Il pianto, la ricerca e la voce. Omelia per la consacrazione nell’Ordo Virginum di Micaela Liggeri

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Sabato scorso, 15 maggio, nella chiesa parrocchiale di Galliate il vescovo Franco Giulio Brambilla ha presieduto la celebrazione di consacrazione nell’Ordo Virginum di Micaela Liggeri.

Di seguito pubblichiamo il testo integrale della sua omelia.


Il pianto, la ricerca e la voce
Consacrazione nell’Ordo Virginum di Micaela Liggeri
15-05-2021
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Il pianto, la ricerca e la voce

Consacrazione nell’Ordo Virginum di Micaela Liggeri

 

L’Ordo Virginum

Dopo il tempo eroico dei martiri, che sostanzialmente terminò nel 303 d.C., la storia dell’Impero Romano ci narra che Costantino tornando da Roma, dopo aver vinto a Ponte Milvio, nel famoso episodio nel quale gli apparve in sogno la croce con il monogramma di Cristo, fece un accordo con l’imperatore d’Oriente, Licinio, conosciuto come l’Editto di Milano, secondo il quale il cristianesimo diventava un culto ammesso e tollerato insieme ad altri. Diventò poi religione di stato, solo nel 380 con l’imperatore Teodosio.

L’editto di Milano (313) – in realtà era un accordo orale come si è detto – verrà trascritto da Licinio (e lo scrittore Lattanzio lo riporta del De mortibus persecutorum) per motivi politici, poiché in Oriente era ancora attiva una legislazione anticristiana e pertanto dovevano essere abrogate le leggi ostili alla nuova religione; in Occidente al contrario già Costanzo Cloro, padre di Costantino, aveva promosso una politica di tolleranza e pertanto non si dovette abrogare il corpo legislativo intollerante verso i nuovi culti.

Nel 325 si celebrò il Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino in persona. Verso la seconda metà del secolo, il cristianesimo lentamente andò innervandosi nella società, diventando un fatto sociale e la maggioranza della popolazione vi aderì. Accadde così che verso la fine del secolo si sentì l’esigenza di una vita cristiana più forte, intensa, rigorosa, radicale, e questo era avvertito sia dagli uomini che dalle donne del tempo, così che al periodo del martirio rosso – come si usa chiamarlo – seguì un periodo chiamato di martirio bianco, caratterizzato dalle forme di vita monastica. In questa graduale trasformazione intanto diversi uomini e donne andavano cer­cando forme radicali di vita cristiana (vedi sant’Agostino).

Sant’Ambrogio visse da vicino questa situazione poiché la sorella, che stava presso di lui, volle vivere questa forma di consacrazione più radicale ed è in questo contesto che trovò origine la forma di vita dell’Ordo virginum. Il nome stesso ne delinea le peculiarità: il plurale – virginum – indica che ciascuna personalmente si consacra con un voto al Signore; ma il singolare Ordo dice che queste donne sono costituite in gruppo, si conoscono reciprocamente e sono riconosciute dalla Chiesa.

All’inizio l’orizzonte di consacrazione fu prevalentemente la Chiesa locale (Diocesi), tant’è vero che Sant’Ambrogio ospitava nella sua casa un gruppo di consacrate. Tale realtà aveva anche la doppia funzione di protezione e ugualmente di promozione della donna. Di solito le donne erano destinate a matrimoni combinati, così come si ricordano le monacazioni forzate – una fra tutte, quella famosissima della monaca di Monza, ma siamo già in epoca recente, nel 1600 – mentre fino al 1200 e oltre, vi erano in maggioranza matrimoni combinati per interessi di natura familiare, economica e politica, come accadeva dovunque anche nelle campagne e nelle città. Ecco allora che la donna visse la realtà della consacrazione anche come riscatto personale e sociale.

Ho voluto fare questo veloce excursus storico del primo millennio – e non sono pochi mille anni! – nel quale comparvero poi i grandi ordini monastici e in particolare quello fondato da san Benedetto, che con santa Scolastica, sorella di san Benedetto, vide nascere la stessa forma, parallela ma al femminile, di una vita consacrata, autonoma e riconosciuta in un ordine ben strutturato.

Nel secondo millennio invece, le forme della vita religiosa diventarono più itineranti, si pensi ai francescani e ai domenicani, anche se nella versione femminile (ad es. le Clarisse), per ragioni che è facile intuire, le donne vivevano in conventi, dipendenti e abbastanza sotto controllo. Ciò però lasciava loro la libertà di condurre con dignità la vita cristiana. Nel dodicesimo e tredicesimo secolo, come ho potuto leggere ultimamente anche in un saggio sul Medioevo, fu tutto un pullulare di figure femminili con nomi importanti e ricordiamo tutti in particolare la figura di santa Caterina da Siena, domenicana che nel quattordicesimo secolo da donna riuscì, più di ogni altro uomo, vescovo o cardinale, a far tornare il papa a Roma dalla cattività avignonese.

Oggi, nei nostri tempi, per esempio a Milano, diocesi dalla quale provengo, si contano una sessantina di vergini consacrate e proporzionatamente a Novara oggi ne abbiamo nove. Così queste forme che stanno rinascendo, come l’Ordo Virginum, ci ricordano che c’è una forma di vita consa­crata che mantiene ancora la dimensione della chiesa locale, nasce nel contesto della vita di una parrocchia e addirittura vive del proprio lavoro quotidiano, nel mondo. Nel cammino di preparazione viene chiarito che la consacrazione è fatta al Signore, è vissuta nella Chiesa, e si esprime nella propria professione.

La celebrazione di oggi dà a noi l’occasione di renderlo noto a questa comunità, ma anche a tutte le altre comunità della diocesi. Sarebbe auspicabile che molte altre persone che sentono questa vocazione del Signore, possano coltivarla dentro di sé. Infatti, possiamo coltivare una vocazione nella misura in cui la vediamo come una forma di vita persuasiva, cioè, per dirla con un linguaggio immediato, che rende felici le persone. È importante mettere in risalto questo aspetto.

Cara Micaela lascio a te, ma anche ai tuoi genitori e così pure a tutti voi della bella comunità di Galliate questo messaggio.

 

Una testimonianza di oggi

Mentre siamo qui questa sera e viviamo questo momento bello per una donna, vi faccio una piccola confessione dicendovi che la mia vita è cambiata venticinque anni fa – anzi forse già dieci anni prima – comunque in modo significativo nel 1995, quando ho conosciuto l’istituto secolare, che non ha un abito religioso specifico, delle Piccole Apostole della Carità, fondato da un parroco, don Luigi Monza, un istituto che si prende cura dei bambini disabili.

Accadeva nel 1946, nel dopoguerra, mentre l’Italia in macerie intraprendeva la ricostruzione, che il primario dell’Istituto Besta di Milano, assolutamente laico, probabilmente non credente, mentre si prendeva cura di quei bambini, si pose il problema anche della loro educazione. Poiché le cose grandi non sono mai in concorrenza l’una con l’altra, mentre si ricostruiva materialmente il paese, si poteva pensare anche che i disabili potessero avere delle cure e persino un’educazione. Gran parte di tutte coloro che iniziarono quest’opera erano pedagogiste, poi vennero le donne medico, infermiere e neuropsichiatre infantili, e per questo nacque, in seno all’istituto secolare, l’associazione “La Nostra Famiglia” che è il campo in cui si è radicato il seme di don Luigi, caduto per terra e morto subitamente, nel 1954.

Oggi sono quasi trecento nel mondo, circa duecento fanno vita comune, prevalentemente per farsi carico di bambini e ragazzi diversamente abili, per cui è necessario assicurare una continuativa presenza, in clima di famiglia; quasi cento abitano nelle loro case, sono dette sorelle di vita individuale, ma appartengono a tutti gli effetti all’Istituto, vivendone il carisma in questa forma, esercitando il loro diritto di voto ed esprimendo le loro scelte nella vita dell’istituzione. Sono ancora attive dodici case in Lombardia, dieci nel Triveneto, tre in Puglia e una in Campania. A Bosisio Parini è stato costruito negli anni duemila il settimo padiglione di un ospedale per bambini (costato oltre cento miliardi delle vecchie lire) e questo dice la potenza di fuoco di quest’opera. È raro di poter raccontare la bellezza della vita consacrata, ma è altrettanto giusto farlo.

È significativo che attraverso le varie forme di vita consacrata, si sia anticipata la forma moderna di democrazia e di società di liberi e uguali nel lavoro. Ciò era ben presente nel monachesimo antico, come è raccontato anche negli studi recenti della vita religiosa nel Medioevo: chi entrava in un monastero o in una comunità viveva la dimensione della fraternità; può essere che per la propria estrazione sociale non tutti facessero le stesse cose, a partire da quelle più umili, ma tutti contavano uno.

Ho voluto fare questa lunga presentazione storica anche per la presenza significativa alla celebrazione della comunità di Galliate che già in passato si è segnalata come terra fertile e feconda di vocazioni sia alla vita sacerdotale che a quelle di speciale consacrazione.

 

La Parola di Dio

Ora dedico a te, cara Micaela, una parola particolare. Nei testi della Parola di Dio, che tu hai scelto, ci sono tre termini che mi hanno colpito: la prima è il pianto; la seconda è la ricerca; la terza è la voce.

 

Il pianto

L’episodio nel quale la Maddalena riconosce il Risorto (Gv 20, 11-18) avviene in un giardino. Nel Vangelo di Giovanni tutta la passione avviene in un giardino, citato all’inizio nel momento in cui vanno ad arrestare Gesù (Gv 18,1), quando viene sepolto (Gv 19,41), e, infine è evocato, all’inizio del capitolo 20, quando si susseguono gli episodi del riconoscimento di Gesù risorto.

Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?” (Gv 20,11-13)

In questo passo la donna è una sola, mentre nei Vangeli sinottici le donne che vanno al sepolcro sono più numerose. Tuttavia nel testo di Giovanni è rimasto un antico ricordo che le donne erano di più. Infatti troviamo un indizio nel verbo al plurale: quando all’inizio la Maddalena va di corsa da Pietro e Giovanni dice: «non sappiamo dove l’hanno posto» (cfr Gv 20,2b), mentre poi nel brano che abbiamo ascoltato usa il singolare: «non so dove l’hanno posto» (cfr Gv 20, 13b). Probabilmente questo è il segno proveniente dalla tradizione evangelica che le donne al sepolcro erano di più. Questo ci interroga sul fatto che ormai siano rimasti solo Gesù e la donna con gli angeli… nel giardino! È facile riconoscere l’evocazione del giardino del Paradiso terrestre e del giardino del Cantico dei Cantici, che Micaela ha scelto come prima lettura (Ct 3,1-5). In quel caso avviene l’incontro dell’Amato con la donna che va alla ricerca per trovarlo. Prima però è angosciata, piange mentre lo cerca.

Il pianto indica una mancanza, un desiderio che non è ancora colmato. Così nasce la vocazione: non tanto perché riempie i nostri bisogni, ma perché coltiva i nostri desideri. Il grande rischio per noi oggi, soprattutto per le nuove generazioni, è di avere una vita piena di così tante possibilità che un giovane o una giovane è stordito nel dovere scegliere. Sessanta, settant’anni fa non avevamo molte possibilità, oggi si pensa di fare una cosa stasera – per esempio andare a Londra! – e domani mattina si parte subito. C’è in questo un vantaggio, perché le possibilità sono diventate tante, tendenzialmente infinite, ma ciò è accompagnato da un forte limite che disorienta il desiderio, il quale talvolta si paralizza o si spegne. Il desiderio pian piano si spegne, quando è trattato come un bisogno da riempire e, invece, si accende quando è trattato come una mancanza consapevole che tutto quello che gli sta davanti può dargli sì un po’ di nutrimento, di alimento e di sostegno, ma non può esaudire la profondità del desiderio.

Dobbiamo accompagnare la vocazione in questo modo, suggerendo che la profondità del nostro desiderio non può riempirsi di cose, perché  non può esaurirsi e realizzarsi nelle cose. Ecco perché l’angelo chiede: “Donna perché piangi?” – “Perché ti manca qualcosa?”

Infatti:

Rispose loro: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto” (Gv 20,13b) 

La Maddalena piange una mancanza, un’assenza. La testimonianza che Micaela quest’oggi ci offre è questa: per vivere da giovani che coltivano un sogno, occorre nutrire continuamente il desiderio che colma la nostra mancanza.

 

La ricerca

Continua il racconto:

Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. (Gv 20,14)

Maddalena si rigira, ritorna su se stessa. Il verbo è quello della conversione. In un primo momento si può vedere Gesù tale e quale – e in effetti lei lo aveva seguito per i tre anni del suo ministero – anche se in quel momento non si è capaci di riconoscerlo!

Le disse Gesù: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,15)

Gesù conferma la prima domanda – perché piangi? –  e apre alla seconda – Chi cerchi? . Il pianto fa muovere la ricerca, e questo ci riporta alla bellezza della prima lettura, che è proprio incentrata sulla ricerca dell’Amato da parte dell’amata. Ciò che ci mette in ricerca è solo la passione, è solo l’amore. Nessuno cerca una cosa se non ha passione, perché nessuno non può fare nulla senza passione. La ricerca indica una passione, indica non solo che mi manca qualcosa, ma soprattutto fa in modo che, mancandomi qualcosa, non sono contento di ciò che sembra riempirmi oggi e forse domani, ma mi spinge ad attendere e ad aspettarmi qualcosa anche per dopodomani. Ciò vale anche per chi è sposato. Se il marito e la moglie pensano di godere tutto e subito e non si lasciano qualcosa da vivere ancora per il giorno dopo, e poi il giorno dopo ancora, il matrimonio è già sulla strada che lo porta alla morte. Anche per te Micaela questa ricerca è durata qualche anno. Abbiamo rispettato il tuo cammino, perché potesse maturare dentro di te, abbiamo atteso che ci fosse un lavoro stabile, una prospettiva certa. Non si deve avere fretta nella vita, c’è tutto il tempo per essere vissuta.

 

La voce

Il terzo e ultimo passo – bellissimo – contiene un aspetto che difficilmente i predicatori fanno notare.

Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo” (Gv 20, 15b) 

La Maddalena non lo aveva ancora riconosciuto e, notate l’effetto ironico di questa frase, davanti a Gesù, chiede di rassicurarla su chi ha portato via il corpo del Maestro.

Gesù le disse: “Maria!”. (Gv 20, 16a)

In italiano è tradotto “Maria” ma nel testo originale è scritto “Myriàm!”. Gesù la chiama con il suo nome originale. Ciò che gli occhi non riescono a vedere, l’orecchio riesce a riconoscere. Maria di Magdala riconosce il Risorto non perché lo vede, ma perché lo ascolta! Si riconosce il Signore dall’ascolto e non dalla vista!!!

Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!” – che significa: “Maestro!” (Gv 20,16b) 

Per la seconda volta la Maddalena si gira, un gesto indicato con lo stesso verbo di prima. Il dialogo che avviene nel primo incontro è anche quello che porta a compimento l’incontro decisivo. Questa è la scena del “Noli me tangere!” (non mi toccare). Ma la traduzione più corretta è “non mi trattenere”. Maria in certo modo abbraccia i piedi di Gesù (nell’atto della proskynesis), ma egli non può essere trattenuto: Gesù sale verso al Padre e Lei è inviata verso i fratelli. Ascoltiamo la bellezza di questa frase:

Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: ‘Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’ ” (Gv 20, 17) 

Gesù si sottrae sempre quando cerchiamo di trattenerlo, ritornando verso il Padre, da cui era venuto, e indicandoci la strada che va verso il Padre; e noi siamo mandati ai fratelli, cioè inviati per essere testimoni davanti a loro di questo doppio movimento: Lui che sale al Padre, noi che siamo mandati ai fratelli. Il testo è di una precisione, di una bellezza incantevole.

 

Augurio finale

Infine voglio regalare come augurio a te, Micaela, ai tuoi genitori, a tutti gli amici che sono qui a fare festa, questo racconto pasquale che ci ha detto che, siccome l’incontro con Gesù avviene attraverso l’ascolto della voce, che chiama per nome – si chiama vocazione perché dà un nome nuovo –, va ascoltata anche come una voce che ci porta verso i fratelli, a parlare e ad agire verso i fratelli. Ti auguro di essere oggi e domani, sempre, la bella testimonianza di chi ha conosciuto e ha riconosciuto il Signore Gesù, perché lo ha ascoltato, continua ad ascoltarlo e lo ascolterà!

 

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara