Lo spirito d’infanzia. Omelia del vescovo nella Notte di Natale

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Di seguito pubblichiamo l’omelia integrale del vescovo Franco Giulio Brambilla, pronunciata in occasione della messa nella notte di Natale, celebrata in cattedrale a Novara.

 

Lo spirito d’infanzia

Omelia nella Notte di Natale

 

«… Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». (Lc 2,12)

Questo è il segno del Natale: un bimbo avvolto in fasce accolto con cura regale (Sap 7,4) e riconosciuto con gioia come il bue e l’asino trovano la mangiatoia del loro padrone, mentre Israele non riconosce la venuta del Signore (Is 1,3). È il segno al quale ogni anno dobbiamo di nuovo andare e dal quale dobbiamo partire. Bisogna accogliere Dio che viene in mezzo a noi e inizia la sua strada facendosi bambino. Ogni uomo o ogni donna prende avvio e cammina in questo mondo muovendo i primi passi da piccolo e poi diventa adulto. Questo è il segno della nascita!

Il mistero dell’infanzia ci dice che non si nasce già grandi, ma si diventa adulti, anzi ci ricorda che la prima stagione della vita non viene superata, ma va custodita, perché dev’essere sempre rinnovata dentro noi. Sta qui il motivo per cui ogni anno ritorna il mistero del Natale, cioè della nascita di Gesù e della nostra rinascita.


Lo spirito d’infanzia
Omelia nella Notte di Natale
24-12-2021
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Come ebbi a dirvi qualche anno fa, tutto il XX secolo è stato vissuto sotto il segno dell’uomo come un essere-per-la-morte, un essere “mortale”. Difficilmente abbiamo sentito parlare dell’uomo come un essere-per-la-nascita, un essere “natale”. Ma l’uomo e la donna sono fatti per la vita! Pertanto, quest’anno ho pensato di proporvi la mia riflessione attraverso una serie di testi, tratti da un grande autore della prima metà del Novecento, francese. È uno scrittore molto conosciuto, Georges Bernanos (1888-1948), autore fra gli altri del famoso romanzo Diario di un curato di campagna. Con i testi che vi citerò, egli ci aiuta a recuperare quello che egli chiama lo “spirito d’infanzia”. Lo faccio attraverso tre passi.

 

  1. Lo spirito di vecchiaia e la distretta del nostro tempo

Nel primo dei tre passi Bernanos ci fa sostare sullo spirito di vecchiaia, che va superato e va purificato dentro di noi. Esso descrive bene il tempo che stiamo vivendo. Dobbiamo riconoscere che lo scorso anno abbiamo vissuto il tempo del Natale in modo più drammatico di oggi, perché non eravamo ancora in grado di avere una “barriera affidabile” di fronte alla pandemia. Pur avendo ripetuto più volte e sperato che tutto stesse per finire, la realtà della situazione odierna si mostra ancora in tutta la sua difficoltà e ansietà.

Ecco allora che ci vengono in soccorso i primi due testi, molto brevi, di Bernanos:

«Gli uomini, nella loro tragica solitudine, hanno fatto silenziosamente, nei confronti del soprannaturale, il patto dei tempi di peste: pensarvi il meno possibile e non parlarne mai»

(Da “Il crepuscolo dei Vecchi”)

La citazione mi ha colpito per il suo riferimento alla peste, simile al tempo di pandemia che stiamo vivendo. Il patto scellerato di cui l’autore parla non è nei confronti del morbo, ma è un patto silenzioso che fa tacere la dimensione soprannaturale della nostra vita. Oggi noi diremmo la dimensione spirituale dell’esistenza. E, poi, aggiunge:

«Per non aver vissuto la [n]ostra fede, essa non è più viva; è divenuta astratta, è come disincarnata. Forse troveremo in questa disincarnazione del Verbo la vera causa delle [n]ostre disgrazie»

(Da “I Grandi Cimiteri sotto la luna”)

Mi hanno molto impressionato queste parole che si trovano in due opere di Bernanos, attraverso cui lo scrittore descrive lo spirito di vecchiaia, dove non conta tanto l’età, ma conta il cuore e lo spirito. Lo “spirito di vecchiaia” per Bernanos è la scelta del compromesso, l’abitudine alla menzogna, dove i grandi di questo mondo fanno calcoli, programmano, pretendono di spiegare tutto, ma questa presunzione è sintomo di superficialità, – per questo sono già vecchi, anzi siamo già vecchi certe volte! – in cui ogni realtà perde spessore, si riduce a vuota apparenza e viene consumata.

Oggi consumiamo tutto, le realtà materiali e le realtà spirituali, gli eventi e le persone. Sembra che sia necessario far seguire tutti gli eventi della vita quasi in un vortice irrefrenabile, senza avere la capacità di fermarci! Questo è uno spirito mortifero, che porta morte, si consuma e ci consuma. È lo “spirito di vecchiaia”!

 

  1. Lo spirito d’infanzia e il suo linguaggio

A partire dalla descrizione cupa di questo sfondo, Bernanos ci invita a riscoprire lo “spirito d’infanzia” e, pertanto, ci suggerisce anche quale sia il suo linguaggio. Pure in questo caso vi riporto due testi.

«Bisogna consacrare la nostra vita ad acquisire lo spirito d’infanzia, o a ricuperarlo, se l’abbiamo conosciuto. Una volta usciti dall’infanzia, occorre faticare molto a lungo per rientrarvi, così come proprio in fondo alla notte si ritrova un’altra aurora»

(Da “Dialoghi delle carmelitane”)

Questa è una bella metafora, una bella immagine che fa scaturire dal grembo della notte l’aurora. Recuperare lo spirito d’infanzia è come rinascere ogni volta al mattino. E Bernanos si chiede e ci domanda quale sia il linguaggio di questo spirito d’infanzia, dove possiamo sentirlo palpitare. Altre volte ho avuto occasione di dire un pensiero simile a quello che segue:

«Siate fedeli ai poeti, restare fedeli all’infanzia! Non diventate mai una “grande” persona – di quelle che pensano “se non appaio, non esisto” -. Se dovessi darvi un consiglio, vi direi di farvi piccoli, piccolissimi, quanto più piccoli possibile. Il mondo sarà salvato dai bambini, dai poeti e dai santi!

(Da “Correspondance II”)

E talvolta mi capita di aggiungere: e dai clowns! Lo “spirito di infanzia” – l’altra faccia della medaglia rispetto allo spirito di vecchiaia – è il coraggio di essere autenticamente umani e questo è un percorso di consapevolezza e di crescita mai del tutto concluso. Più passano gli anni, tanto più abbiamo bisogno di tornare indietro a recuperare il nostro spirito d’infanzia! È un cammino interiore di estrema profondità. Il linguaggio dell’infanzia non è una parola mielata e puerile, ma è “sale della terra”, un linguaggio incisivo, franco, proprio dei bambini, fatto di parole vere, spesso inattese e sorprendenti, capaci di toccare il cuore, creando novità e desiderio di rinascita.

Questa sera andando a casa diciamoci l’un l’altro anche una sola di queste parole incisive e franche, e, per quanti siamo presenti in Duomo questa notte, sarebbero forse già duecento parole di novità!

 

  1. Natale, festa dell’infanzia e azzardo della speranza

E, infine, il terzo e ultimo passo. Natale è la festa dell’infanzia che ci conduce all’azzardo della speranza. In questo caso propongo una citazione del nostro autore comparsa su un giornale proprio il giorno di Natale: era il 25 dicembre 1947. La data ci rimanda a poco più di due anni dopo l’evento tremendo dell’ultima guerra mondiale. Anche per noi potrebbe essere una parola da dire, ora, dopo i due anni tragici che abbiamo passato e pensando a che cosa sono stati. Scrive Bernanos:

«Natale è la festa dell’infanzia. Questo giorno è quello di tutte le speranze umane e, per un cristiano, la festa dell’umanità divinizzata nel misterioso piccolo bambino e nella greppia continuerà a brillare ogni anno sopra un mondo accanito a perseguire, costi quel che costi, la sinistra esperienza di una civiltà despiritualizzata, di una civiltà della materia che pretende di ricreare l’uomo a sua immagine e somiglianza […]

Abbiamo il diritto di chiederci se ci saranno ancora per lungo tempo delle Notti di Natale, con i loro angeli e pastori, per questo mondo feroce – potremmo dire che è un testo “profetico”; infatti basta guardarci attorno e vedere quante cose sono accadute in questi ultimi dieci anni alle donne e ai bambini! – così lontano dall’infanzia, così lontano allo spirito d’infanzia, al genio dell’infanzia: questo mondo con suo realismo limitato, con il suo odio di ogni sforzo, che si accoda molto meno paradossalmente di quanto si pensi al suo delirio di azione, alla sua agitazione convulsa»                                                                    

(Da “L’Intransigeant”, 25 dicembre 1947)

E vi faccio ascoltare un’ultima citazione tratta proprio dall’opera “I bambini umiliati”:

Il mondo moderno vive veramente troppo in fretta, il mondo non ha più tempo di sperare, la vita interiore dell’uomo moderno ha ormai un ritmo troppo rapido perché vi si formi e maturi un sentimento così ardente e tenero; l’uomo moderno alza le spalle all’idea di questo casto fidanzamento con l’avvenire».

(Da “Les Enfants humiliés”)

Sono parole folgoranti, queste ultime di Bernanos! Al futuro bisogna andare incontro con un “casto fidanzamento con l’avvenire”, con uno spirito vergine! Una civiltà senza spirito, convulsa e frenetica, senza speranza, non sa correre il rischio dello sforzo di fare un patto con l’avvenire. Attraverso queste ultime parole formulo il mio augurio natalizio: la vita interiore, la vita dello spirito, si esprime nel leggere, ascoltare, pregare, parlarsi, raccontarsi, star vicino, voler bene, perdonare, prevenire e si potrebbero elencare altri cento verbi adeguati… Leggevo ultimamente un testo in cui si diceva che i giovani della generazione precedente, fino agli anni 1980-90, erano attrezzati a cercare qualcosa in più dalla vita per costruire insieme il progresso, il loro futuro, il futuro della famiglia, il futuro della loro città, il futuro del loro paese. Invece, ai giovani d’oggi trasmettiamo un messaggio inverso, per cui devono essere quasi corazzati a resistere di fronte alle minacce del mondo in cui dovranno crescere. È un mondo che, diventato pericoloso, non è più un terreno fertile per seminare e far crescere, ma piuttosto un mondo minaccioso di fronte a cui immunizzarci, per così dire, con gli anticorpi contro la malattia che ci aggredisce! È un mondo in cui ci si deve attrezzare più a resistere alla paura, che a sfidare il futuro con il sapere e la carità.

Noi, invece, abbiamo proprio bisogno di sfidare il futuro con il sapere e la conoscenza. Abbiamo bisogno di persone che vogliano contribuire alla vita del mondo con la speranza e con la carità. Da sempre l’educazione e la carità sono stati e sono ancor oggi i due polmoni, prima che della vita cristiana, della vita umana come tale. È il mio augurio di questo Natale per voi, per le vostre case, per le vostre famiglie e per la nostra città!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara