Mercoledì 2 marzo il vescovo Franco Giulio ha celebrato il rito delle ceneri in cattedrale, nella giornata che Papa Francesco ha voluto dedicare al digiuno e alla preghiera per la pace in Ucraina e nel mondo e che mons. Brambilla ha voluto dedicare ad all’apertura di una Quaresima interamente dedicata alla preghiere e alla vicinanza al popolo ucraino. Al termine della celebrazione, il vescovo ha presieduto la cerimonia di avvio dell’edizione 2022 di Passio, il percorso diocesano di cultura, arte e spiritualità attorno al mistero pasquale.
Di seguito pubblichiamo il testo integrale dell’omelia.
Ritornate a me con tutto il cuore
Omelia nel Mercoledì delle Ceneri
Non avremmo mai immaginato che, vedendo all’orizzonte un po’ di luce per l’uscita dalla pandemia, potessimo correre il grave rischio di precipitare addirittura nel clima di una guerra di proporzioni gigantesche! Per tale motivo all’inizio della Quaresima, in questo Mercoledì delle Ceneri, secondo l’invito di papa Francesco, è stato indetto un grande giorno di preghiera e digiuno, un’incessante invocazione al Signore perché rivolga il suo sguardo benevolo sulla nostra umanità e aiuti ciascuno di noi a trovare i passi giusti che conducano sulla via della pace.
Ritornate a me con tutto il cuore
Omelia nel Mercoledì delle Ceneri
02-03-2022
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Mi piace commentare brevemente con voi la bellissima pagina tratta dal libro di Gioele (Gl 2,12-18), nella quale possiamo cogliere quattro elementi importanti, suddividendola in quattro parti, che ci aiutino a vivere questo momento con intensità e profondità.
- I verbi
All’inizio vi sono una serie di verbi che parlano di movimento: “Ritornate a me” – “Lacerate il cuore” – “Ritornate al Signore”. Sono verbi che indicano l’uscita dalle forme usuali della vita quotidiana, l’abbandono delle cose usate per dedicarci a un tempo e a uno spazio connotato da gesti straordinari. Dice il testo:
212b«Ritornate a me con tutto il cuore,
con digiuni, con pianti e lamenti.
13Laceratevi il cuore e non le vesti,
ritornate al Signore, vostro Dio,
perché egli è misericordioso e pietoso,
lento all’ira, di grande amore,
pronto a ravvedersi riguardo al male».
La prima azione che ci viene chiesta è di praticare questi verbi di moto, attraverso i quali, muovendoci fisicamente, usciamo spiritualmente un po’ anche da noi stessi, per ritornare sui nostri passi, per rientrare nel nostro cuore e camminare verso il Signore. Dopo due anni quasi chiusi in casa, questo uscire, ritornare, andare verso il Signore, ha il sapore urgente del rinnovamento del cuore. Non basta mutare le vesti, ma occorre lacerare il cuore, occorre metterlo a nudo davanti a Dio.
- I gesti
Il profeta poi prosegue e ci indica alcuni gesti da compiere:
214bOfferta e libazione per il Signore, vostro Dio.
15Suonate il corno in Sion,
proclamate un solenne digiuno,
convocate una riunione sacra.
In questo passo sono indicati il sacrificio (“offerta e libagione”), il solenne digiuno e la riunione sacra, vale a dire un rito comunitario. Sono i gesti del cammino. È la strada per andare verso il Signore, per rientrare dentro noi stessi, per non fare un cambiamento solo esteriore, ma per rinnovare il cuore e non cambiare solo le vesti. Il cammino ha bisogno di gesti pratici. Come ho già detto molte volte, oggi abbiamo ridotto la fede prevalentemente a un sentimento, a una cosa che si sente, e non invece a una realtà che si pratica. Le cose belle della vita, come l’amore, la fede e la speranza sono innanzitutto una pratica. L’amore è pratica, non è solo un sentimento, un’emozione. È “un moto interiore” che ci fa andare verso l’altro, pone il nostro corpo in esercizio, mette sotto sforzo la nostra fantasia, il nostro cuore, i nostri gesti, le nostre mani, ma anche la nostra aggressività, le nostre paure, le nostre ansie, perché vengano purificate. Così avviene nella tradizione biblica e anche nella tradizione evangelica, come è stato detto nel Vangelo di oggi, in cui le tre opere dei farisei sono rilette da Gesù come opere che devono compiere anche i cristiani: preghiera, elemosina e digiuno. Esse sono opere strettamente pratiche. Sono i gesti con cui il cuore si converte cambiando la vita e la vita cambia toccando il cuore.
3. Le persone
Segue un bel segno, particolarmente importante nella celebrazione di quest’anno per l’intenzione che il Papa ci ha affidato. Infatti, anche nel testo di Gioele vengono chiamate a raccolta tutte le persone. Dice il profeta: 216“Radunate il popolo,
indite un’assemblea solenne,
chiamate i vecchi,
riunite i fanciulli, i bambini lattanti;
esca lo sposo dalla sua camera
e la sposa dal suo talamo.
17Tra il vestibolo e l’altare piangano
i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano”.
Tutti sono convocati per convertirsi. Anche noi abbiamo bisogno dell’esempio positivo di chi ci sta a fianco, perché se la conversione è un atto assolutamente personale, non può mai però essere solo un atto individuale, ha bisogno di camminare insieme. Infatti abbiamo ascoltato: “Radunate il popolo, indite un’assemblea solenne, chiamate i vecchi, riunite i fanciulli, i bambini lattanti… lo sposo e la sposa e i sacerdoti”. È la coralità di tutti coloro che sono chiamati a percorrere insieme il cammino di conversione.
Si potrebbe commentare dicendo che a produrre o guadagnare si fa in fretta da soli, ma a cambiare la vita, invece, si può cambiare solo insieme! Per poter guadagnare, una persona salvaguarda da solo i suoi risparmi, e si prende le sue soddisfazioni, ma per cambiare vita ha bisogno di altri. Tutti insieme abbiamo bisogno degli altri. Se vedo che anche l’altro cammina accanto a me, la sua presenza mi rincuora; se lo sposo e la sposa escono dal loro talamo, se i bambini, i vecchi, i lattanti, i popoli, i sacerdoti partecipano a questa azione, alla grande richiesta di perdono, alla corale richiesta di misericordia, allora il passo incontro a Dio diventa più spedito! È bello riascoltare il testo di Gioele per poterne apprezzare anche la poesia.
Oggi sono rimasto colpito, leggendo un post nel quale si diceva che coloro che in Ucraina si rifugiano nella metropolitana o negli altri nascondigli per sfuggire ai bombardamenti si sentono rincuorati sapendo che c’è tanta gente che prega per loro e con loro!
- Il perdono
E infine l’ultimo passo. Se i primi tre passi rappresentano ciò che facciamo noi, uomini e donne, l’ultimo (passo) rivela ciò che fa Dio. Infatti, se noi facciamo il gesto che ci mette in cammino, se siamo noi a compiere gesti pratici del sacrificio, del digiuno e della preghiera, se lo facciamo coralmente con tutte le età della vita, ecco cosa accade: si realizza come un grande abbraccio nel quale si rende presente il perdono di Dio, che feconda i nostri gesti. Ciò che il profeta evoca alla fine è come la calamita che attira e guida le nostre azioni, i nostri gesti e i nostri volti fin dall’inizio. I ministri del Signore, i sacerdoti danno voce a questo. Dice il testo:
2,17b «Perdona, Signore, al tuo popolo
e non esporre la tua eredità al ludibrio
e alla derisione delle genti».
Perché si dovrebbe dire fra i popoli:
«Dov’è il loro Dio?».
18 Il Signore si mostra geloso per la sua terra
e si muove a compassione del suo popolo.
È significativo anche il riferimento alla terra. Ogni popolo e soprattutto il popolo ebraico sente forte il riferimento alla terra, alla terra promessa. Sono qui indicati i tre elementi del perdono: è una misericordia che è per tutto il popolo; che diventa testimonianza anche per gli altri (gli altri non possono dire: “dov’è il loro Dio?”); e che è l’esperienza viva del suo perdono.
Siamo immersi in molte paure, angosce, depressioni, dopo due anni di pandemia, oggi aggravate dall’inizio della guerra. In questi giorni è stato interessante notare che molte delle persone che mi hanno scritto sono quelle che – nel mio ormai lungo cammino di vita – sono più fragili di fronte a questi eventi, ingigantiti all’infinito dai mezzi di comunicazione. Le avevo conosciute, perché le ho accompagnate magari in momenti di stanchezza e depressione. In modo impressionante si sono presentate tutte, scrivendo in genere messaggi molto lunghi per dire la loro ansia, il loro bisogno di serenità, di fiducia e di sicurezza.
La misericordia agisce così. Oggi non cerchiamo più la misericordia, perché il perdono delle colpe viene concepito come una questione privata, tra sé e sé, quasi un difetto che frena la propria realizzazione personale, ma ciò genera il senso di colpa, che è un sentimento “patito”, che ci lavora dentro, fino a spremere interiormente la nostra anima. Il senso di colpa è all’origine dell’ansia e diventa patologico nella depressione, perché l’uomo e la donna sperimentano la loro incapacità a realizzare se stessi o a corrispondere al proprio io ideale.
Al contrario il perdono fa passare dal senso di colpa alla coscienza del peccato, ma la coscienza del peccato – che indica una realtà vigile e attenta – è possibile solo all’interno della misericordia di Dio. Sennò, rimarremmo solo ripiegati in noi stessi feriti dal nostro senso di colpa. Solo se la misericordia di Dio ci precede, ci accompagna, ci segue possiamo dire con fiducia: “Signore ho commesso peccati ed errori, ma tu mi consideri più grande delle mie azioni”. Così è per tutti noi, anche per me vescovo che magari non sono stato attento, non ho dedicato il tempo necessario alle cose e alle persone. “Tu, Signore, però, mi abbracci, mi precedi, mi accompagni con la tua misericordia!” Come dice il salmo: «Contro te, contro te solo ho peccato. Crea in me un cuore puro!» (Sal 51 [50], 6a.12a). Solo così siamo portati fuori da noi stessi, non restiamo più a commiserarci, a crogiolarci nelle nostre paure, nelle nostre ansie, ma possiamo guardare il futuro con fiducia.
Possiamo, allora, comprendere l’espressione finale che rappresenta un tratto tipico dell’Antico Testamento, ma che è molto bella:
218Il Signore si mostra geloso per la sua terra
e si muove a compassione del suo popolo.
Forse sono le parole che possiamo tenere sulla bocca della nostra preghiera, pensando a coloro con cui e per cui preghiamo questa sera!
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara