Quella mano protesa. Omelia del vescovo nel Giovedì Santo

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Come un fermo immagine.  Uno scatto che imprigiona un momento e che racconta con la forza dell’arte rinascimentale «l’inaudito amore che dona se stesso anche quando gli uomini rifiutano e tradiscono. Lui rimane alla mensa con la mano aperta e il volto pietoso che fissa nel cuore e cambia la vita». Nell’omelia della Messa del Giovedì Santo – celebrata in cattedrale lo scorso 1° aprile – il vescovo Franco Giulio accompagna i fedeli presenti e coloro che lo leggono, davanti al Cenacolo dove il genio di Leonardo, racconta «L’eucaristia del Signore» che «entra nella vita per trasformare gli affetti e il corpo, anzi per farne il suo nuovo corpo, che è la comunione dei credenti, la chiesa dalla Pasqua. Lo sguardo non riesce a distogliersi da quella mano protesa…».


Quella mano protesa
Omelia nella Messa del Giovedì Santo
01-04-2021
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Di seguito il testo integrale.

 

Quella mano protesa

Omelia nella Messa del Giovedì Santo

A passi oranti non molto tempo fa sono andato al Cenacolo di Leonardo. Ho letto sulla guida che avevo tra le mani il commento del card. Federigo Borromeo: «Il suo merito maggiore [di Leonardo] sta nella rappresentazione e varietà degli affetti… ha raffigurato i moti dell’animo insieme a quelli del corpo, perché chi guarda attentamente il dipinto ha l’impressione di udire le parole che si scambiano tra loro, mentre il Salvatore aveva appena finito di pronunciare quel terribile colui che ha intinto la mano nel piatto costui mi tradirà».

Il genio di Leonardo ha trasformato la pittura in racconto. La scena è attraversata da un brivido. Introduce noi tutti nel dramma: il dono dell’amore rifiutato, il tradimento dell’amico, l’abbandono dei discepoli e il turbamento di tutti. E tocca gli affetti dell’anima e del corpo. Dopo la dichiarazione amarissima di Gesù: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà, l’evangelista commenta: «I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse».

Leonardo sembra fare a questo momento il suo “fermo immagine”. La parola rivelatrice di Gesù sul traditore si trasmette come una scossa sismica sui presenti. L’onda d’urto, che Leonardo aveva descritto nei suoi studi, attraversa la scena disponendo i discepoli in quattro gruppi di tre persone, lasciando al centro Gesù nella sua solitudine amorosa.

Dopo lo shock iniziale lo sguardo viene riportato sulla figura dolce e dolente di Gesù. Gli occhi dirottati verso il sommovimento tellurico dei corpi e degli affetti degli apostoli ritornano a riposare sul centro della scena, per scoprire l’invi­sibile motore che muove il racconto: il gesto di dedizione di Gesù.

Guardo il gioco delle mani di Cristo: l’una sembra indicare il traditore e l’altra offre il dono del pane spezzato e del calice condiviso. L’inaudito amore che dona se stesso anche quando gli uomini rifiutano e tradiscono. Lui rimane alla mensa con la mano aperta e il volto pietoso che fissa nel cuore e cambia la vita. Quella mano protesa…

Attraversati come siamo dalla tristezza delle piaghe che feriscono il corpo ecclesiale, portiamo il peso dei nostri fratelli perché il Signore lavi la nostra sporcizia, risani le ferite di molti, guarisca le debolezze diffuse. Onoriamo anche quella nube di credenti che non hanno l’onore della cronaca, che hanno cura del corpo della Chiesa, annunciano un vangelo terso e cristallino, dicono parole di profezia, servono la vita del popolo di Dio. Perché diventi tempio di pietre vive, nazione santa, popolo sacerdotale. E siamo orgogliosi di quella schiera di genitori ed educatori che è animata dalla passione formativa, serve il povero, accoglie l’immigrato, senza suonare la tromba e appendere manifesti. Soprattutto portiamo alla cena del Signore, tutti coloro che portano un grande dolore nel cuore, che hanno sofferto per la scomparsa dei loro cari in questo tempo terribile di pandemia. Facciamo memoria dei defunti, ricordiamo i malati, gli anziani soli, le famiglie a disagio e chi è depresso e scoraggiato.

Leonardo racconta anche il seguito della scena. La concitazione della domanda “sono forse io?” diventa contemplazione. Per abitare il Cenacolo come la casa del perdono, dei moti dell’animo pacificato e del corpo riconciliato. Il pittore sa che lo sguardo di chi vede ha sentito tante volte il racconto evangelico. La potenza dell’im­magine lo spinge quasi a continuare le parole e suscita l’emozione della luce e dai colori. E li dipinge dentro la trama della vita.

La nostra contemplazione può fermarsi ora sul gesto di Gesù, per imparare uno stile, per lasciarsi istruire nei moti dell’animo e del corpo. L’eucaristia del Signore entra nella vita per trasformare gli affetti e il corpo, anzi per farne il suo nuovo corpo, che è la comunione dei credenti, la chiesa dalla Pasqua. Lo sguardo non riesce a distogliersi da quella mano protesa…

+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara