Stare di fronte, mettere Dio al primo posto e amare teneramente. Sono i tre spunti che il vescovo Franco Giulio Brambilla ha offerto per la riflessione su “Gesù Eucaristia” e sull’Adorazione eucaristica, durante l’omelia della celebrazione del Corpus Domini per le parrocchie e Unità pastorali missionarie della città di Novara, che si è tenuta lo scorso giovedì 20 giugno: aperta dalla messa in cattedrale, è poi proseguita con una processione per le strade del centro storico sino in Basilica di San Gaudenzio, dove si è tenuta l’adorazione caratterizzata dalla tradizionale “infiorata” (qui una Fotogallery della celebrazione)
Adorare
Omelia per la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
20-06-2019
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«Il primo significato del verbo adorare è proprio stare di fronte, portare ogni domenica dinanzi al Signore la nostra settimana, raccoglierla in un gesto simbolico, sintetico, mettere tutta la nostra vita lì davanti a Lui», ha detto il vescovo affrontando il primo punto, che apre al secondo: «Stare in adorazione davanti all’Eucaristia significa vivere la pratica del primo comandamento, mettere al centro il primato di Dio, mettere in ordine di priorità le realtà della nostra vita».
Ed infine, il terzo punto. « È questa la presenza che dobbiamo amare teneramente», il « Cristo che offre la sua vita per noi, il Cristo sofferente, il Cristo umiliato, il Cristo abbassato, il Cristo crocifisso, il Cristo che ci viene incontro», ha detto il vescovo. «Questa è la presenza che ci trasforma in persone capaci di perdono, di misericordia, di attenzione, di finezza, di vicinanza, di prossimità!».
Di seguito il testo integrale con le parole del vescovo.
Adorare
Omelia per la Solennità del Corpo e del Sangue del Signore
Benché una volta all’anno sia celebrata la grande festa della Pasqua e ogni domenica si celebri la Pasqua settimanale, la sapienza della Chiesa ha voluto nel tredicesimo secolo – ne abbiamo parlato negli anni passati – istituire la festa del Corpus Domini, una festa in cui il nostro sguardo e il nostro cuore fossero concentrati sull’adorazione del Signore Gesù, presente nell’Eucaristia e di conseguenza presente in mezzo a noi.
Negli anni passati ho già spiegato e commentato il testo, che abbiamo la fortuna di avere nell’originale, della Bolla Transiturus di Papa Urbano IV del 1264 che istituiva la festa del Corpus Domini, oggi custodita nel nostro Archivio Diocesano e ritrovata nella casa parrocchiale di Bognanco.
Quest’anno suggerisco solo tre brevi spunti sul significato del verbo adorare. Verbo che deriva dal latino, e che tradotto corrisponde all’italiano, ed è composto da due parole: la preposizione “ad” e il verbo “orare” – pregare, rivolgersi a qualcuno con la preghiera. A sua volta lo stesso verbo orare deriva dalla parola latina os-oris che significa bocca, e secondo il Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Francesco Bonomi, indica «l’atto di riverenza con cui un viandante si accostava ad una persona, degna di rispetto, passava dinanzi ad essa, inchinandosi leggermente e toccando colla destra l’oggetto della propria riverenza, mentre con la sinistra si portava alla bocca baciandola e quindi agitandola verso l’oggetto che s’ intendeva onorare».
1. Stare di fronte. Adorare significa, dunque, stare davanti al Signore, ascoltare dalla sua bocca e rispondergli con la nostra voce. Ad-orare, significa pregare rivolto verso qualcuno. Questo è il primo significato del verbo. Tutte le nostre mamme, le nostre nonne ci hanno insegnato un tempo a stare davanti all’Eucaristia, e vi stavano con il loro carico di umanità, talvolta stanche del loro lavoro, talvolta con le loro pene e le loro sofferenze, talvolta per ringraziare delle loro gioie.
È un po’ come si racconta in modo quasi leggendario nella vita del Santo Curato d’Ars di un contadino che, ogni giorno e alla stessa ora, entrava nella chiesa parrocchiale, e si sedeva nell’ultimo banco. Non aveva libri di preghiere con sé perché non sapeva leggere; non aveva tra le mani nemmeno la corona del rosario. Ma ogni giorno, alla stessa ora, arrivava in chiesa e si sedeva nell’ultimo banco… e guardava fisso il Tabernacolo. San Giovanni Maria Vianney, incuriosito da quel modo strano di fare, dopo aver osservato quel suo parrocchiano per qualche giorno, gli si avvicinò e gli chiese: “Buon uomo… ho osservato che ogni giorno venite qui, alla stessa ora e nello stesso posto. Vi sedete e state lì. Ditemi: cosa fate?”. Il contadino, scostando per un istante lo sguardo dal Tabernacolo, rispose al parroco: “Nulla, signor parroco… io guardo Lui e Lui guarda me”. E subito, riprese a fissare il Tabernacolo. Il santo Curato d’Ars ricordava quello come uno tra i più alti segni di fede e di preghiera.
Allo stesso modo noi potremmo dire: “io gli parlo e Lui mi parla!”. E allora il primo significato del verbo adorare è proprio stare di fronte, portare ogni domenica dinanzi al Signore la nostra settimana, raccoglierla in un gesto simbolico, sintetico, mettere tutta la nostra vita lì davanti a Lui. A mia volta ho già citato anche l’aneddoto di quella signora, che si confessava da me e diceva di avere tre figli maschi, con un quarto che era il marito! Diceva: “Don Franco io non posso venire a messa la domenica, perché quando sono lì, spesso mi distraggo e mi viene in mente che non ho acceso la lavatrice e le altre cose, che deve fare ogni donna di casa. L’ho persino confessato anche al mio parroco e mi ha sgridato perché mi distraggo in chiesa. Le risposi: “vede: la sua vita è come un acquario… davanti al Signore”. Ogni persona, e soprattutto ogni donna – aggiungevo –, durante la messa è come un acquario, che deve lasciar depositare tutto il pulviscolo della settimana, tutte le cose che danno fastidio nella vita, fin quando l’acqua diventa trasparente. Così, a un certo punto, potrà dire di non essere solo una moglie, solo una mamma, solo una lavatrice, ma semplicemente una donna davanti al Signore! Stare davanti al Signore ci fa ritrovare noi stessi, adorare il Signore ci fa decantare tutto il pulviscolo e le impurità della nostra esistenza.
2. Mettere Dio al primo posto. In secondo luogo, dobbiamo dire che adorare corrisponde al primo comandamento che intima di mettere al centro Dio.
Io sono il Signore tuo Dio, l’unico: adorerai soltanto me (cfr. Es 20,2-4; Dt 5,6-8)
La prima tentazione (Mt 4,3-4; Lc 4,3-4) che è anche l’unica, poiché le altre non sono nient’altro che riflessi di questa prima tentazione, è mettere al posto di Dio, qualcos’altro che non è Dio, ma viene innalzato ad essere come Dio. Questa è l’idolatria. Forse la gente che è in piazza a Novara ci riderebbe in faccia, se dicessimo che molti di loro adorano idoli, ma la nostra società, che non ha più Dio, è piena di idoli. Gli idoli sono realtà davanti alle quali noi ci inginocchiamo, non però diventando liberi, bensì schiavi di questi… Ognuno ha un angolo della vita con un proprio idolo.
Il contrario della fede non è l’incredulità, ma è l’idolatria. Non esistono credenti e non-credenti, perché tutti in qualche modo credono, tutti non possono non credere! Ma dipende da che cosa si crede. Se credi a una cosa che non è Dio e la adori come dio, è chiaro che si capovolge l’ordine delle cose. Se dovessimo esaminare la nostra vita e ammettere in quale ordine stanno le cose, vedremmo che qualche idoletto spunterebbe fuori.
Per questo stare in adorazione davanti all’Eucaristia significa vivere la pratica del primo comandamento, mettere al centro il primato di Dio, mettere in ordine di priorità le realtà della nostra vita.
3. Amare teneramente. Infine, adorare significa anche amare teneramente e con grande trasporto; aver grande passione per qualcosa, profonda ammirazione per qualcuno, apprezzare enormemente (cfr. Enciclopedia Treccani). Come ad esempio si dice che il marito adora la moglie; oppure si adora l’arte, la poesia, la musica! Il terzo significato di adorare è amare con tenerezza, con grande trasporto!
Questo è il frutto spirituale dell’adorazione. Avvertiamo realmente che il Signore Gesù è presente in mezzo a noi? Se dovessimo chiedere a qualcuno quale tipo di presenza ha il Signore Gesù in mezzo a noi, come percepiamo la sua presenza nella nostra vita, quale risposta ne verrebbe? È una vaga presenza o una presenza con un volto preciso!?
San Tommaso d’Aquino, il grande teologo, risponderebbe che è presente il Christus passus, il Cristo che offre la sua vita per noi, il Cristo sofferente, il Cristo umiliato, il Cristo abbassato, il Cristo crocifisso, il Cristo che ci viene incontro, il Cristo che si fa prossimo.
È questa, allora, la presenza che dobbiamo amare teneramente, amare con passione, questa è la presenza che ci trasforma in persone capaci di perdono, di misericordia, di attenzione, di finezza, di vicinanza, di prossimità!
Quando sarà esposto il Santissimo Sacramento domandiamoci questa sera, mettendoci in un momento prolungato di silenzio, se amiamo teneramente il Signore Gesù che si offre per noi proprio con questo amore sconfinato. Non basta una vita intera per esaurirlo, ma egli si offre a noi come l’acqua fresca di sorgente che ci disseta l’anima.
Ecco come ce ne trasmette l’esperienza viva Elisabetta della Trinità:
«L’adorazione! Ah, è una parola di cielo; mi sembra che possa definirsi: l’estasi dell’amore. È l’amore annientato dalla bellezza, dalla forza, dall’immensa grandezza dell’oggetto amato; l’amore che cade in una specie di deliquio, in un silenzio pieno, profondo, quel silenzio di cui parlava David quando esclamava: “Il silenzio è la tua lode” (Sal 65 [64], 2)».
(Scritti spirituali. Lettere ritiri e inediti, Morcelliana, Brescia 19612, 192)
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara