L’incontro con Cristo come fonte di una speranza «viva», che trova il suo senso e la sua completezza solo quando non è vissuta in una dimensione personale e intimistica, ma quando diventa generativa: cresce nella relazione con gli altri e con il Signore, nella preghiera.
E’ il cuore del messaggio che il vescovo Franco Giulio Brammbilla ha voluto affidare ai giovani della diocesi di Novara, radunati a Boca per la Veglia delle Palme 2019, appuntamento per vivere la Giornata mondiale della gioventù in diocesi. Lo ha fatto nel suo intervento durante la celebrazione e consegnando loro uno scritto al termine dell’incontro e rivolgendosi direttamente a loro nel suo intervento durante la Veglia, nel quale il vescovo ha proposto l’immagine esplicativa del Quadrato della Speranza.
L’intervento del vescovo durante la celebrazione
Il Quadrato della Speranza
Intervento alla Veglia delle Palme 2019
13-04-2019
Download PDF
Il messaggio del vescovo consegnato al termine della celebrazione
Cristo risorto, speranza viva… per noi
Messaggio ai giovani della diocesi per la Veglia delle Palme 2019
13-04-2019
Download PDF
E nella tappa conclusiva del triennio che Papa Francesco ha voluto dedicare a Maria, è proprio la giovane di Nazareth che mons. Brambilla chiede di guardare: «Ragazzi, questa non è una strada semplice: non vi metterà al riparo da fatiche e delusioni. Anche per Maria non è stato così. Ma è la strada per la felicità, che guarda al bello e al vero della vita. E che si fonda sull’affidarsi a Dio: sul lasciarsi sostenere dallo sperare in una persona viva e concreta, che rende tutto più leggero».
Di seguito i due testi integrali del messaggio rivolto ai giovani del vescovo Franco Giulio.
Il Quadrato della Speranza
La parola “speranza” non è originale della lingua cristiana, appartiene al linguaggio umano di ogni tempo. In particolare, appartiene alla stagione della giovinezza, perché in quell’età si ha più futuro davanti che passato alle spalle. Ma oggi sembra essere afflitta da diverse patologie. Nel tempo della società gassosa che ci spinge a cercare risposte e gratifiche nell’immediato, l’attesa del futuro esige di correggere le malattie della speranza e di mettere in luce i germogli positivi presenti nelle esperienze della vita attuale.
Come fare per essere testimoni di speranza tutti i giorni? Per rispondere a questa domanda, vorrei proporvi una riflessione in quattro passi, che sono come i quattro lati di un quadrato. Il quadrato della speranza!
“Io spero…”
Il primo passo della speranza è quello più semplice e proprio per questo è quello cui si pensa meno. Tutti voi, quando vi svegliate e vi alzate dal letto compite questo atto: “io spero…” ed entrate con fiducia nella giornata che vi sta davanti. È l’atteggiamento che ci permette di affrontare gli impegni, il lavoro, lo studio, gli incontri, le fatiche che ci attendono.
“Io spero che…”
Quando poi mettete a fuoco la vostra agenda quotidiana, dal semplice “io spero…”, si passa allo “io spero che…”: spero che la verifica vada bene, spero di riuscire a terminare il lavoro che ho iniziato, spero di avere il tempo per incontrare quel mio amico. E’ la forma pratica dello sperare: è quello che muove all’azione. Tutti gli “io spero che…” sono i sogni delle cose belle e buone che vorreste fare, incontrare e ricevere durante il giorno.
“Io spero in te…”
Poi c’è un terzo passo. È forse quello meno immediato, ma è proprio quello che qualifica il nostro vivere quotidiano. È la tensione tra l’“io spero…” e l’“io spero che…”. È un orizzonte che si allarga, che non si ferma all’oggi e al qui, ma interroga l’intera nostra vita. È lo slancio che anima il nostro quotidiano, che lo abita, ma che ce lo fa anche superare. Senza ritrovare questo slancio della speranza dentro le esperienze della vita, soprattutto negli ambienti dello studio e del lavoro, del divertimento e dello sport, dell’amicizia e del volontariato, non sarà possibile un annuncio della speranza viva del Risorto.
“Io spero in te… per noi”
Ma adesso vi chiedo di fare con me un ultimo passo. Perché, vedete, lo slancio della speranza viva nasce da voi stessi, ma non si ferma lì: è per tutti, per tutti noi. L’espressione di Gabriel Marcel: “io spero in te per noi” racconta proprio di questo, mettendo in luce due aspetti.
Anzitutto, il legame interpersonale (per noi) della speranza. Non si può sperare da soli, mentre si può essere disperati restando soli. Oggi sempre più spesso la speranza è confinata nello spazio intimo di una speranza individualistica o nell’ambito ideologico di un progressismo sociale, senza che si riesca a vedere il legame che unisce le speranze della persona e le attese della società. Il bene che io cerco, che io spero, è davvero per me solo se è bene anche per gli altri.
Il secondo aspetto dello sperare “per noi”, è che esso diventa preghiera, diventa invocazione. Alla fine, la speranza ha la sua forma umana compiuta quando diventa preghiera che invoca la presenza del Dio della vita e del Signore della storia. La figura cristiana della speranza conduce così a fissare lo sguardo sul Signore. Egli è la speranza viva, sorgente della testimonianza nel mondo.
L’offuscamento della sostanza viva della fede cristiana, che ha il centro nel Crocifisso risorto, paralizza le forme della comunicazione del Vangelo. Oggi si fa fatica ad essere testimoni del Vangelo perché perdiamo di vista il suo centro, il nucleo centrale che dà vita alla nostra speranza: Gesù è risorto!
Impariamo da Maria, che ci ha accompagnato in questi tre anni: il suo sì è stato un sì sicuro perché pieno di speranza. Quella speranza che è pronta a farsi sorprendere, a farsi mettere in gioco. Il suo non è stato un semplice “io spero che…”, ma un “io spero in te… per noi”. Ha lasciato che il Signore non rispondesse solo ai suoi desideri, ma che li superasse in un modo addirittura inimmaginabile.
Allora, come augurio per questa Pasqua, vi voglio dedicare le parole del filosofo della speranza (G. Marcel):
«Io spero in te per noi»… Bisogna dire che sperare, così come possiamo presentirlo, è vivere in speranza, al posto di concentrare la nostra attenzione ansiosa sui pochi spiccioli messi in fila davanti a noi, su cui febbrilmente, senza posa, facciamo e rifacciamo il conto, morsi dalla paura di trovarcene frustrati e sguarniti. Più noi ci renderemo tributari dell’avere, più diverremo preda della corrosiva ansietà che ne consegue, tanto più tenderemo a perdere, non dico solamente l’attitudine alla speranza, ma alla stessa fiducia, per quanto indistinta, della sua realtà possibile. Senza dubbio in questo senso è vero che solo degli esseri interamente liberi dalle pastoie del possesso sotto tutte le forme sono in grado di conoscere la divina leggerezza della vita in speranza.
Cristo risorto, speranza viva… per noi
«Io spero in te per noi»: così Gabriel Marcel, un filosofo francese, esprimeva in modo sintetico la prova a cui era sottoposta la speranza, nel momento terribile dell’ultima guerra mondiale. Anche oggi, in un tempo pieno di possibilità e di mezzi, la speranza è un bene di scarsa disponibilità, che si compra a caro prezzo. Sapete, cari ragazzi, quando incontro studenti della vostra età, chiedo spesso: cosa sperate per il vostro domani? La risposta è talvolta deprimente: cosa vuole, non riusciamo a vedere oltre il prossimo weekend…!
Ma cosa è la speranza cristiana? La speranza cristiana è una persona. Una persona che ha il volto del Crocifisso risorto, che potete incontrare e conoscere nella parola annunciata, nell’Eucaristia celebrata, nella comunità credente, nelle attese del mondo. È la forza propulsiva della Pasqua!
La speranza è il dono con cui la Chiesa si lascia di nuovo “generare” dal Signore. La Chiesa riceve sempre da capo il Vangelo della Pasqua, il dono dello Spirito e la ricchezza variegata dei suoi doni. E voi, cari ragazzi, siete chiamati ad essere i protagonisti di questa rigenerazione, perché siete la Chiesa di domani, siete il mondo di domani, siete coloro che aiutano a tenere “viva” la nostra speranza.
- «Egli ci ha generati a una speranza viva» (1Pt 1,3)
Vorrei, allora, porgere ad ognuno di voi questa domanda semplice: tu, adolescente e giovane, guardi il tuo futuro con una speranza viva? Proviamo a vedere cosa significa lasciandoci ammaestrare dall’Apostolo Pietro che nella sua Prima Lettera utilizza proprio la metafora della “nuova generazione” per parlare dell’attesa umana e della speranza cristiana.
L’inno di benedizione con cui si apre la Prima lettera di Pietro è una lode a “Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. Pietro così continua: «nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva» (1Pt 1,3). La parola chiave della benedizione è la “speranza viva” alla quale siamo generati mediante la risurrezione di Gesù. L’Apostolo usa la metafora della “generazione” per affermare che il credente nasce di nuovo nella Pasqua di Gesù.
Proseguendo nella lettura della lettera, troviamo tre aspetti essenziali che Pietro mette in luce: la nuova generazione è rinascita pasquale nella risurrezione dai morti; ha il suo luogo sacramentale nel battesimo; trova il suo significato esistenziale nella vita mediante la fede. Al centro, dunque, stanno il Risorto e la sua azione che genera in noi una speranza vivente e attiva.
La speranza è precisata “come una eredità che non si corrompe, non si macchia, non marcisce” (1,4). La speranza cristiana è un’eredità promessa, è quasi una caparra di un bene più grande, che ha un anticipo nell’esperienza filiale e fraterna dei credenti. È descritta nei suoi tratti salienti così: è incorruttibile, perché è custodita nei cieli per noi (v. 4b); è incontaminata, perché accolta nella fede (v. 5a); è indistruttibile, perché non si può perdere, va al di là della morte, per raggiungere la pienezza stessa della vita di Dio (v. 5b). Questa è la “speranza viva” di cui parla l’Apostolo.
- Una speranza viva per noi
Dunque, cari ragazzi, la speranza viva è la stella polare che ci deve guidare nel cammino: il primo motivo del nostro convenire è quello di lasciarci sempre, di nuovo, generare e alimentare dalla speranza della risurrezione, così che essa diventi capace di interpretare e di realizzare le attese e le speranze degli uomini d’oggi, di mettere in contatto la ricerca di vita, di relazioni buone, di giustizia, di libertà e di pace, con la fonte stessa della speranza viva, Gesù risorto.
La parola “speranza” non è originale della lingua cristiana, appartiene al linguaggio umano di ogni tempo. In particolare, appartiene alla stagione della giovinezza, perché in quell’età si ha più futuro davanti che passato alle spalle. Ma oggi sembra essere afflitta da diverse patologie. Nel tempo della società gassosa che ci spinge a cercare risposte e gratifiche nell’immediato, l’attesa del futuro esige di correggere le malattie della speranza e di mettere in luce i germogli positivi presenti nelle esperienze della vita attuale.
Quindi, che cosa ci è richiesto per partecipare alla speranza viva di Cristo risorto che ci ha mostrato l’Apostolo Pietro? Come fare per esserne testimoni tutti i giorni? Nella ricerca delle risposte a queste domande, vorrei proporvi una riflessione in quattro passi.
“Io spero…”
Il primo passo della speranza è quello più semplice e proprio per questo è quello cui si pensa meno. Tutti voi, quando vi svegliate e vi alzate dal letto compite questo atto: “io spero…” ed entrate con fiducia nella giornata che vi sta davanti. È l’atteggiamento che ci permette di affrontare gli impegni, il lavoro, lo studio, gli incontri, le fatiche che ci attendono.
“Io spero che…”
Quando poi mettete a fuoco la vostra agenda quotidiana, dal semplice “io spero…”, si passa allo “io spero che…”: spero che la verifica vada bene, spero di riuscire a terminare il lavoro che ho iniziato, spero di avere il tempo per incontrare quel mio amico. È la forma pratica dello sperare: è quello che muove all’azione. Tutti gli “io spero che…” sono i sogni delle cose belle e buone che vorreste fare, incontrare e ricevere durante il giorno.
“Io spero in te…”
Poi c’è un terzo passo. È forse quello meno immediato, ma è proprio quello che qualifica il nostro vivere quotidiano. È la tensione tra l’“io spero…” e l’“io spero che…”: “io spero in te…”. È un orizzonte che si allarga, che non si ferma all’oggi e al qui, ma interroga l’intera nostra vita. È lo slancio che anima il nostro quotidiano, che lo abita, ma che ce lo fa anche superare e che guarda al Signore. Senza ritrovare questo slancio della speranza dentro le esperienze della vita, soprattutto negli ambienti dello studio e del lavoro, del divertimento e dello sport, dell’amicizia e del volontariato, non sarà possibile un annuncio della speranza viva del Risorto.
“Io spero in te… per noi”
Ma adesso vi chiedo di fare con me un ultimo passo. Perché, vedete, lo slancio della speranza viva nasce da voi stessi, ma non si ferma lì: è per tutti, per tutti noi. L’espressione del filosofo: “io spero in te per noi” racconta proprio di questo, mettendo in luce due aspetti.
Anzitutto, il legame interpersonale (per noi) della speranza. Non si può sperare da soli, mentre si può essere disperati restando soli. Oggi sempre più spesso la speranza è confinata nello spazio intimo di una speranza individualistica o nell’ambito ideologico di un progressismo sociale, senza che si riesca a vedere il legame che unisce le speranze della persona e le attese della società. Il bene che io cerco, che io spero, è davvero per me solo se è bene anche per gli altri.
Il secondo aspetto dello sperare “per noi”, è che esso diventa preghiera, diventa invocazione. Alla fine, la speranza ha la sua forma umana compiuta quando diventa preghiera che invoca la presenza del Dio della vita e del Signore della storia. La figura cristiana della speranza conduce così a fissare lo sguardo sul Signore. Egli è la speranza viva, sorgente della testimonianza nel mondo.
L’offuscamento della sostanza viva della fede cristiana, che ha il centro nel Crocifisso risorto, paralizza le forme della comunicazione del Vangelo. Oggi si fa fatica ad essere testimoni del Vangelo perché perdiamo di vista il suo centro, il nucleo centrale che dà vita alla nostra speranza: Gesù è risorto!
- Maria, la divina leggerezza della vita in speranza
Impariamo da Maria, che ci ha accompagnato in questi tre anni: il suo sì è stato un sì sicuro perché pieno di speranza. Quella speranza che è pronta a farsi sorprendere, a farsi mettere in gioco. Il suo non è stato un semplice “io spero che…”, ma un “io spero in te… per noi”. Ha lasciato che il Signore non rispondesse solo ai suoi desideri, ma che li superasse in un modo addirittura inimmaginabile.
Ragazzi, questa non è una strada semplice: non vi metterà al riparo da fatiche e delusioni. Anche per Maria non è stato così. Ma è la strada per la felicità, che guarda al bello e al vero della vita. E che si fonda sull’affidarsi a Dio: sul lasciarsi sostenere dallo sperare in una persona viva e concreta, che rende tutto più leggero.
Allora, come augurio per questa Pasqua, vi voglio dedicare le parole del filosofo della speranza:
«Io spero in te per noi»… Bisogna dire che sperare, così come possiamo presentirlo, è vivere in speranza, al posto di concentrare la nostra attenzione ansiosa sui pochi spiccioli messi in fila davanti a noi, su cui febbrilmente, senza posa, facciamo e rifacciamo il conto, morsi dalla paura di trovarcene frustrati e sguarniti. Più noi ci renderemo tributari dell’avere, più diverremo preda della corrosiva ansietà che ne consegue, tanto più tenderemo a perdere, non dico solamente l’attitudine alla speranza, ma alla stessa fiducia, per quanto indistinta, della sua realtà possibile. Senza dubbio in questo senso è vero che solo degli esseri interamente liberi dalle pastoie del possesso sotto tutte le forme sono in grado di conoscere la divina leggerezza della vita in speranza.
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara