Sintesi del lavoro di ascolto dei gruppi sinodali in diocesi

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l’intervista al vicario episcopale per la pastorale, don Brunello Floriani , sul cammino sinodale svolto in diocesi di Novara nell’anno 2021-2022 dedicato all’ascolto, pubblicata sui settimanali diocesani del 6 maggio 2022.

Il testo integrale della sintesi del lavoro dei gruppi sinodali nelle parrocchie inviata alla Conferenza episcopale italiana.

 

«Dal cammino del sinodo un nuovo stile di ascolto»

Don Floriani: «Tanti i gruppi attivati nelle parrocchie della diocesi»

In vista dell’assemblea dei vescovi di fine maggio è stata stesa una relazione di sintesi del lavoro dei gruppi sinodali  nelle parrocchie tenutisi nelle scorse settimane. E’ il lavoro che riguarda la “fase diocesana” del Sinodo della Chiesa universale e quello della Chiesa italiana.

Fase che proseguirà poi nei prossimi anni a livello nazionale e continentale, dedicata all’ascolto “dal basso” delle comunità. In diocesi ha visto dallo scorso autunno circa una trentina di incontri per la presentazione del cammino sinodale e la formazione degli animatori, curati da un’équipe diocesana coordinata da Romina Panigoni e da don Brunello Floriani, vicario episcopale per la pastorale.

«La prima “eredità” di questo percorso – spiega don Floriani – è stato un modo nuovo di confronto e di lavoro che non si interrompe e che può diventare uno stile fecondo non solo in vista di questo Sinodo, ma per la vita della stessa comunità. Per alcuni, il fatto di potersi “raccontare” liberamente, senza il timore di essere giudicati o contraddetti, ha costituito una autentica sorpresa, tanto che si sono augurati che quello che hanno avuto l’opportunità di vivere non resti un fatto episodico, ma possa essere replicato, diventando uno stile abituale di Chiesa. Che dovrebbe contraddistinguere anzitutto l’agire dei vari organismi di partecipazione e corresponsabilità, come i consigli pastorali. Sarebbe utile replicare l’esperienza sinodale, ad esempio, nelle riunioni destinate a impostare i programmi pastorali, in modo che non siano riunioni chiamate a discutere ed approvare soluzioni preconfezionate, ma luoghi in cui emergono i problemi e si intrecciano le risposte francamente e liberamente proposte».

Un stile – è la sottolineatura emersa – che può aiutare a colmare quella frattura che oggi si sperimenta tra la fede e il quotidiano della gente, «il cui bisogno si è sentito forte durante la pandemia. Soprattutto verso famiglie e giovani. I documenti del Sinodo parlano di “compagni di viaggio”. E l’ascolto nelle nostre parrocchie ne ha sottolineato l’importanza». Un’attenzione che dice di una Chiesa “in uscita”, capace di essere vicina alle persone nei momenti più delicati e difficili, «come quelli del della malattia, del dolore e della morte. Pensiamo a quanto sia importante accogliere con tenerezza e condivisione le persone colpite da un lutto o dimostrare attenzione e cura verso chi è malato o solo». Ma anche una Chiesa attenta a chi è “più vicino”, «non dando per scontato – prosegue don Foriani – che siano davvero compagni di viaggio coloro che già frequentano le comunità parrocchiali. Spesso non vi è relazione tra le persone che vengono a Messa. Si tratta di attivare passi che favoriscano questa amicizia. La celebrazione festiva diventa preziosa occasione per sentirsi compagni di viaggio e camminare insieme. Qualche momento di convivialità nel giorno della festa potrebbe favorire e accrescere il senso di appartenenza di tutti gli attori della testimonianza».

“Ascolto” e impegno a farsi “compagni di viaggio”, quindi, non solo due elementi di una retorica “ecclesiale” ma veri nodi centrali su cui si gioca la credibilità e la capacità della comunità cristiana di essere testimone del Vangelo.

«Le nostre comunità, forse, sono in debito di ascolto. Soprattutto nei confronti delle persone sole. Ci sono realtà, luoghi, che potrebbero favorire il dialogo e l’ascolto, come un asilo, una scuola, un oratorio dove ragazzi, giovani e genitori potrebbero incontrare attenzione e disponibilità ad un ascolto attento e disponibile. Certo, in particolare con i giovani, non è sufficiente un ascolto “passivo”, ma è importante che l’ascolto sia formativo: dobbiamo porre l’attenzione anche su “cosa” la comunità dice ai ragazzi in questo momento, sui linguaggi che usiamo con loro. Diciamo loro troppo o troppo poco? Prima di parlare siamo davvero interessati ad ascoltare i loro dubbi, le loro provocazioni, le loro ansie?».

A.G.


Relazione sul lavoro dei gruppi sinodali nelle parrocchie

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  1. Introduzione: considerazioni circa l’esperienza sinodale in DiocesiA un iniziale e diffuso scetticismo per la proposta di un nuovo percorso sinodale (ad appena cinque anni dalla conclusione del XXI Sinodo diocesano), percepito come una “fatica” dai risultati incerti e dalla dubbia utilità, si è sostituito, gradualmente, un sentimento di apprezzamento e di condivisione.
    A far cambiare idea e atteggiamento è stata l’esperienza vissuta dapprima negli incontri di sensibilizzazione e quindi nelle riunioni sinodali, che ha consentito di ritrovare nella comunità ecclesiale quello che papa Francesco definisce “un luogo aperto, dove tutti si sentono a casa e possono partecipare”.
    Per alcuni, il fatto di potersi “raccontare” liberamente, senza il timore di essere giudicati o contraddetti, ha costituito una autentica sorpresa, tanto che si sono augurati che quello che hanno avuto l’opportunità di vivere non resti un fatto episodico, ma possa essere replicato, diventando uno stile abituale di Chiesa.
    Le riunioni sinodali sono state anche l’occasione sia per un incontro diverso e più fecondo tra sacerdoti e laici, posti su un piano di parità nello scambio delle personali storie di vita, speranze, solitudini, amarezze e gioie, sia per un ascolto reciproco con le tante realtà associative e di volontariato del territorio che lavorano con passione per il bene e la cura della persona nelle diverse stagioni della vita.1.a La domanda fondamentaleDalle sintesi raccolte si deduce che gli aspetti più significativi sono sempre in riferimento ai nuclei tematici proposti dai documenti sinodali.
    Ma tra le righe non si può non cogliere come tante volte le considerazioni espresse sono risposta agli interrogativi della domanda fondamentale.
    Prima di tutto l’esperienza stessa del metodo della conversazione spirituale è stata valutata positivamente da tutti e questo ha rafforzato l’idea dell’importanza del camminare insieme, anche perché il racconto del proprio vissuto e l’ascolto fanno cadere molte barriere.
    Inoltre non è mancata la sensazione che lo Spirito Santo abbia parlato attraverso le voci che abbiamo ascoltato. Sarà quindi fondamentale camminare insieme e mettersi in ascolto dello spirito che saprà suggerirci le strade migliori per rivitalizzare le nostre comunità.

    1. Discernimento dei contributi raccolti

    2.a I compagni di viaggio
    Il “camminare insieme” come il Sinodo chiede è farsi compagni di viaggio, accettando con sincerità di compiere almeno alcuni passi con tutti. Così il “farsi compagni” con un ascolto attivo e attento” diventa il modo fondamentale per imitare lo stile di Gesù. Si tratta di farsi compagni dell’uomo nei diversi ambiti della vita (famiglia, lavoro, scuola, …), con attenzione alle diverse generazioni (bambini, giovani, …, anziani); un camminare al fianco delle persone rispettando i loro ritmi e favorendo un ascolto che non sia solo passivo, ma empatico e fruttuoso.
    Considerando questo tempo un tempo di ripresa concentriamo significative risorse per i ragazzi e i giovani (oratori), e per i poveri.
    La comunità è spesso altro rispetto alla parrocchia. Ma questo stare nella comunità con uno stile di vicinanza e amicizia può diventare testimonianza e, confidando nello Spirito Santo, può far sentire il desiderio di Dio. Si deve respirare la vita reale di una comunità, essere presenti anche al di fuori della Chiesa, non sciupare gli incontri occasionali che spesso la vita ci permette di avere per testimoniare Cristo proprio attraverso la vicinanza e l’amicizia.
    Questo stile può aiutare la Chiesa ad essere più vicina alla realtà, e a colmare quella frattura che oggi sperimenta a tutti i livelli tra la fede e la vita reale della gente.
    Questa frattura è evidente: per la maggioranza delle persone i punti di riferimento non sono nella Chiesa; forse molti percepiscono la chiesa come luogo non accogliente e hanno paura di essere accettati e tutto questo diventa ostacolo per camminare insieme.
    Ancora positivo che molti genitori mandino i figli a catechismo, ma loro sono molto lontani da qualsiasi cammino spirituale.
    Qualche passo significativo di vicinanza lo si è sperimentato durante la pandemia. Le parrocchie si sono attivate molto per le famiglie. Sarebbe opportuno, anche se in modo diverso, trovare il modo giusto di continuare questa attenzione in particolare verso le famiglie e i giovani.
    Spesso viene messo in evidenza quanto sia importane sostenere la famiglia, luogo dove si impara a camminare insieme; famiglia e comunità devono sostenersi a vicenda in un circolo che deve diventare sempre più virtuoso, esprimendo vicendevolmente a seconda delle necessità compassione e tenerezza. Non bisogna tralasciare che spesso le famiglie attraversano situazioni problematiche legate a separazioni o marginalità sociale. La comunità cristiana dovrebbe chinarsi verso queste famiglie, senza etichettarle o giudicarle, ma facendo sentire la sua vicinanza concreta e solidale.
    L’essere compagni di viaggio a livello di attività pastorale deve attuarsi tra le parrocchie vicine, soprattutto in ambito giovanile e familiare. Questo anche perché dall’esperienza sinodale è emerso che talvolta il comunicare la propria esperienza è più facile fuori dalla propria comunità.
    A volte camminiamo insieme pensando che la nostra comunità parrocchiale sia migliore di altre, quando però si presenta un’occasione di confronto, qualche volta, si scoprono realtà che sanno camminare “meglio”. Un confronto su come gli altri vivono la comunità potrebbe essere arricchente.
    Nella nostra Diocesi di Novara questo essere compagni di viaggio dovrebbe esprimersi in modo significativo nelle Unità Pastorali Missionarie.
    Ma il tempo della pandemia ha fatto emergere l’importanza di un altro momento fondamentale durante il quale è prezioso avere “compagni di viaggio”: il tempo della malattia, del dolore e della morte. Pensiamo a quanto sia importante accogliere con tenerezza e condivisione le persone colpite da un lutto o dimostrare attenzione e cura verso chi è malato o solo. Fa parte della missione della Chiesa l’atteggiamento di stare vicino nel momento del bisogno, quando c’è la povertà, nei momenti cruciali della vita (malattia, problemi familiari, lutti). Questa vicinanza può essere un aiuto concreto a superare i momenti difficili della vita che spesso sono anche i momenti faticosi dell’esperienza di fede. Anche qui la vicinanza può aprire spiragli di luce.
    La pandemia ha portato tanto dolore e ha reso ancor più difficile vivere esperienze di gruppo e di comunità, fili che ora vanno riannodati, tenendo conto che di questa situazione ha sofferto anche la vita spirituale delle comunità.
    Da questo punto di vista non diamo per scontato che siano compagni di viaggio coloro che già frequentano le comunità parrocchiali. Spesso non vi è relazione tra le persone che vengono a Messa. Si tratta di attivare passi che favoriscano questa amicizia magari proponendo in varie occasioni momenti di convivialità. È difficile testimoniare all’esterno se non siamo noi comunità. È importante che la comunità ecclesiale sia una comunità fraterna, che faccia emergere la differenza cristiana che è in antitesi rispetto alla cultura individualista. Nella vita della parrocchia il camminare insieme con grande disponibilità ed apertura è mettere in comune con generosità le proprie competenze e i propri talenti. Sempre nella comunità si impara a rispettare le opinioni diverse, proprio perché tutti coloro che la compongono sono diversi. Se non riscopriamo la fraternità c’è poca strada da fare.
    Un’ultima considerazione riguarda la vicinanza ai sacerdoti. A chi ha ruoli di responsabilità in Diocesi si chiede una maggior vicinanza ai sacerdoti, in particolare ai più giovani, nell’affrontare i “passaggi” nei vari cambiamenti del ministero sacerdotale.

    2.b Ascoltare
    Occorre tradurre il richiamo all’esercizio dell’ascolto in prassi feconda, facendo tesoro delle indicazioni presenti in proposito nell’enciclica “Fratelli tutti”. Il dialogo permetterà il “vero riconoscimento dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra le sue motivazioni e i suoi interessi”. Permetterà di sentire le gioie e i dolori degli altri come nostri, di parteciparvi, di farci riconoscere dagli altri come compagni di vita.
    Ora questo ascolto non può essere demandato solo ai sacerdoti; anche i laici sono chiamati a divenire “persone di ascolto”. C’è un grande bisogno di essere ascoltati, soprattutto da parte dei giovani.
    Le nostre comunità sono in debito di ascolto nei confronti delle persone sole.
    Ma è possibile “arricchirci” ascoltando anche le persone che non appartengono al nostro gruppo, anche i più lontani Per questo è chiesto di non chiuderci nel nostro cortiletto, ma di guardare oltre la nostra cerchia, alle persone più lontane, non praticanti, dando loro tempo e ascolto, chiedendo allo Spirito Santo di farci vuoti di noi stessi per dare solo quanto Egli ci suggerisce. Ascoltare è un dono dello Spirito Santo.
    Per costruire la comunità non si può più affidarsi all’imposizione, ma occorre far leva sull’ascolto.
    Oggi la Chiesa deve puntare sull’ascolto e con l’ascolto mostrare autorevolezza.
    Ci sono realtà, luoghi, che potrebbero favorire il dialogo e l’ascolto, come un asilo, una scuola, un oratorio dove ragazzi, giovani e genitori potrebbero incontrare attenzione e disponibilità ad un ascolto attento e disponibile.
    Naturalmente, in particolare con i giovani, non è sufficiente un ascolto “passivo”, ma è importante che l’ascolto sia formativo: dobbiamo porre l’attenzione anche su “cosa” la comunità dice ai ragazzi in questo momento, sui linguaggi che usiamo con loro. Diciamo loro troppo o troppo poco? Prima di parlare siamo davvero interessati ad ascoltare i loro dubbi, le loro provocazioni, le loro ansie?
    Non meno importante è per la comunità parrocchiale la necessità di mettersi in ascolto delle persone anziane (per colmare soprattutto un senso di solitudine), delle persone che appartengono a realtà e culture diverse (es. le badanti) e delle persone fragili. Le esperienze raccontate dimostrano di come non ci siano momenti istituzionali di ascolto, ma “occasioni” offerte dalle singole persone e di come Dio ci parli nelle singole situazioni. “Vengo a prendere un caffè da te” potrebbe essere un’occasione di ascolto e di evangelizzazione moderna.
    Durante la pandemia, quando tutte le attività sono state sospese, siamo stati più portati all’ascolto ed alla riflessione, anche se con i nuovi strumenti tecnologici. Durante questo periodo, pur rispettando le leggi dello stato, la Chiesa è stata molto presente ed ha dato un ottimo esempio e tante opportunità di ascolto e meditazione.
    L’assenza dei giovani nella comunità potrebbe evidenziare proprio la difficoltà di dialogare con loro e di ascoltarli. Probabilmente gli adulti credenti non sono credibili per il mondo giovanile.
    Ascoltare significa accogliere, perché l’ascolto vero, profondo degli altri ci deve portare ad allenarci, ad essere capaci di accogliere l’altro così com’è e nella situazione in cui si trova. E questa è una delle cose importanti per fare comunità e per stare in mezzo agli altri.
    Si è un po’ persa questa capacità di ascoltare le opinioni altrui, facendo prevalere piuttosto che il dialogo il campanilismo, ovvero esclusivamente il proprio punto di vista. E per questo atteggiamento chi paga di più sono proprio i giovani. Non è detto che lo Spirito Santo soffi nelle cose che facciamo noi (comunità cristiana).
    Sacerdoti e laici sono invitati ad alimentare molto la vita spirituale, perché è dalla vita interiore che emerge l’atteggiamento giusto per metterci in ascolto di tutti e per cogliere dall’ascolto ciò che lo Spirito ci dice. Soprattutto, per alimentare la vita interiore, sarà fondamentale l’ascolto della Parola di Dio.
    Per i sacerdoti.  L’ascolto fraterno tra i sacerdoti diviene preziosa cura della loro umanità e fa crescere la fraternità sacerdotale. Questo in particolare quando ci si sente ascoltati “dall’alto”.
    Verso i fedeli i sacerdoti devono recuperare l’importanza di ascoltare con umiltà, senza rinunciare alla propria autorevolezza. Ascoltare con umiltà e carità e parlare con parresia e verità (Papa Francesco). Evitare la tentazione di dire “di non avere tempo per ascoltare”, con la conseguenza che per non perdere tempo si perdono tante occasioni di incontro e di ascolto.
    Fare in modo che l’ascolto non sia solo una virtù morale, ma diventi procedimento, processo stile pastorale.

    2.c Prendere la parola
    Sarà molto importante continuare ad utilizzare sia negli organismi istituzionali, sia nei gruppi delle comunità il metodo della conversazione spirituale. Questo desiderio è frutto dell’esperienza sinodale che è stata una concreta occasione per un dialogo rispettoso di tutti i presenti, evitando uno stile dove prevalgono il dibattito e i toni della discussione.
    È risultato estremamente prezioso poter parlare con limpidezza, senza sentirsi giudicati, e custodire come qualcosa di importante quello che l’altro dice.
    Dialogo e ascolto sono stati un prezioso stimolo per comprendere l’importanza del camminare insieme in modo da far superare le criticità e favorire la circolazione nella comunità della ricchezza che ogni persona, nella sua diversità, può portare nei vari ambiti pastorali.
    Un rischio nella Chiesa potrebbe esserci se questa conversazione spirituale dipendesse solo dai preti. In questo nostro tempo facilmente anche loro trovano porte chiuse e l’accumularsi degli impegni spesso non permette la loro presenza. Quindi, similmente al farsi “compagni di viaggio” anche su questo punto la formazione dei laici è fondamentale, così come è stata fatta per i facilitatori dei gruppi sinodali. Andrà rafforzata questa ministerialità dei laici per favorire un corretto e rispettoso svolgimento degli incontri comunitari.
    La figura del sacerdote rimane comunque importante, sia per la cura personale della vita spirituale, sia per garantire, al di là di una feconda partecipazione dei fedeli, la coerenza con gli elementi costitutivi della Chiesa, espressi dal Sinodo Universale con i termini della Comunione e della Missione.

    2.d Celebrare
    Nella Chiesa il ritrovarsi a celebrare il mistero pasquale della passione, morte e risurrezione di Gesù attorno alla mensa eucaristica è fondamentale.
    Sarà quindi doveroso coltivare la liturgia nel suo valore mistagogico dove il coinvolgimento, il sentirsi parte fa crescere ciascuno e la comunità. Una liturgia vissuta bene da tutta la comunità ha anche un risvolto missionario.
    La celebrazione festiva diventa preziosa occasione per sentirsi compagni di viaggio e camminare insieme. Qualche momento di convivialità nel giorno della festa potrebbe favorire e accrescere il senso di appartenenza di tutti gli attori della testimonianza.
    Parola ed Eucaristia sono il fondamento della nostra comunione.   Ma anche il legame della preghiera, dell’amore vicendevole, del rispetto, dell’impegno che ci tengono legati tra di noi non deve mancare. In modo particolare la preghiera è espressine importante di vicinanza a chi soffre e a chi ha bisogno di aiuto e conforto.
    La ricchezza delle tradizioni popolari di tante nostre comunità ci chiede di non tralasciare di coltivare la devozione a Maria e ai Santi, importanti compagni di viaggio, sempre orientando il loro esempio e la loro intercessione all’incontro con Cristo. Le tradizioni locali sono la “storia del paese”, non devono vivere solo nei ricordi, ma trasformarsi in momenti dove la fede di un tempo si esprima anche oggi incarnandosi nella realtà attuale.
    Andrà curata anche la formazione liturgica: aiutare la comunità a far nascere tutte le ministerialità necessarie per far sì che la celebrazione sia attraente per tutti e in particolare per la nuove generazioni. Una buona cura delle celebrazioni nella gestualità, nelle ammonizioni, nelle introduzioni, nell’animazione liturgica, favorisce simbolicamente ciò che è comunione, partecipazione e missione.

    1. e Corresponsabili nella missione

    Occorre accrescere la passione di diventare “Chiesa in uscita” per portare il Vangelo a tutti.
    È necessaria una vera corresponsabilità all’interno della comunità sia da parte dei sacerdoti che devono imparare a fidarsi dei laici, sia da parte dei laici che non devono sentirsi inferiori ai sacerdoti.
    Il valore della Corresponsabilità nella missione diventa fecondo se incrementa il cammino di formazione alle nuove ministerialità. Il tempo della pandemia ha evidenziato l’importanza di curare l’accoglienza, la vicinanza alle persone sole, il ministero della consolazione.
    La fiducia nello Spirito Santo può sostenere l’atteggiamento di andare incontro a tutti, e questo compito non è riservato al clero. Il desiderio di Papa Francesco di una “Chiesa in uscita” indica proprio il coinvolgimento dei laici nella testimonianza.
    È necessario proporre adeguati percorsi di formazione che aiutino a mettere al centro la persona e l’ascolto delle sue necessità, in particolare per quanto riguarda l’annuncio alle nuove generazioni. Senza questa apertura la vita ecclesiale si riduce a organizzazione e prestazione di servizi religiosi. L’esperienza ecclesiale si clericalizza: il presbitero perde la sua funzione di pastore e si riduce a mero funzionario del sacro. I laici si piegano a funzioni di supporto organizzativo solo interne alla chiesa; non si sentono coinvolti in quanto cristiani, col proprio essere e operare, nella vita del mondo, facendo mancare il contributo illuminante dell’esperienza; il contributo di tutti può aiutare a ricucire la frattura tra fede e vita reale.

    2.f Dialogare nella chiesa e nella società
    La comunità deve essere aperta a tutti.
    Questa buona intenzione ha le sue esigenze. Innanzitutto non bisogna avere preconcetti nei confronti degli altri, anche dei “lontani”. Spesso i preconcetti bloccano la disponibilità all’ascolto e a cogliere ciò che potrebbe essere fecondo anche per la Chiesa. Inoltre il dialogo nella società esige anche una formazione, in particolare sulle sfide che la realtà attuale pone anche alla Chiesa.
    Per fare questo è necessario imparare il “linguaggio dell’altro”; spesso diciamo delle belle parole, diamo dei bei messaggi, ma per noi. Il dialogo richiede di saper metterci anche dalla parte dell’altro per poter instaurare relazioni autentiche e costruttive.
    Naturalmente la Chiesa mettendosi in ascolto della società deve rinunciare ai propri valori fondamentali col rischio di snaturare le proprie caratteristiche.
    La fede va testimoniata con la vita nella quotidianità, con coerenza, autorevolezza e mai con arroganza.
    Un ambito a cui la Chiesa deve avvicinarsi maggiormente è il mondo dei lavoratori così da aiutare i lavoratori cristiani ad essere testimoni sui luoghi di lavoro.
    Un altro ambito in cui la Chiesa deve essere attenta alla vita della società è la formazione all’impegno politico, l’attenzione alle politiche sociali ed economiche. Una Chiesa viva non può estraniarsi dai problemi sociali che hanno concreti risvolti sulle persone, soprattutto quando le scelte vanno a colpire i più fragili e i più deboli. Durante la Messa, nella predica come commento al Vangelo, è importante allacciarsi alla realtà e parlare anche di quello che sta succedendo nella vita di tutti i giorni. È bene evitare di fare politica partitica. Ma il commento al Vangelo deve aiutare a legare la fede alla vita reale della gente.
    Il superamento della sovrapposizione della comunità cristiana con la comunità civile ci chiede con maggior forza di andare nel mondo, accostarsi al quotidiano, partecipare, discernere, collaborare. Ciò favorisce la formazione individuale e comunitaria, la cementa attorno alla parola del Vangelo messa in relazione con la vita. Spinge all’esterno dei recinti ecclesiali i cristiani, in particolare i giovani, coinvolgendoli in esperienze decisive per la loro fase di crescita umana e religiosa.

    2.g Con le altre confessioni cristiane

    Le comunità ecclesiali non devono e non possono non confrontarsi e dialogare con le altre confessioni di fede cristiane, in un’ottica ecumenica che aiuti a sperimentare la bellezza del credere in Cristo. È necessario lavorare sui valori condivisi per la realizzazione di una cultura di pace che abbia come valore fondante la fratellanza.
    L’ecumenismo rimane purtroppo spesso più un tema di discussione (a cui si appassionano alcuni) o una voce nell’elenco delle cose da fare, che una realtà vissuta dalle comunità.
    Nel riflettere sul camminare insieme con altre confessioni religiose, non si può tuttavia non pensare alla significativa presenza mussulmana nel nostro territorio, così come di varie confessioni cristiane.
    I passi di ricerca di dialogo non sono molti, tuttavia ci sono alcune esperienze positive in cui la condivisione di un comune obbiettivo e la possibilità di esprimere le proprie diversità culturali in un clima di reciproco rispetto hanno permesso di vivere esperienze positive sul territorio.

    1. h Autorità e partecipazione
    2. i Discernere e decidere

    Si registra senza dubbio una certa fatica nella vita ecclesiale: ci sono atteggiamenti di chiusura, scarsa capacità di dialogo e spesso le riunioni diventano meri adempimenti dove in realtà le decisioni sono già prese senza lasciar spazio all’ascolto. D’altro lato va riconosciuto che partecipazione e dialogo, per quanto necessari, comportano fatica e grande maturità. Spesso infatti i laici sono poco propositivi o, per coltivare propri interessi personali, assumono un atteggiamento ricattatorio e “adolescenziale” che mette in scacco i sacerdoti, se questi non rispondono alle loro, spesso pretestuose, richieste.
    Altre volte, invece, sono i sacerdoti che non credono a sufficienza nella partecipazione dei laici e nella condivisione tra confratelli. Sono preoccupati dal tema della corresponsabilità, li inquieta la condivisione con persone che danno una precisa testimonianza pur non essendo partecipi dei “loro cammini”.
    La cosiddetta “PIRAMIDE” della chiesa, ovvero la sua struttura gerarchica non è pronta a un profondo cambiamento del sistema, aspetto che permetterebbe di far “scendere in campo” più persone capaci di ascolto verso le comunità. Analogamente i sacerdoti e i religiosi con incarichi diocesani, negli uffici di curia o in “strutture religiose”, dovrebbero riservarsi anche del tempo per scendere in campo nelle parrocchie e nelle comunità, vicino alle persone e ai giovani, per meglio comprenderne il sentire e i reali bisogni.
    Emerge la necessità che si passi da una impostazione basata sull’autorità a vantaggio di una basata sull’autorevolezza. Oggi il ruolo non basta più a garantire l’obbedienza.
    Il tema del “camminare insieme” deve consentire di riprendere con coraggio il tema della suddivisione di compiti e ruoli nella Chiesa, perché nella corresponsabilità e pur sotto la responsabilità dei sacerdoti, si trovi il modo di affidare ai laici precisi compiti, a partire da quelli amministrativi, a garanzia di un’efficienza della struttura ecclesiale stessa. Non è da tralasciare neppure l’atteggiamento di cura, inteso come reciproco sostegno, incoraggiamento e correzione fraterna, condividendo il peso della responsabilità della missione, seppur con ministeri differenti. È proprio questo aspetto a far superare il rischio di un coinvolgimento legato esclusivamente al “bisogno”, perseguendo l’obiettivo del “camminare/crescere insieme”.
    È inoltre necessario rivedere il ruolo della donna nella Chiesa, da valorizzare per la sensibilità e capacità di entrare in relazione con l’altro. Questo percorso deve portare a riconoscere alle donne maggiori responsabilità per un arricchimento della dimensione ecclesiale.
    Anche su questi punti è importante la formazione, in particolare sull’importanza di come attuare il discernimento, che è determinante sia per chi ha l’autorità di decidere, sia per valutare quali passi lo Spirito ci chiede di fare.

    2.l Formarsi alla sinodalità  
    L’esperienza delle assemblee sinodali è stata per tutti positiva per cui è emerso il desiderio di lavorare con questo stile anche in contesti pastorali più specifici.
    Per proceder in tal senso non si può prescindere dal pensare ad una formazione specifica sia dei sacerdoti sia dei laici.
    A questo proposito è necessario che i seminaristi siano formati non più ad un ruolo principalmente sacrale – dirigenziale, ma ad una dimensione pastorale in cui il loro compito sarà anche armonizzare e valorizzare i ministeri laicali. In un’ottica di sinodalità il presbitero non deve essere il “direttore della comunità”, ma il pastore che promuove la partecipazione di tutti nel rispetto delle specifiche vocazioni.
    I laici a loro volta devono essere formati ad una reale corresponsabilità che non si traduce in clericalismo, ma in generosa disponibilità ad assumere responsabilità nei vari ambiti d’impegno ecclesiale e civile. I laici devono essere formati perché la loro ministerialità sia vissuta e donata in un’ottica di sinodalità e di pastorale integrata. L’esperienza del Seminario dei laici, vissuta in tutta la Diocesi in edizioni successive, è un investimento importante in quest’ottica di formazione alla sinodalità che va continuato.
    A partire dalla vita nelle singole comunità, laici e presbiteri devono impegnarsi in un cammino nel quale siano banditi individualismi e campanilismi e si lavori insieme in un ottica di partecipazione e corresponsabilità.

    1. Conclusioni: prossimi passi

    Dai molteplici racconti che compongono il mosaico esperienziale del percorso sinodale fin qui vissuto nella diocesi di Novara emerge un dato univoco: l’apprezzamento per lo stile sinodale come modalità “diffusa” nella vita delle comunità non solo in ambito ecclesiale, ma anche civile.
    Questo stile dovrebbe contraddistinguere anzitutto l’agire dei vari organismi di partecipazione e corresponsabilità (a iniziare da Consiglio presbiterale, Consiglio pastorale diocesano, Consigli pastorali parrocchiali). Sarebbe utile replicare l’esperienza sinodale, ad esempio, nelle riunioni destinate a impostare i programmi pastorali, in modo che non siano riunioni chiamate a discutere ed approvare soluzioni preconfezionate, ma luoghi in cui emergono i problemi e si intrecciano le risposte francamente e liberamente proposte.
    La ricchezza ontologica e metodologica suggerita per i facilitatori dei gruppi sinodali, è una ricchezza che andrebbe valorizzata nella formazione dei laici giovani e adulti che si trovano ad operare non solo in ambito ecclesiale, ma anche in ambito sociale e lavorativo. Questo stile umano ha sicuramente la forza di cambiare gli ambienti di vita in cui viene portato.
    Un passo da compiere che ci sentiamo di suggerire, poiché ne è emersa la necessità da più voci, è la formazione alla ministerialità per i laici; tale formazione dovrebbe interessare anche i sacerdoti chiamati a condividere e/o delegare i momenti decisionali ai laici.
    Nel solco di questa indicazione vanno riprese le indicazioni del XXI Sinodo diocesano, sia nella sua parte metodologica che in quella delle indicazioni pastorali.

    LA SINODALITÀ – Nella lettera di presentazione che da fa prologo al Libro del XXI sinodo della Chiesa novarese, il vescovo ci ricorda che: “La sinodalità si articola in tre dimensioni: la radice della sinodalità nella liturgia eucaristica, la sinodalità intesa come forma di corresponsabilità al governo nella chiesa e la sinodalità come processo spirituale di comunione”. Nel fare della sinodalità lo stile quotidiano delle nostre comunità dobbiamo tenere presenti sempre questi tre aspetti.

    LA RADICE – Dall’esperienza sinodale in corso emergono come centrali il tema della Parola e dell’Eucarestia. In questa direzione si è espresso con chiarezza il XXI Sinodo diocesano (art. 16 Fare festa nel giorno del Signore; 27 La centralità del giorno del Signore; 26 La fonte viva della Parola di Dio), con indicazioni pastorali e operative.

    I LUOGHI – Il Sinodo diocesano ha individuato alcuni “luoghi” in cui esprimere in forma concreta lo stile sinodale (Upm, équipes pastorali, Consigli pastorali). Uno dei frutti del percorso sinodale che stiamo vivendo potrebbe essere quello di costituire questi “luoghi” là dove non sono ancora stati attivati e rianimarli là dove esistono solo sulla carta. Una cura particolare dovrebbe essere dedicata ai Consigli pastorali parrocchiali: dovrebbe averne uno ogni parrocchia di significative dimensioni; in altre realtà la soluzione potrebbe essere quella di Consigli interparrocchiali (14. Comunione tra le parrocchie).

    GIOVANI – Quello dell’attenzione ai giovani è stato un tema ricorrente in molte delle riunioni sinodali. Anche in questo caso il XXI Sinodo diocesano ha indicato la strada da percorrere quando afferma: “La Chiesa di Novara vuole ritrovare nuovo slancio e rinnovata capacità di prendere l’iniziativa per i giovani e con i giovani”, indicando anche il triangolo virtuoso entro cui collocare la pastorale giovanile: comunità, famiglia e scuola.

    FAMIGLIE – “La famiglia, posta al centro dell’impegno pastorale, dà alle nostre comunità un volto e uno stile familiare … La parrocchia del futuro dovrà essere sempre più una famiglia di famiglie.”. Anche su questo versante il Sinodo diocesano ha individuato un ambito per “ascolto e vicinanza” che è emerso come assolutamente prioritario nelle riunioni sinodali in corso e fornisce suggerimento operativi/pastorali al riguardo