Due segni, ieri, mi hanno accompagnato al mio arrivo qui all’isola di San Giulio, suggerendo in me una traccia per le parole che volevo dirvi questa mattina.
Il primo segno è questo: sono arrivato quasi su una scialuppa, portato da un parroco con una barca bassa, che sfiorava appena il pelo dell’acqua. Mi ha fatto rivivere l’esperienza di San Giulio, il quale è arrivato su un mantello. Pressappoco eravamo nella stessa condizione, tanto è vero che all’imbarcadero si è creato il problema di come scendere… Ho rivissuto l’approdo, a cui è arrivato, oltre 1650 anni fa circa, san Giulio!
E il secondo segno è stato l’incontro con il nostro fratello Timoteo, che saluto fraternamente e che arriva proprio dall’Isola di Egìna, la patria natale di san Giulio. Riflettevo a cosa passasse per la mente di chi, come san Giulio, ha lasciato la sua terra, tanti secoli fa. È partito attraversando tutta l’Italia, a metà tra un rifugiato e un perseguitato – dice la biografia che ho riletto ieri sera – e poi trasformandosi in evangelizzatore. Fermatosi a Roma, chiese le credenziali all’imperatore, per arrivare poi alla periferia dell’Impero ed annunciare il Vangelo. Probabilmente quando san Giulio è approdato all’isola del Cusio, ha ripensato alla sua isola di partenza, sentendosi un po’ di casa!
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