Due «icone», due immagini evangeliche fissate nella rappresentazione artistica, che si legano ad una storia, quella di Maria, nella quale rileggere, quasi in uno specchio, la vicenda dell’uomo di oggi. Le ha proposte il vescovo Franco Giulio nell’omelia per la Solennità dell’Assunzione, celebrata nel santuario del Sacro Monte di Varallo che proprio a Maria Assunta è dedicato.
Di seguito il testo integrale con le parole del vescovo.
Due icone, una storia
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
Introduzione
Carissimi,
mentre si sta compiendo il giorno dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria, sono salito volentieri per vivere con voi questa solenne Eucaristia qui al Sacro Monte di Varallo, che è il santuario ideale che in modo singolare celebra questo mistero della vita della Madre del Signore.
Sono salito volentieri, ripeto, perché da un anno don Angelo Porzio è il nuovo rettore e la sua nomina, nell’avvicendamento delle figure che hanno svolto sempre con grande dedizione tale incarico, porta con sé anche l’augurio di un rinnovamento liturgico e spirituale di questo Santuario, che è uno dei più importanti della diocesi di Novara, e che, dal punto di vista storico-artistico, è il primo in Europa come tipologia di “Sacro Monte”.
Desidero introdurvi brevemente al mistero dell’Assunzione, rileggendo con voi, anzitutto, la seconda lettura (1Cor 15, 20-27a) che ci consente di spiegare il mistero mariano (il dogma) che oggi celebriamo: vi presenterò le due icone, le due immagini della fine della vita di Maria presenti in questa Basilica.
Due icone, una storia
Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria
15-08-2021
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In seguito, farò un breve cenno alla pagina dell’Apocalisse che è stata proclamata (Ap 11, 19a; 12, 1-6a.10ab), mettendola in rapporto al vangelo della Visitazione di Maria ad Elisabetta (Lc 1, 39-56), descrivendo il senso della storia di Maria (e della nostra). Ecco il nostro tema: due icone, una storia!
Partiamo, anzitutto, da san Paolo che nella Prima lettera ai Corinzi si esprime così:
“Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti” (1 Cor 15, 20-21).
“Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo” (1 Cor 15, 23).
Maria è la primizia di coloro che “sono di Cristo”. Di coloro cioè che sono entrati nel cammino del discepolato. Lei, che è la madre del Signore Gesù, è stata la prima discepola, come dice tutta la tradizione. E proprio perché ha camminato fin dall’origine con la volontà di seguire il Signore – quel Signore che Ella aveva portato nel grembo e che ha donato a noi e al mondo –, anche il termine della sua vita appartiene al contenuto essenziale della fede cattolica. Il senso della fede dice che Maria condivide fin d’ora la pienezza della risurrezione di Cristo. Se la Risurrezione è la Pasqua di Gesù, l’Assunzione è la Pasqua di Maria!
In questa Basilica abbiamo rappresentate le due facce dell’unica medaglia del compimento della vita di Maria. Nella cripta abbiamo raffigurato tale compimento secondo la tradizione orientale, vale a dire con l’immagine della “Dormizione di Maria”. Pure a Gerusalemme nei pressi del Cenacolo, troviamo la testimonianza di questa icona nella Chiesa della Dormizione. Questa immagine mette in luce un aspetto, una faccia del mistero che celebriamo oggi. Mentre l’altro aspetto è rappresentato, qui nella Basilica, secondo la tradizione occidentale, con l’icona dell’Assunzione mediante un trionfo di stile barocco, nell’incomparabile raffigurazione di Maria sorretta dagli angeli, sospesa in aria, mentre viene portata in cielo.
Due icone, due immagini, due linguaggi del compimento della vicenda terrena della Madonna. L’una e l’altra rappresentazione si possono spiegare con un linguaggio semplice.
Prima icona: la Dormizione di Maria
La prima icona: se la vita umana è vissuta nella fedeltà al Signore, se esprime la vita del discepolo, se è l’esistenza percorsa con e come Gesù, non si deve avere paura della morte. Perché, quando la vita è vissuta così, la morte è un passaggio, è un compimento, è una dormizione.
Oggi esprimiamo questa idea, consapevoli del pericolo che abbiamo corso in questi ultimi due anni, coscienti del fatto che molte famiglie sono state toccate profondamente dalla morte. Eppure tutte le persone, che vivono la vita cristiana e sono capaci di trasfigurare i loro gesti umani all’interno della fede cristiana, non possono temere la morte. Perché non temono di far prevalere ogni giorno la vita sulla morte.
Pensate quanto ci sono costati in questi due anni i gesti della prossimità: dare la mano, fare una carezza, abbracciare, baciare: prima erano diventati gesti scontati. Dare la mano a una persona era un semplice gesto di saluto ed incontro. Ora può suscitare persino qualche apprensione. C’è chi si sanifica le mani più volte nella giornata. È interessante perché le azioni della prossimità sono diventate ora gesti da guadagnare, mentre prima li vivevamo come azioni banali, consuete, non più capaci di esprimere un’intenzione profonda del cuore come può esserlo una carezza, un bacio, un abbraccio.
Chi insomma vive i gesti consueti, chi fa continuamente la spola tra l’intenzione del cuore e i gesti della vita, sa che i gesti che compie (nel lavoro, nella famiglia, nella vita sociale) entreranno nel compimento della vita, come in un passaggio, in un sonno, raffigurato dalla Dormizione di Maria. Potete vedere illustrato tutto ciò nell’icona della Vergine che si trova nella cripta e che, seppure è rappresentata nell’atto della dormizione, è ugualmente la Vergine Assunta. Anche di Lei si potrebbe dire che ha attraversato la morte come un passaggio: non come un finire nel nulla, ma come un transito verso l’eternità. La Bibbia parla di coloro che hanno avuto una lunga vita, ad esempio i personaggi dell’Antico Testamento, e dice che sono morti “sazi di giorni”, quasi a significare che ad un certo momento è inevitabile concludere il percorso terreno della vita.
Nel libro “La storia della morte in Occidente” il grande storico francese Philippe Ariès, ha ricostruito tutte le autocomprensioni della morte nelle varie epoche storiche. In questa prima icona l’Assunzione è compresa come un passaggio che non fa più paura. Gesù risorto ci salva infatti dalla paura di aver timore della morte; non tanto dalla paura di morire, perché la vita ha un inesorabile exitus biologico, ma dalla paura di morire intesa come un precipitare nel nulla, con il timore che tutto finisca. Questa è la vera paura della morte, una morte che non è salvifica, che non è vissuta come un passaggio. È la morte in Adamo.
Chissà quanti fra noi, anche tra coloro che sono qui presenti, realmente non hanno paura della morte, e credono effettivamente che sia un passaggio!?! Il tempo presente, in effetti, registra due grandi strategie di “cosmesi” (imbellettamento) della paura della morte: l’una riguarda la generazione più giovane ed è il consumismo, cioè la bramosia di possedere molte cose; l’altra tocca la generazione più avanti in età ed è l’iperattivismo, cioè l’ansia di dover fare molte cose. Cerchiamo di possedere tante cose, cerchiamo di fare tante cose, ma entrambe sono un modo per aggirare, per esorcizzare, per “abbellire” la paura della morte!
Vi invito a scendere nella cripta per vedere la Madonna dormiente! Circa due anni fa padre Giuliano, rettore emerito del Santuario, ha anche fatto restaurare con cura il manto che riveste il simulacro della Vergine Maria dal laboratorio specializzato delle monache di Isola san Giulio. Contemplando la serenità della morte della Vergine, possiamo intuire che non c’è veramente la morte, ma ci inquieta il nostro rapporto con la morte. Questo ha a che fare con il nostro modo di vivere e di rapportarci con la vita. Ogni giorno noi decidiamo se vogliamo superare la paura della morte, quando vogliamo essere più vita che morte per noi e per gli altri, per la famiglia e per la società.
Seconda icona: l’Assunzione in Cielo
L’altra icona del compimento della vita di Maria è rappresentata qui in Basilica, nella mirabile scena dell’Assunzione della Vergine, elevata sopra l’altare, con gli angeli a farle da corona nella gloria. Nella concezione urbanistica che ha guidato la costruzione del Sacro Monte, la Basilica non è dedicata alla Risurrezione del Signore, ma all’Assunzione di Maria. La cappella della Risurrezione (la n. 44) è in verità la fontana che sta sulla piazza antistante, dove i cinque beccucci da cui zampilla acqua fresca rappresentano la grazia che sgorga dalle piaghe di Cristo, come fiumi di acqua viva a cui possiamo abbeverarci. Il compimento però non è significato solo dalla risurrezione del Signore, ma anche dal fatto che la resurrezione di Gesù è capace di trascinare anche tutti noi nel suo mistero di novità di vita. Appartiene alla fede credere che almeno una di noi, Maria, è già stata per così dire “trascinata dentro”, è stata appunto “assunta” nella vita nuova della risurrezione. In Maria assunta in cielo, tutto il mondo è assunto nella gloria! Questo è il senso dell’espressione “in anima e corpo” che viene usata per l’Assunzione di Maria. Tutta la nostra vita è assunta nella sfera della vita divina.
Che cosa avete fatto in questa settimana? Avete fatto qualche visita medica? Avete visitato qualche persona malata? Avete passato qualche giorno di vacanza? Tutto questo verrà assunto: tutto ciò che è bello, amabile, buono, degno di lode, tutto ciò che di santo viene fatto nella vita di ogni uomo e donna, verrà portato in alto! Non verrà assunta solo la parte spirituale – il dogma dice “in anima e corpo” –, ma verrà innalzata accanto a Dio, nel posto più importante presso di Lui, tutta la vita umana, nella misura in cui è vissuta come e con Gesù. Questo per noi credenti non è un’idea, ma una realtà viva, è Maria. È la figura di una donna, anzi di questa donna, Maria di Nazareth!
Contempliamo, allora, tutta la teoria dei santi della cupola. Il suo stile barocco e la sua realizzazione formidabile sarebbero da spiegare: il periodo barocco, se è il più rigido dal punto di vista della dottrina e della morale, appena dopo il concilio di Trento – non dimentichiamo che dietro questi monti valsesiani premevano i protestanti –, nell’arte è uno dei periodi più floridi e manifesta una libertà inimmaginabile (nella musica, pittura, scultura, architettura), che qui è rappresentata con questo tripudio di figure (142 statue con più di 600 soggetti affrescati)!
In una bella orazione del Messale si prega:
Oggi … la nostra umanità è innalzata accanto a te,
e noi, membra del suo corpo,
viviamo nella speranza di raggiungere
Cristo, nostro capo, nella gloria.
(Colletta della Ascensione, messa del giorno)
Questa non è solo una notizia, ma è un’affermazione di valore, anzi il contenuto della nostra speranza! Tutto ciò che è umano, profondamente umano, autenticamente umano, è insediato accanto a Dio (“la nostra umanità è innalzata accanto a te nella gloria”).
Sarebbe bello fare un parallelo approfondito – ma non è possibile ora – con il santuario della Beata Vergine Maria dei Miracoli di Saronno, la cui cupola è precedente alla nostra e fu realizzata da Gaudenzio Ferrari, che è stato uno dei fondatori del Sacro Monte di Varallo. La volta della cupola del Santuario di Saronno è tra le ultime opere della sua vita e, a differenza della nostra cupola, dove la gran parte del tripudio degli angeli e dei santi è realizzato in terracotta ad aggetto, là a Saronno la volta è tutta affrescata. Sono rappresentati oltre cento angeli musicanti, con tantissimi strumenti di cui non si conosce l’origine: alcuni forse di fantasia, altri si crede che siano scomparsi, in ogni caso tutti dipinti ad affresco! Il confronto tra le due volte testimonia due sensibilità profondamente diverse nel rappresentare il mistero dell’Assunzione.
Una storia
Dopo le due icone, una storia. E qual è la storia? La storia ci è raccontata dal confronto tra la prima e la terza lettura. Nel libro dell’Apocalisse abbiamo sentito parlare di una donna che deve partorire e si presenta un drago che le vuole sottrarre il figlio. Nel momento in cui si dona la vita, il male “è accovacciato alla tua porta”, come si dice nel libro della Genesi (cfr. Gn 4,6-7). Tuttavia, mentre nella Genesi si parla di un serpente, qui nella scena dell’Apocalisse il male è diventato già un terribile drago.
Stiamo combattendo da due anni il dragone (della pandemia): pensavamo di essere forti e belli, ricchi della scienza che ci avrebbe permesso di conquistare il mondo. Al contrario, abbiamo provato che siamo vulnerabili, limitati, abbiamo sperimentato la paura, l’ansia, anche con coloro che ci erano vicini. E non solo la paura, ma anche il dolore e la sofferenza di chi ha perso qualche persona cara della propria famiglia. Eppure il bambino che deve nascere, la vita nuova donata non può essere sottratta, perché la vita nuova non può essere minacciata dal drago.
La vita nuova può essere sempre capace di generare altra vita, purché si collochi nella sfera della carità, come ci dice la pagina del Vangelo, che racconta la Visitazione di Maria ad Elisabetta. Anche in questo caso ci aiuta l’arte, con il bellissimo dipinto del Tanzio conservato a Vagna, sopra Domodossola, che rappresenta l’incontro di carità tra le cugine Maria ed Elisabetta. Quando la vita che sta nascendo incontra un’altra vita che è appena germinata nel grembo, le madri percepiscono che i due bambini cantano di gioia e si riconoscono vicendevolmente.
Ecco le parole di Elisabetta:
“A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”. (Lc 1,43-44)
La storia è il grande teatro dove si genera la vita, sempre minacciata dal dragone della morte. Siamo capaci di generare la vita nuova nei nostri figli così?! Siamo capaci di custodire e trasmettere la vita così?! Siamo pronti a farla crescere, a lasciare lo spazio per ereditarla e sostenerla?! Siamo pronti ad incoraggiarla?!
In questi anni abbiamo parlato molto della trasmissione dei valori, ma questi non vanno solo trasmessi, ma occorre lasciare anche lo spazio perché possono essere ereditati. La vera questione è se i valori possano essere ereditati da coloro ai quali intendiamo lasciarli. Ed ereditare è diventato difficile, perché è più facile ereditare le cose, molto meno prendere in carico le responsabilità con cui si possono portare avanti i valori e i patrimoni ricevuti. Infatti, talvolta gli enormi patrimoni accumulati, senza che si sia trasmessa anche la capacità di rispondere di queste cose, si disperdono, già nel passaggio di testimone dai padri ai figli.
Ciò che abbiamo trasmesso, deve lasciare lo spazio e il tempo perché possa essere ereditato e assimilato. Oggi qui non sono presenti molti giovani, ma gli adulti ripetano ai giovani questa frase che proviene da Wolfgang Goethe nel Faust e che in passato ho citato molte volte negli incontri dei giovani: “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero”. (W. Goethe. Faust, I parte, Notte. Stanza gotica a volta alta ed angusta). Abbiamo forse regalato troppe cose ai nostri figli, ma non li abbiamo aiutati a riconquistarle. Perché solo così la vita trasmessa diventa la vita ricevuta!
+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara