La triplice Carità di Rosmini

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Lo scorso 1° luglio, nel santuario del Santissimo Crocifisso del Centro internazionale di studi Rosminiani di Stresa,il vescovo Franco Giulio ha presieduto la celebrazione per la memoria liturgica del beato roveretano. Di seguito il testo integrale.

 

La triplice Carità di Rosmini

Memoria del beato Antonio Rosmini 

Oggi dopo undici anni posso rivelarvi un segreto. Quando venni qui il primo anno del mio ministero a Novara (2012), per la stessa occasione a presiedere la messa in onore del beato Antonio Rosmini – in quella circostanza era stato invitato ed era presente anche monsignor Renato Corti, di venerata memoria – non era ancora accaduto quanto sto per dirvi. Infatti, a maggio del 2013, durante l’assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana, avevo ottenuto di poter far visita a papa Benedetto, da poco ritiratosi (28 febbraio 2013). L’occasione era la seguente: a motivo della sua nota passione per la musica, dovevo portargli e fargli dono della partitura della Passione secondo Giovanni, scritta e composta dal maestro Alberto Sala, organista titolare del Duomo di Novara. Si tratta di un genere musicale sullo stile e impianto di quelle scritte da J. S. Bach, che ben si conoscono anche attraverso i corali, entrati nei repertori dei canti di chiesa. L’opera era stata eseguita il venerdì precedente al Venerdì Santo dalla Cappella musicale del Duomo di Novara ed era proprio dedicata personalmente a papa Benedetto che nel frattempo si era inaspettatamente ritirato. Per questo motivo era stata opportunamente rivista la conclusione della composizione con un recitativo e una parte corale, ispirata all’ultimo dialogo tra Gesù e Pietro (cfr. Gv 21,15-19). Il corale suggestivamente cantava: Li amò sino alla fine. Ci amò fino alla fine”.

In quei giorni, qualche commentatore malevolo aveva detto che il Papa con le sue dimissioni “era sceso dalla croce”, ma il testo del corale con finezza attesta e sottolinea che anche in questo modo si compie la missione di amare sino alla fine. Insieme alla corposa partitura ho consegnato al Papa sia i due compact-disc (CD) della registrazione dell’esecuzione avvenuta, come dicevo, nel nostro Duomo, e un digital-video-disc (DVD) con il video registrato proprio dell’ultimo corale: dapprima c’è il canto, poi bruscamente s’interrompe il corale ed è innestato il filmato con l’ultima udienza di papa Benedetto, con un ritaglio dell’ultima catechesi, che diceva in modo vibrante: “Vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua”. (Benedetto XVI, Udienza generale, Piazza San Pietro, mercoledì, 27 febbraio 2013).  Alla fine del breve filmato il Papa saluta, si vede un campo lungo sulla piazza di san Pietro stracolma, e poi riprende il corale: “… fino alla fine li amò! fino alla fine ci amò!”.

Ero accompagnato dal cardinale Lajolo che aveva favorito l’incontro e abbiamo visto il DVD insieme nella sala superiore del convento Mater Ecclesiae. Appena terminata la visione, il Papa – ed ecco perché vi ho raccontato questo aneddoto – mi rivolse una domanda ben precisa. Era stato lui a smuovere il processo per la causa di Rosmini fin dal 2001, che era poi culminata con la beatificazione il 18 novembre 2007. Dunque, il Papa voleva sapere se vi fosse nella nostra diocesi una devozione popolare verso il beato Rosmini. Preso abbastanza di sorpresa risposi che è certo coloro che sono stati alunni presso i rosminiani, così come gli amici e i simpatizzanti (tra questi, ricordo con affetto il notaio Bertoli di Stresa, morto lo scorso anno a 92 anni), hanno una passione per la conoscenza della verità, per la dignità della persona, per la bellezza dell’uomo, per la ricerca di Dio. Non so se ho risposto giusto, ma voi che siete qui come amici, ascritti, simpatizzanti insieme alle sorelle rosminiane dovreste potervi riconoscere in questa descrizione che il vescovo per rispondere al Papa non poteva non fare.

Ho dunque pensato di parlarvi quest’oggi di quell’aspetto a cui ha accennato anche il padre superiore nel suo saluto d’inizio, vale a dire della “triplice dimensione della Carità” in Rosmini. Egli spesso usava i termini consueti, però il suo genio non si fermava a leggere l’etichetta, ma era capace di penetrare nella realtà profonda che questi termini indicavano. Rosmini afferma che c’è una carità materiale, una carità intellettuale e una carità spirituale. È il triplice aspetto della carità che si rivela assai interessante e su cui vorrei dirvi una parola di incoraggiamento.

1. Ora sul primo aggettivo è abbastanza facile poter dire qualcosa: la carità materiale è l’elemosina, il soccorso, il cibo, il vestito, il lavoro, in genere è la relazione di aiuto. Tutti coloro che pensano alla parola carità intuiscono che, se c’è una necessità, un bisogno, occorre prendersene cura. Nella tradizione teologica, questa è stata chiamata la carità-servizio, riferita a tutte le forme di bisogno dell’uomo, perché l’indigente possa sedere anche lui alla mensa eucaristica, non solo come un bisognoso, ma come un fratello. Tale aspetto della carità è tendenzialmente interminabile, anche perché Gesù ci ha detto che “i poveri li avete sempre con voi” (Mc 14,7). Ad un convegno feci addirittura sbagliare il tempo verbale della frase evangelica scritta sullo striscione che sovrastava il palco: “I poveri li avrete sempre con voi!”. Il testo del Nuovo Testamento è al presente continuo, indica una certezza – “li avete sempre con voi” – non termineranno mai! I poveri sono una presenza certa nella comunità cristiana dei credenti, sono un compito interminabile, tant’è che ancora ai nostri giorni si parla e si tratta delle antiche e nuove povertà. Anche papa Francesco attira sempre la nostra attenzione sui poveri. Oggi bisogna essere coscienti che da noi la povertà ha molte facce e non si riferisce semplicemente al fatto del bisogno di cibo materiale o di avere una casa ospitale, ma piuttosto riguarda anche le malattie spirituali: ne ho contate almeno nove (dipendenze da droghe e da altre sostanze; ludopatie da videogiochi e non solo; forme di depressione; alti livelli di dispersione scolastica; condizione del pianeta NEET [Not in Education, Employement or Training: persone che non studiano, non lavorano né sono impegnate in percorsi di tirocinio]; episodi di cyberbullismo nella scuola; la piaga dei femminicidi e della violenza sui minori; situazioni di frammentazione e disagio della famiglia; il dramma dei suicidi).

La prima forma della carità, dunque, è la relazione d’aiuto, è la risposta al bisogno. Aiutando la persona, rispondendo al suo bisogno, io devo trattarlo sì come un bisognoso, ma con la sua dignità e sin qui il nostro gesto coincide con la solidarietà: è un’azione che può essere fatta da ogni uomo, da ogni donna che vive sulla faccia della terra.  A questo proposito è interessante notare che la linea che distingue il necessario dal superfluo nella vita di una persona, di una famiglia, della società, si alza sempre di più, per cui una volta i poveri quando venivano alla Caritas volevano il vestito; dopo l’han voluto lavato perché è una cosa bella e dignitosa; oggi qualcuno lo vuole anche griffato! Questa è la povertà cosiddetta materiale.

2. C’è poi la povertà spirituale che nella tradizione teologica si chiama la carità-virtù. Alle sorelle rosminiane un tempo certamente insegnavano che, al momento della confessione, era necessario ammettere di aver mancato anche rispetto alla virtù della carità. Ciò perché si vive in una comunità fraterna, composta da fratelli o sorelle, i quali o le quali spesso sono vicini e vicine, ma non sempre sono prossimi e prossime! Infatti, un conto è esser vicini e un conto è essere prossimi. L’esser vicini è la misura di una distanza, l’esser prossimi è la qualità di una relazione. La carità-virtù nella tradizione teologica è illuminata o addirittura identificata persino con lo Spirito Santo, che è Donum e Charitas. La carità-virtù mi dice che il gesto di aiuto al povero mi impegna poi a responsabilizzarlo e a farlo diventare fratello. Il povero non può essere semplicemente il destinatario della nostra elemosina (il, cibo, il vestito, il lavoro, la casa o altro), ma lo devo rendere anche autonomo perché poi responsabilmente diventi un membro della vita della comunità cristiana e della società umana. Lunedì scorso, il 26 giugno, presentando al clero la Lettera pastorale dell’anno prossimo che ha come tema proprio la carità, ho affermato che la Caritas deve essere come la levatrice, la quale raggiunge il suo scopo quando diventa inutile. Infatti, se in dieci anni di aiuto ai poveri, nessun povero è diventato capace di stare in piedi da solo, temo che la Caritas, o anche l’azione solidale di un gruppo di volontariato, non abbiano raggiunto il loro scopo ultimo. In ogni caso la vera carità cristiana deve affrancare dal bisogno, deve liberare dal bisogno, deve responsabilizzare l’altro. Noi stessi spesso agiamo così. Ve lo chiarisco con un simpatico aneddoto: una sorella intraprendente e generosa, delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret di Borgosesia, che ho incontrato durante la visita pastorale, mi diceva che ogni settimana in modo sistematico distribuiva fino a settanta borse della spesa. Alla suora però ho mosso l’osservazione se si fosse resa conto della reale necessità e utilizzo di ciò che lei metteva nella borsa. Alcuni prodotti o cibi, infatti, non sono ugualmente adatti per cultura e consuetudini se sono distribuiti a gente italiana del nord, del sud o a un extracomunitario marocchino o un indiano! Con il rischio persino che l’olio o il riso (prodotti preziosi) possano venir gettati (è capitato!), perché non appartenenti al gusto gastronomico del bisognoso. Ho suggerito alla bravissima suora che con la borsa vuota facesse il giro del magazzeno con la persona interessata, chiedendo quale fosse il suo reale bisogno ed eventualmente educando a gestire la borsa della spesa. Occorre una risposta mirata, che sia adeguata al bisogno e alla domanda!

La carità-servizio diventa carità-virtù nel momento in cui, servendo l’altro lo si responsabilizza, coinvolgendolo nella nostra relazione di aiuto, e così riusciamo a liberarlo gradualmente dal bisogno. Gli amministratori presenti sanno che questo è il problema del Welfare italiano, che spesso disperde enormi risorse con i cosiddetti interventi a pioggia, i quali non sono mai interventi che fanno crescere la coscienza, la capacità di responsabilità, di autonomia, di emancipazione dal bisogno, di libertà dalla dipendenza…

Sono queste le due forme principali della carità, la carità materiale e la carità spirituale. La prima ha bisogno della seconda, perché non posso trattare l’altro solo come un destinatario del bisogno, fosse anche il migrante, ma devo considerarlo come uno che può restituire liberamente in un secondo tempo, non tanto a me o a chi dona, ma agli altri, quello che noi offriamo. Nei primi anni della mia presenza in diocesi avevamo messo in campo una Fondazione per il microcredito e l’avevamo a sottotitolata “Gratuitamente non vuol dire gratis!”. Si mettevano a disposizione piccoli capitali che venivano dati gratuitamente, ma che nel tempo si dovevano far fruttare e restituire, non a noi, ma per altri che avevano a loro volta bisogno di risorse economiche, in modo tale che anche nuove persone ne potessero avere beneficio e potessero uscire dalla loro condizione di indigenza. Sono persone che se fossero andate in banca, mai avrebbero potuto realizzare tutto ciò (tecnicamente erano, come si dice con un brutto termine, soggetti “non bancabili”).

3. Cosa intuisce Rosmini? Intuisce che per tenere unite la carità materiale e la carità spirituale occorre la carità intellettuale. Questa consiste nella capacità sia con la carità-servizio sia con la carità-virtù di coinvolgere le forme del sapere, dell’intuizione, della fantasia, della creatività, in modo tale che la carità-servizio non si riduca solo alla risposta a un bisogno e la carità fraterna che è la carità spirituale, la fraternità, non sia semplicemente la relazione del gruppo di amici, che non si fa carico di quelli che hanno bisogno, ma soprattutto che non fa crescere anche la coscienza della comunità e della società.

Lo vediamo per esempio oggi per l’Africa. Secondo una mia supposizione con la caduta del muro di Berlino, tutti gli aiuti che prima andavano verso l’Africa, forse non tutti ma molti aiuti, sono stati dirottati verso l’Est Europa, per il timore di un’invasione dei popoli ex-comunisti verso i paesi occidentali. A quel punto l’Africa è stata abbandonata a se stessa. La mancanza di risorse materiali ha frenato, inibito e addirittura spento quel percorso molto lungo, che permetteva non solo di inviare mezzi e materiali, ma di far crescere la mentalità, la cultura, i comportamenti, la scuola, l’educa­zione.

Rosmini ebbe questa intuizione nel 1800! Era il periodo del colonialismo, ma egli intuisce che la carità materiale e la carità spirituale se non hanno la cerniera della carità intellettuale, alla fine la prima sarà sempre il tappo che riempie i buchi, e la seconda sarà un sentimento di amore psichico, che però non eleva e non rende protagonisti i poveri del proprio destino,

4. La triplice carità del Rosmini è ancora una sfida per noi oggi. Per questo noi non dovremmo smettere di avere passione per l’educazione alla carità. La risposta che ho dato a papa Benedetto forse può trovare accoglienza e realizzazione anche in voi, almeno per voi che vi fregiate di essere figli, discepoli, ascritti e simpatizzanti di Rosmini. In effetti anch’io ho un debito verso il Beato, per una relazione che mi fu assegnata sull’antropologia soprannaturale in Rosmini per un convegno a Trento, ma mi impressionai per la mole di lavoro che richiedeva e il poco tempo che avevo a disposizione. Allora declinai l’invito. Perché il pensiero di Rosmini non è un mare, ma un oceano! Rosmini afferma che tra la carità materiale e la carità spirituale sta la carità intellettuale, quella che educa, edifica, fa crescere, promuove l’umano. Che non sia questo il legame tra le due dimensioni della carità: la carità-servizio e la carità-virtù? Non date solo cose materiali ai vostri figli, ai bisognosi, ai poveri, alle persone svantaggiate e vulnerabili! Date la vostra presenza, la vostra vicinanza, e dedicate tempo e spazio per farli diventare non solo i destinatari del loro bisogno, ma i soggetti del cammino di crescita, di educazione, di sviluppo e di promozione umana. In una parola fateli diventare fratelli! Se in dieci anni durante i quali avete aiutato i poveri, o anche i ragazzi dei vostri istituti scolastici, nessuno è cresciuto intellettualmente e umanamente, non siamo ancora realmente discepoli di Rosmini. A papa Benedetto però ho detto che i rosminiani fanno così!

 

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara