Doveva essere proprio così, all’inizio, intorno all’anno 30, quando Gesù incontrò i primi discepoli sulla riva del Lago di Galilea. Quel lago è due volte il lago che abbiamo di fronte, le cui misure dicono che il punto più profondo è di 143 metri, con una media di 70,9 m, mentre il lago di Galilea ha una profondità massima di 43 m, essendo un lago che subisce una forte evaporazione, perché si trova in una zona depressa.
È un lago simile a questo, ma certo Gesù non aveva schierati davanti a sé i giovani che tra voi partiranno per la missione! I suoi erano confusi tra la folla. A un certo punto Gesù dice: “Io vado a pescare!” (cfr. Mt 4,19; Mc 1,17; Lc 5,4.10) Questa espressione è la stessa che Pietro ripete, sempre sul lago di Galilea, dopo la resurrezione (Gv 21,3a). Il Vangelo di Giovanni aggiunge che “in quella notte non presero nulla” (Gv 21,3b). Così si sperimenta una sproporzione, uno scarto, una distanza, un’ascesa, una salita tipica della vostra età.
Una psicanalista, Julia Kristeva, di origine bulgara, che vive e opera in Francia, e che fin da giovane ha studiato questi grandi fenomeni, ripresi nel suo libro dal titolo Bisogno di credere. Un punto di vista laico, Roma, Donzelli, 2006, afferma che noi coltiviamo dentro un incredibile bisogno di credere – usa proprio questa espressione! L’età nella quale questo bisogno è massimamente concentrato è l’adolescenza, la prima giovinezza. È il periodo nel quale uno deve credere al suo ideale e deve misurarlo poi col suo reale vissuto, che gli verrà incontro giorno per giorno. L’ideale è ciò che vediamo allo specchio, ciò che mettiamo sul profilo di Facebook e che cambiamo ogni giorno, perché la vetrina sia sempre rinnovata, mentre poi c’è il reale, ciò che realmente siamo e viviamo. Questo scarto tuttavia non è una condanna, ma è una sproporzione importante per l’adolescente-giovane. Al contrario noi adulti tendiamo ad accorciare questo scarto, questa ascensione, questo sguardo in alto. Se uno lo vive in modo drammatico come una lacerazione, una separazione, tra un “io”, quasi hollywoodiano, e poi il sé reale, che è diverso, depresso… allora si comprendono molte tensioni adolescenziali.
Ho voluto introdurmi con queste espressioni perché credo che in quell’inizio del Vangelo, che ho citato prima, anche per Gesù sia stata una situazione simile. Certo i discepoli non avevano il nostro modo di vedere la vita e attendevano piuttosto un Messia nella Palestina di quei tempi, che non era messa meglio di oggi, occupata allora dai Romani. Attendevano un Messia che venisse con braccio forte e disteso, e sistemasse tutte le cose quasi con un tocco di bacchetta magica! Questa è la grande tentazione: immaginare che la vita si possa sistemare con un tocco di bacchetta magica, e c’è chi anche oggi ci incanta con queste promesse.
Invece le cose belle stanno dentro questo scarto, che se talvolta diventa una ferita, una ferita aperta e guardata come una scommessa, ci fa decidere di partire! Con i ragazzi vestiti delle maglie azzurre, con cui ho fatto volentieri la foto, ci diamo questo appuntamento: tornate a casa con la vostra maglietta azzurra logora, consunta – anche come prova che siete stati in Africa o in America Latina! – però ritornate a casa per raccontare quello che avete visto e vissuto. Non saranno cose strane, cose difficili, però vedrete come laggiù la vita vi mette in sesto, come il reale diventa così forte e potente da essere lì nella sua bellezza. Vi metterà in ordine anche le paturnie che ci fanno soffrire magari durante l’anno! E questo sarà l’effetto collaterale previsto…
Per tutti noi, che invece rimaniamo, possiamo vivere la stessa cosa anche stando a casa. Partiremo idealmente da questa sponda, come dal mare di Galilea, da una riva proprio uguale a questa …
E dentro questo scarto, questa apertura, questa ferita, oggi cosa portiamo? Ci facciamo guidare brevemente da una frase, tratta dagli Atti degli Apostoli:
“Uomini di Galilea, perché state a guardare verso il cielo?” (At 1,11)