LA CASA SULLA ROCCIA

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Omelia nella Solennità di San Giulio, sacerdote - 2018
31-01-2018

Due segni, ieri, mi hanno accompagnato al mio arrivo qui all’isola di San Giulio, suggerendo in me una traccia per le parole che volevo dirvi questa mattina.

Il primo segno è questo: sono arrivato quasi su una scialuppa, portato da un parroco con una barca bassa, che sfiorava appena il pelo dell’acqua. Mi ha fatto rivivere l’esperienza di San Giulio, il quale è arrivato su un mantello. Pressappoco eravamo nella stessa condizione, tanto è vero che all’imbarcadero si è creato il problema di come scendere… Ho rivissuto l’approdo, a cui è arrivato, oltre 1650 anni fa circa, san Giulio!

E il secondo segno è stato l’incontro con il nostro fratello Timoteo, che saluto fraternamente e che arriva proprio dall’Isola di Egìna, la patria natale di san Giulio. Riflettevo a cosa passasse per la mente di chi, come san Giulio, ha lasciato la sua terra, tanti secoli fa. È partito attraversando tutta l’Italia, a metà tra un rifugiato e un perseguitato – dice la biografia che ho riletto ieri sera – e poi trasformandosi in evangelizzatore. Fermatosi a Roma, chiese le credenziali all’imperatore, per arrivare poi alla periferia dell’Impero ed annunciare il Vangelo. Probabilmente quando san Giulio è approdato all’isola del Cusio, ha ripensato alla sua isola di partenza, sentendosi un po’ di casa!

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