Una donna concreta, capace di uno sguardo innamorato sulle persone che incontrava e di immergersi completamente nella realtà che viveva, ed insieme capace «come il lievito e il sale nella pasta di quel mondo». Così il vescovo Franco Giulio disegna la figura di madre Maria Patrizia Mereu Superiora Generale emerita della congregazione delle suore Missionarie di Gesù Eterno sacerdote, mancata improvvisamente lo scorso 3 gennaio nelle Filippine dove si trovava come missionaria.
Come la donna di Betania
Omelia nella Messa esequiale di Suor Maria Patrizia Mereu Superiora Generale emerita MGES
18-01-2020
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Il vescovo ha presieduto il suo funerale lo scorso sabato 18 gennaio, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Varallo, gremita di fedeli che l’hanno conosciuta, consorelle e numerosi sacerdoti diocesani.
Di seguito il testo integrale della sua omelia.
COME LA DONNA DI BETANIA
Omelia nella Messa esequiale di Suor Maria Patrizia Mereu Superiora Generale emerita MGES
Il 29 giugno 2002, madre Patrizia Mereu veniva eletta Superiora Generale della congregazione delle Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote. Nel 1958, nello stesso giorno – per misteriosa coincidenza – aveva fatto il suo ingresso nella congregazione. Fino al 2001 la Madre era stata nelle Filippine ed era poi tornata a Roma per il capitolo generale, nel quale venne eletta Superiora Generale. Dopo la sua elezione, una manciata di mesi dopo, tornò di nuovo nelle Filippine, e di là scrisse un testo che, per certi versi, corrisponde abbastanza bene alla prima lettura che abbiamo ascoltato.
Primo quadro
Sulla rivista della congregazione “Nuovi” (n.2/2003), Madre Patrizia descriveva la sua visita nella casa e nel paese dove era stata per dodici anni, usando un tono affettuoso, profondo, creando un intenso scambio di situazioni, per cui lei, che era in missione, si sentiva accolta laggiù, come se invece “ritornasse a casa”. Scriveva, infatti:
Questo saluto vi giunge dalle Filippine dove mi trovo in visita alle nostre Sorelle. È sempre un’esperienza di gioia tornare in una terra dove si è condivisa la vita della gente per lunghi anni, e sentir dire da loro “Bentornata a casa!”. È un saluto che fa tremare il cuore di commozione ed anche di gratitudine verso il Signore perché si capisce che la condivisione ha raggiunto il cuore delle persone e che, accolte con il messaggio che portiamo con noi come missionarie, restiamo per sempre nella loro vita.
Credo sia anche questo “il frutto” di cui parla Gesù quando dice che Egli chiama a seguirLo, e ci manda perché portiamo frutto ed il nostro frutto “rimanga”.
Le Filippine vivono da vari anni una situazione di tensione, una tensione che è collegata in vari modi alla situazione mondiale di paura, di attentati terroristici, di conflitto fra gruppi diversi per motivi di cultura, di condizione sociale e di religione.
Si può cogliere chiaramente nel comportamento delle persone, nel rapporto sociale un’atmosfera di circospezione, di incertezza per il futuro e di paura. Coloro che hanno parenti all’estero, o possibilità, cercano di lasciare il paese, altri specie nelle isole di Leyte e Mindanao, si spostano dalla campagna ai centri abitati, perdendo anche quel poco che i campi possono offrire. La povertà aumenta perché migliaia di lavoratori sono stati rimpatriati dai Paesi Arabi, dalle zone di conflitto. In questi giorni poi le indicazioni date sia dall’Episcopato e sia dal Ministero della Sanità circa le precauzioni da adottare per difendersi dalla polmonite atipica, dalla SARS, frenando la spontaneità dei rapporti e negando la possibilità di atti caratteristici della cultura locale, come il “blessing”[1], tolgono il tono di festa e di gioiosa spontaneità ai fanciulli, rendendo gli adulti melanconici, con l’atteggiamento di difesa che involontariamente devono assumere.
Essere qui è percorrere con loro e con le Sorelle un tratto del cammino, vivere insieme questi giorni difficili, pregando perché il Signore, il Buon Samaritano della nostra umanità, con la Sua Presenza di Pace si manifesti, apra i cuori alla riconciliazione, alla solidarietà e salvi le sue creature dal Maligno.
Questa è la prima immagine della Madre! Ed è un’immagine molto concreta poiché, da una parte, ella si sente missionaria nel luogo di cui descrive la realtà politica e sociale in modo acuto e innamorato e, dall’altra, percepisce che proprio diventando missionaria ed immergendosi come il lievito e il sale nella pasta di quel mondo, quella realtà diventa la sua casa, poiché ella la fa diventare una casa abitabile! Per questo la Madre sa leggere la vita, le preoccupazioni, le situazioni di quelle popolazioni, con uno sguardo reale e concreto sulle Filippine di vent’anni fa.
È così che ho conosciuto anch’io madre Patrizia Mereu. Una donna tenera nel tratto, una donna forte nel cuore – come emerge anche dalla sua origine sarda – e poi una donna con uno stile “da signora”. Tale stile trapela persino dall’ultimo biglietto di augurio natalizio che ci ha inviato e che, con le sorelle, conserviamo nella casa episcopale.
La vogliamo ricordare oggi così, con tanto affetto! È lo stesso amore che san Paolo esprime nella Lettera ai Filippesi, rivolgendosi a una delle due comunità con cui aveva stretto un rapporto molto affettuoso – l’altra è la comunità dei Tessalonicesi – e che emerge da questo testo che abbiamo ascoltato come prima lettura (Fil 1,3-11.21). Credo che le Filippine, come tutte le altre comunità nelle quali sono presenti le suore Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, in India e in America Latina, debbano molto a queste donne che sono andate in missione, superando anche alcuni nostri stereotipi, per cui nel nostro immaginario chi va in missione sono solo uomini.
Secondo quadro
Il secondo quadro è legato al Vangelo proclamato. Ho individuato altri due scritti nei quali Madre Patrizia, leggendo le tre virtù di fede, speranza e carità in riferimento alla madre fondatrice, Margherita Maria Guaini, cerca di farle risplendere nel suo sguardo e risuonare nel suo cuore. In questi testi Madre Patrizia coglie con assoluta precisione il fuoco, il “roveto ardente”, il carisma, delle Missionarie di Gesù Eterno sacerdote.
Nel primo testo la Madre si sofferma a descrivere alcuni tratti della vita di madre Guaini e si riferisce alla sua fede. È la stessa fede della donna di Betania. Nel vangelo di Marco (14,1-9) che abbiamo ascoltato si tratta semplicemente di una donna senza una precisa identità. Il brano evangelico si colloca all’inizio del racconto della passione e rappresenta in modo prefigurato quello che avverrà in seguito. Alla fine del vangelo di Marco, e in particolare nel racconto della risurrezione (Mc 16, 1-8), Gesù parla alle donne e dice loro li precederà in Galilea. Poi conclude con un’osservazione sorprendente, perché dice che la reazione delle donne fu di volontario silenzio: “Le donne non dissero nulla a nessuno!” – “καὶ οὐδενὶ οὐδὲν εἶπαν” (Mc 16,8). Ciò che le donne tacciono alla fine, e riguarda nientemeno che l’annuncio della risurrezione e l’inizio della missione in Galilea, al contrario, è trasmesso dalla donna di Betania, descritta nel Vangelo, della quale si dice che la sua memoria si propaga in tutto il mondo!
Ed ecco cosa dice suor Maria Patrizia commentando la spiritualità della fondatrice, ripresa fin dalla prima esperienza fatta al monastero della Visitazione:
Nel Monastero della Visitazione di Santa Maria, luogo di nascondimento e di totale oblatività, il suo cammino di fede continua con sofferenza ma sempre pronta a seguire la voce del Signore capisce che Dio non si ferma, che la Visitazione non è il luogo definitivo dell’incontro. La richiesta di Dio, nel silenzio della Visitazione, diventa sempre più chiara ed esigente.
Dio le chiedeva, nell’infuriare della seconda guerra mondiale, di lasciare quel luogo di pace e di sicurezza per iniziare una nuova Famiglia religiosa!
Per lei, povera di mezzi e amicizie importanti, guardata con una certa precauzione perché chiedeva di uscire dal Monastero, dove con tanto sacrificio e permesso straordinario era riuscita ad entrare, la richiesta del Signore significava trovarsi sulla strada, patire la fame, trovare un mezzo per vivere e nello stesso tempo lavorare a realizzare la Volontà di Dio.
Aggiunge poi:
“Granitica nell’Amore di Dio”, come vorrà poi che siano le sue figlie, la Madre intraprese quel cammino di totale fiducia in Dio, non sapendo bene dove andare, come fare, e tra prove, umiliazioni, sofferenze e tentativi vari, con la materna intercessione della Madonna, da lei sempre invocata, come Madre di grazia e di misericordia, collaborò al realizzarsi del progetto di Dio su di lei: la fondazione di una nuova Famiglia Religiosa, le Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, e con il passare degli anni, il Signore le ispirò e fece dono anche dei Missionari di Gesù Eterno Sacerdote e del movimento laicale MAN.
Il “granitico” amore di Dio, che si manifestò nella Fondatrice, ben percepibile da chi l’ha conosciuta, si ritrova anche oggi, nelle suore Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, come una sorta di imprinting, come qualcosa che le contraddistingue nel loro modo di essere, anche agli occhi del Vescovo, che è attento osservatore dei doni di ciascuno!
Il tratto forte della fede nell’amore di Dio della Madre fondatrice, che suor Patrizia sente ancora come il motore propulsivo della spiritualità, è molto importante, perché ella l’ha saputo veramente trasmettere agli altri, alle suore e ai fratelli. Una congregazione religiosa cresce, ma soprattutto prende figura, assume una propria fisionomia, se è capace di mantenere sempre il riferimento diretto alla sorgente da cui proviene.
Terzo quadro
L’ultimo tratto ci ricorda il testo più bello, che mi ha molto colpito, perché contiene il cuore della spiritualità di madre Guaini e delle suore che l’hanno seguita. Inoltre, v’è un aspetto ulteriore che, in verità, non mi aspettavo e che ci aiuta a leggere anche il modo piuttosto drammatico con cui Madre Patrizia ha terminato la sua vita:
La Madre nutriva una sconfinata speranza e fiducia nella Misericordia di Dio e nei Meriti di Gesù. La sua invocazione preferita era: “Ti ringrazio Gesù perché Tu sei Amore e Perdono!”.
Lei amava e adorava il Cuore Sacerdotale di Gesù, cuore di Misericordia e di compassione per tutti gli uomini e adorava il Sacrificio della Messa perché è l’espressione più concreta dell’infinita Misericordia di Dio per l’umanità, convinta che la Redenzione di Cristo ha un valore infinito e universale. Tutte le preghiere d’Istituto, da lei composte, offrono al Padre i Meriti di Cristo.
La nostra Madre Fondatrice, inoltre, aveva una concezione profondamente cristiana della morte. Da giovane aveva sperimentato il dolore per la morte della mamma, poi come infermiera nell’ospedale, aveva certamente assistito i malati nelle ore ultime della vita. Pregava molto e ci ha insegnato a pregare per i moribondi; per Lei la morte era incontro con lo Sposo. La preghiera del Cielo che l’Istituto divulga, da lei composta e approvata dalla Chiesa, rivela questo suo atteggiamento interiore di speranza certa del Cielo, e la sua profondissima fede nei Meriti Infiniti di Cristo. Diceva sovente: “Il perdono di Dio non ha confini” perché “Dio ci ama, vuol dare il Cielo a tutti gli uomini di buona volontà”.
È interessante rilevare come nel modo scrivere questi pensieri, madre Patrizia altalena a momenti di grande riflessione spirituale, momenti molto concreti della vita, intrecciandoli con assoluta naturalezza come in un tessuto nel quale i fili d’oro s’intrecciano con la trama ordinaria della vita. Soprattutto identifica con precisione il cuore pulsante della spiritualità della Madre nel valore redentivo della croce di Gesù e nel suo memoriale dell’Eucaristia. La famosa espressione di Madre Guaini, che ho commentato in altra occasione: «Quale utilità del suo sangue, se nessuno lo fa valere?», proclama la centralità della misericordia di Dio, comunicata nella Redenzione e nei meriti di Cristo. La teologia sembra quella tradizionale del valore del sacrificio della croce, ma la passione d’amore della Madre ne percepisce il valore attorno al nesso Eucaristia-Sacerdozio, che si rendono attuali nell’adorazione che raggiunge tutti i punti della terra. In questo brano riecheggia un’espressione famosa di Sant’Ambrogio, il quale diceva che Dio ha creato il mondo e gli uomini per aver qualcuno a cui poter perdonare!
Come la donna di Betania
Ricordiamo così, con grande affetto la nostra Madre Patrizia! Siamo grati a lei e a tutta la congregazione per il bene che ha fatto e che continua a fare. La portiamo nel cuore perché sia di ispirazione e di incitamento, in modo particolare per le comunità delle Filippine. Esse devono tenerla in grande considerazione come esempio di concreta santità, e chiediamo davvero al Signore, come è detto nel Vangelo proclamato oggi, che il gesto della donna di Betania sia il cuore della vita della Chiesa! Oggi la chiesa fa tante cose, ma deve lasciare spazio perché in se stessa vi sia la possibilità solo non di fare le cose, ma di lasciarsi fare dal Signore.
Mentre era a tavola, giunse una donna che aveva un vaso di alabastro, pieno di profumo di puro nardo, di grande valore. Ella ruppe il vaso di alabastro e versò il profumo sul suo capo (Mc 14,3).
Nel vangelo di Giovanni (Gv 12,1-8) si parla di una libbra, equivalente a 320 grammi, che oggi avrebbe un costo elevatissimo e che alcuni hanno calcolato pari allo stipendio annuale di un salariato palestinese del tempo.
Ci furono alcuni, fra loro, che si indignarono: «Perché questo spreco di profumo? Si poteva venderlo per più di trecento denari e darli ai poveri!». Ed erano infuriati contro di lei. (Mc 14, 4-6a)
La Chiesa di oggi non ha forse neppure il coraggio di questo spreco! Fa solo cose di cui prevede le conseguenze. Persino nelle nostre strutture un tale comportamento sarebbe riprovato. Invece la donna del Vangelo e tante altre donne, soprattutto molte donne della storia della Chiesa, hanno sprecato il loro amore, sapendo che non è amore sprecato!
E la protesta di “darlo ai poveri” può diventare ambigua, perché anche i poveri possono essere strumentalizzati per coprire la nostra presuntuosa efficienza! E, infine, sebbene alcuni siano indignati, anzi infuriati, contro di lei, Gesù li ammonisce, dicendo: “Lasciatela fare!”
Madre Margherita M. Guaini, Madre M. Emanuela Jacovone e Madre M. Patrizia – così come si sono succedute le superiore fino ad ora – ci ricordano proprio questo imperativo di Gesù, che diventa un esortativo: “Lasciatela fare!”. Come a dire: lasciate che nella Chiesa ci siano persone che non agiscono solo “per fare”, ma semplicemente perché hanno capito il valore incalcolabile dello spreco dell’amore!
Il Vangelo termina con un’affermazione autorevole di Gesù che dice e annuncia:
«In verità io vi dico: dovunque sarà proclamato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che ha fatto» (Mc 14,9).
È sorprendente come forse neppure trent’anni dopo la morte di Gesù si ricordi in questa dichiarazione solenne il gesto di questa donna che ha sprecato tutto il suo profumo, dal valore dello stipendio di un anno. Quando fu redatto il Vangelo e messo per iscritto, l’evangelista ha potuto scrivere con una fede paradossale: “dovunque” in “tutto il mondo” si annuncerà il Vangelo, si racconterà in sua memoria il gesto di offerta di questa donna! Molte altre donne lo hanno fatto, e oggi siamo qui anche noi a raccontare quello che madre Patrizia ha fatto. E per questo la ringraziamo di cuore!
[1] Il rituale del “blessing”, che significa “Benedizione”, consiste in un saluto rivolto alle persone molto più grandi o più autorevoli. Per farlo si prende la mano della persona anziana o autorevole e la si mette con il dorso sulla fronte di chi l’ha presa. È un gesto di venerazione e di saluto, di origine e cultura cattolica, presente nella maggior parte dell’arcipelago filippino.