmente arrivò fino al Concilio. E questo avvenne nel tempo in cui le due qualità espresse nel nome Azione e Cattolica andavano profondamente insieme, nel senso che la seconda diceva il momento formativo, l’ispirazione cristiana, la formazione alla coscienza civile e ai suoi valori, mentre la prima indicava l’azione, diceva cioè l’impegno concreto, sociale o politico, per cui questi principi non dovevano essere lasciati nel limbo del cielo platonico, ma dovevano essere giocati nella storia.

Il suo ingresso precoce al Parlamento indica proprio la corretta coniugazione di questi due termini, anche se col proseguire del tempo – le parole non sempre custodiscono le nostre azioni e le nostre vite – l’interazione fu così stretta, che la sfera politica e quella religiosa qualche volta entrarono in corto circuito. Fu il fenomeno chiamato “collateralismo”, cosa a cui l’Azione Cattolica cercò di porre rimedio nel periodo postconciliare, insistendo di più su un aspetto che sull’altro con la famosa “scelta religiosa”. Quest’ultima fu molto discussa e contrastata, ma a mio avviso il Presidente rappresentò quel momento magico di ispirazione cristiana, necessariamente trascendente, che però si giocava dentro la pasta della storia e delle persone. E in particolare nella politica, intesa in senso alto, nel senso nobile di un’azione a servizio della polis.

 

Questo filone si trova anche nella Bibbia. Mi sono appuntato tre testi che nel Nuovo Testamento rappresentano tale anima, la quale afferma che il cristiano deve in certo modo collaborare alla città terrena. Il primo testo è sorprendente e si trova al capitolo 13 della lettera di san Paolo apostolo ai Romani. È sicuramente attribuibile a lui e quindi rappresenta uno dei momenti più forti della Scrittura. Paolo affronta la tematica del rapporto del cristiano con l’autorità prima di giungere a Roma: città sede e simbolo del potere politico dell’impero romano. Vi dedica i sette versetti del capitolo citato sopra. Ecco cosa leggiamo nei primi tre.

 

“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. I governanti infatti non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode” (Rm 13,1-3).

Lo stesso filone del Nuovo Testamento si trova anche nella lettera a Tito (e nella Prima lettera di Pietro) e rappresenta l’anima del cristianesimo che vuole partecipare alla città terrena.

Leggiamo nella lettera a Tito:

 

“Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; 2di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini”. (Tt 3,1-2)

Si rappresenta qui dunque il primo elemento che il nostro Presidente ha onorato fortemente nella sua vita e riguarda l’attenzione alla legge, perché anche chi rappresenta l’autorità, una volta varata la legge, rimane soggetto alla legge, altrimenti l’autorità stessa diventa arbitraria, secondo una concezione feudale per cui autorità e legge coincidono a tal punto che l’autorità può sempre fare e disfare la legge a piacimento, senza esservi mai sottomesso.

Si trova qui dunque il primo elemento che il nostro Presidente ha onorato fortemente nella sua vita e riguarda l’attenzione alla legge, perché anche chi rappresenta l’autorità, una volta varata la legge, rimane soggetto alla legge, altrimenti l’autorità stessa diventa arbitraria, secondo una concezione feudale, per cui autorità e legge coincidono a tal punto che l’autorità può sempre fare e disfare la legge a piacimento, senza esservi mai sottomesso.

Tutto questo ci richiama il famoso testo del Vangelo, forse tra i più alti, e che noi non onoriamo mai a sufficienza, nel quale sono coniugate la dimensione incarnata e trascendente della legame sociale del cristiano. Nella sua formulazione il detto viene molto probabilmente da Gesù stesso:

“«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»” (Mt 22,21b).

È la risposta di Gesù alla domanda provocatoria dei farisei che dicono:

“«Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose:
«Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo».
Ed essi gli presentarono un denaro.
Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?».
Gli risposero: «Di Cesare»”. (
Mt 22,17-21)

Dunque, non si può usare l’immagine di Cesare per i propri scambi economici, per gli affari del mondo, per la propria vita civile e non restituire ciò che ha elargito proprio lui, l’imperatore. Ma il testo aggiunge:

“«Rendete… a Dio quello che è di Dio»” (ibidem).

La traduzione sarebbe più efficace se la congiunzione e, per cui ciò che segue viene letto talvolta in modo residuale quasi fosse un’aggiunta innocua, si sostituisse con un ma avversativo, certamente più forte. Secondo il parere di molti esegeti non si tratta di spartire le cose da rendere a Cesare e quelle da rendere a Dio, ma di tenere distinti i due ambiti, riservando però all’uomo di rendere conto a Dio nella sua coscienza in cui si imprime proprio l’immagine di Dio. Nello scontro di Gesù con i Farisei il riferimento all’immagine incisa sulla moneta conterrebbe un rimando all’immagine di Dio impressa nel cuore dell’uomo, il quale deve perciò esercitare la lealtà del suo essere cittadino appartenente alla polis ordinandola nel medesimo tempo alla relazione con Dio del suo essere credente che obbedisce al comandamento divino.

“«Dunque, rendete pure a Cesare quello che è di Cesare, ma a Dio quello che è di Dio».

Questo riferimento evangelico delinea il quadro con cui, nella storia della Chiesa, l’atteggiamento del cristiano nell’agone pubblico, sulla scena civile, nello spazio sociale, si è espresso tenendo in tensione tra loro due anime dell’impegno nel mondo: un’anima incarnata, partecipativa, e un’anima invece escatologica, trascendente, per la quale il cristiano deve innanzitutto obbedire a Dio. Ritengo quindi che questa possa essere l’interpretazione del momento formativo del nostro Presidente sotto l’egida, come si è detto, dell’Azione Cattolica.

Poi all’inizio ho sottolineato che v’erano altri due temi che, per coloro che provenivano dall’Azione Cattolica, sono stati come i due libri da leggere, tenuti l’uno nella mano destra e l’altro nella sinistra, per trarre ispirazione nell’impegno civile: i documenti del Concilio e la Costituzione della Repubblica italiana.

 

2. Il Concilio

Prima di tutto è il Concilio che sembra fare eco alla Costituzione Italiana, in particolare in un passo della Gaudium et spes, la quarta costituzione conciliare che tratta dei rapporti tra la Chiesa e il mondo, dove al numero 74 leggiamo:

“La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all’esistenza.

Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione”.

È un testo che ha fatto da faro luminoso per tutti i cristiani adulti, nel periodo postconciliare. Al numero 76 vi troviamo menzionata quasi letteralmente l’intuizione che aveva presieduto alla elaborazione dell’articolo 7 del testo costituzionale:

“La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra nel proprio campo ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini.

Sembra proprio la trascrizione dell’art. 7 della Costituzione:

“Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.

È interessante notare però l’allargamento della prospettiva da parte del Concilio, che indica la Chiesa a servizio della vocazione sociale, e non solo di quella personale. Oggi si tende a rimarcare che la Chiesa s’interessa dell’anima, mentre altri si interessano del corpo e della società. Ma è una divisione artificiosa che non regge.

Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L’uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna”.

Il testo ci presenta una traduzione di filosofia sociale del «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Ecco dunque il secondo grande faro dell’attività personale della figura del Presidente Scalfaro: con il testo del Concilio in mano era in qualche modo autorizzato a dare sostanza alle grandi intuizioni che avevano già guidato l’epoca della Costituente del ’46 fino ad approdare al Concilio conclusosi nel 1965.

3. La Costituzioe

E, infine, tutti ricorderanno, anche se non sono il più adatto a trattare l’argomento, che soprattutto l’ultima fase dell’esistenza del Presidente è stata contrassegnata da una difesa strenua della Costituzione italiana e quindi anche dell’armonia e dell’equilibrio tra i poteri in essa delineati. Gli interventi degli ultimi tempi, fino a scendere in piazza, furono proprio a difesa dell’armonia dei principi e del sistema di valori che presiedono alla Costituzione e che si sostanziano nei primi dodici articoli.

Ecco, dunque, il terzo pilastro che vede nella Costituzione quella sorta di patto tra i cittadini attraverso cui noi siamo usciti dall’evento traumatico della seconda guerra mondiale. In questo caso c’è un rapporto assai vicino – e che le nuove generazioni devono sempre riscoprire da capo e custodire nella memoria – al legame che nel libro dell’Esodo si delinea tra l’Alleanza e il Decalogo. Il Decalogo, che disegna la costituzione fondamentale del popolo di Dio, non sta in piedi se non si riferisce al patto di Alleanza tra Dio e il suo popolo. Così anche la nostra Costituzione non si regge se non si riferisce al patto in cui noi ci sentiamo tutti appartenenti alla Nazione, al Paese, alla Patria. È l’appartenenza a una memoria democratica, passata attraverso un grande processo di liberazione. La Liberazione è stata la circostanza storica, su cui si è fondato e continua a fondarsi il patto che bisogna sempre riattivare attorno a un plesso di valori condivisi. Come a dire che questa dimensione ci aiuta a renderci consapevoli di appartenere a un “noi comune”. La visione dell’uomo “moderno” ha questo grande difetto, accanto a molti pregi come il valore della coscienza, il valore della libertà, il valore dell’iniziativa personale: pensa prima al suo “io” e poi agli altri. Invece il Vangelo e ugualmente la Costituzione ci dicono che prima c’è il “noi” dentro il quale il nostro io prende sostanza, vigore, identità.

 

Mi è parso bello ricordare questi tratti caratteristici del presidente Scalfaro a cui collego l’ultimo momento, anzi l’unico, in cui ho avuto modo di conoscerlo quando venne nella parrocchia di Cantù, dove svolgevo il mio ministero e vi fece una meditazione sulla Madonna. Come è risaputo il Presidente aveva una grande devozione alla Vergine Maria. La devozione è quel linguaggio (sacro) per cui sentiamo che la vita vale di più di quello che riusciamo a dominare, controllare, pianificare e e costruire. In quell’occasione parlò per quarantacinque minuti della sua esperienza spirituale. Lo ricordo come un oratore facondo e appassionato. Così vogliamo ricordarlo con affetto nella preghiera, celebrando questa messa in onore alla Madonna di Fatima pro supremo nationis moderatore (cfr. Missale Romanum editio typica tertia, p. 1124). Sperando che entro questa sera possiamo avere un nuovo successore di Scalfaro!

 

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara