O Gesù Ostia, Amore Nostro: omelia in ricordo di Madre Guaini

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«Di solito si dice che le persone che riescono ad affascinare sono persone di una sola idea! Forte, centrale, vincente, attraente, dinamica. Io preferisco dire che sono persone di un solo amore, unius amoris! Sono persone che hanno certo anche un’idea, ma che però cercano una sorta di “roveto ardente”». Mons. Franco Giulio Brambilla ha delineato così la personalità della Serva di Dio madre Margherita Maria Guaini, fondatrice della congregazione delle Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote, nell’omelia per la messa in ricordo dei 25 anni della scomparsa.


O Gesù Ostia, Amore Nostro

Omelia nel 25° anniversario del transito della Serva di Dio Madre Margherita Maria Guaini
03-03-2019
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Una forza e una capacità di coinvolgere, quella di madre Guaini, che prima ancora delle idee e della capacità di guardare al futuro (la sua congregazione) immaginandoselo già nell’oggi, è stata animata da una pervicace e solida ostinazione, specchio di una semplice e sincera passione per il Vangelo. La caratteristica di madre Guaini, ha detto il vescovo, «era quella di bruciare e non consumarsi mai. Il roveto con cui Mosè entra alla presenza di Dio ha proprio la caratteristica di essere incombustibile, perché non si esaurisce mai!». Per approfondirne la figura, mons. Brambilla si è lasciato guidare dai versi della preghiera “O Gesù Ostia, Amore nostro, Ti offriamo al Divin Padre, per mezzo di Maria, in tutte le sante Messe”.

Ecco di seguito il testo integrale dell’omelia del vescovo.


O GESÙ OSTIA, AMORE NOSTRO

Omelia nel 25° anniversario del transito della Serva di Dio Madre Margherita Maria Guaini
Fondatrice delle Missionarie di Gesù Eterno Sacerdote

Un saluto affettuoso a tutti voi presenti. Siamo raccolti per celebrare il XXV anniversario della morte di Madre Margherita Maria Guaini e per far memoria del processo che, se Dio vorrà, porterà alla beatificazione della Madre. Sono venticinque anni dalla sua partenza dal mondo. Varallo Sesia è stata per Margherita Maria Guaini un punto di approdo di un lungo cammino, che è stato attraversato, come ogni percorso di coloro che fondano qualcosa di nuovo, da blocchi che consentono di gettare il cuore al di là dell’ostacolo. Partita con una prima esperienza tra le Ancelle della Carità e poi come monaca della Visitazione, trovò un primo “accasamento” della sua intuizione – i fondatori, infatti, sono sempre fortemente motivati nella loro volontà di perseguire il loro ideale – a Matera, dall’altra parte dell’Italia! A Matera, Madre Margherita rimase alcuni anni, e poi ci fu un’intesa, attraverso il vescovo di allora, per approdare qui da noi al nord.

Il posto scelto del Convento della Madonna delle Grazie di Varallo è sorprendente come lo fu, a suo tempo, la scelta del “monte sacro” per edificare il “Sacro Monte”. Pensate quale periplo è stato fatto da una persona di Brescia che è passata da Matera per arrivare a Varallo. È una circostanza veramente impressionante, perché si vede che le vie degli uomini, sovente attraverso ostacoli insormontabili, conducono ad una mèta che, letta a posteriori, sembra prefissata, quasi un destino verso cui si va!

Varallo: il termine del viaggio fu il chiostro presso il Convento della Madonna delle Grazie, a custodire questo scrigno dell’arte italiana. La presenza di Madre Margherita e delle sue sorelle è stata un po’ il cuore, per tutti questi lunghi anni, di una presenza nella città e poi, a partire da qui, nelle altre case, con un’irradiazione in diversi luoghi del Nord-Italia.

Come rendere ragione del carisma, cioè del “cuore segreto” di una persona che è stata capace di affascinare altre persone a seguirla, o meglio a seguire, attraverso di lei, il Signore?

Di solito si dice che le persone che riescono ad affascinare sono persone di una sola idea! Forte, centrale, vincente, attraente, dinamica. Io preferisco dire che sono persone di un solo amore, unius amoris! Sono persone che hanno certo anche un’idea, ma che però cercano una sorta di “roveto ardente”. Le sorelle MGES che ho in casa, mi leggevano in questa settimana alcuni passi della Madre, la cui caratteristica principale era quella di bruciare e non consumarsi mai. Il roveto con cui Mosè entra alla presenza di Dio ha proprio la caratteristica di essere incombustibile, perché non si esaurisce mai!

Allora ho scelto di commentare una frase, più esattamente una preghiera, che sentiremo poi cantare alla presentazione dei doni. Essa dice:

“O Gesù Ostia, Amore nostro,
Ti offriamo al Divin Padre,
per mezzo di Maria,
in tutte le sante Messe!”

Commentando i singoli elementi di questa espressione cerchiamo anche noi, “tolti i calzari, con i piedi nudi” (cf Es 3,5) di entrare nella terra santa, nel cuore e nel segreto della Madre. Parto dal fondo.

 

  1. “…in tutte le sante Messe!”

La prima evidenza dell’esperienza spirituale di una persona è che c’è una pratica, cioè si fanno i gesti della fede. Nel cristianesimo di oggi la pratica gode di cattiva fama. Noi riteniamo che la pratica sia espressiva di un sentimento, nel nostro caso della fede, ma potrebbe essere anche la pratica dell’amore. Un sentimento nei confronti della persona amata che è già salvo, a monte, del suo essere praticato. Se voi lo considerate in rapporto all’esperienza dell’amore, capirete subito che ciò è falso. Come si può amare una persona col puro sentimento, senza praticare l’amore? Senza ricordare momenti importanti come il compleanno o l’anniversario, senza scambiarsi attenzioni o parole di gratitudine per le cose ben fatte?! Senza la pratica è impossibile amare.

Forse abbiamo una concezione “praticona” dell’azione. Pensiamo che una prassi sia solo espressiva di una realtà che di per sé è già salva o a posto, perché l’importante è ciò che “noi sentiamo”! Non è così: se uno praticasse l’amore solo ogni tanto, anzi dicesse che è solo importante sentirlo, alla fine, senza gesti concreti, non sentirà più nulla! Ahimè, come dimostrano molte situazioni che ci stanno intorno.

Ecco, allora, che la Madre comincia a praticare la cosa più ovvia del cristianesimo che è espressa così: “in tutte le Sante Messe”, al plurale “in tutte”! E nell’immagine che riceverete alla fine della messa, vedrete come la Madre ha elaborato una sorta di “orologio eucaristico” che intende dimostrare che la partecipazione alla Messa ci mette nella condizione di essere in comunione con tutte le altre messe che nel mondo vengono celebrate nelle ventiquattro ore!

La pratica cristiana dice che tu ti metti in gioco, che entri con il tuo corpo dentro un’esperienza, che costruisce e custodisce la tua memoria, i tuoi affetti e i tuoi sentimenti.

Un’esperienza si costruisce anche attraverso la fatica, il fatto di rifare un gesto tutti i giorni, di praticare l’adorazione eucaristica giornaliera – un tempo addirittura perpetua! – nel segno sacramentale in cui è custodito il cuore della vita cristiana. “In tutte le Sante Messe!”

 

  1. “O Gesù Ostia!”

Ciò può essere fatto perché questa è la custodia, il rito in cui si rende presente “qualcosa” di più profondo, di più grande: “O Gesù Ostia”. La Madre lo indica subito all’inizio, nella prima espressione. Siamo partiti dall’ultima espressione per riconquistare la prima, con una stupenda inclusione. Nella traduzione inglese di questa preghiera, usata dalle sorelle dell’India e delle Filippine, si traduce “Gesù  vittima” (“victim”), perché è difficile rendere bene questa parola, tipicamente latina, nella traduzione inglese. Ma in latino la parola ostia significa sia vittima sia offerta. Contiene, dunque, due elementi per cui la Messa custodisce un amore che non è solo offerto, ma che è prima di tutto patito! Quando nella celebrazione noi diciamo: “il suo sangue versato per voi e per tutti”, noi siamo attirati dal fatto che si dice “per voi”.

Tuttavia, prima di essere versato per noi, il suo sangue è versato da qualcuno. Gesù non si è ucciso, non si è suicidato! Dunque, il suo sangue è versato da qualcun altro e questo è molto importante. Bisogna mettere davanti il momento passivo, che è significato dalla parola vittima, rispetto al momento attivo, che è significato dalla parola offerta, nell’unico termine latino e italiano “Ostia”. Il senso passivo indica che nella messa si custodisce il corpo e il sangue, che è generato dalla violenza di tutti gli uomini e di tutte donne.

È raccolta, come in un calice prezioso, ogni tipo di violenza, con le sue forme tentacolari, ogni forma di male che si presenta sulla scena del mondo e che produce vittime.

Vedete come questo ci mette di fronte a un mistero, a una “terra santa”, dove entriamo a piedi nudi! Nell’Eucaristia di Gesù è portata all’evidenza la drammatica possibilità che tutti noi, compreso il vescovo, la stessa chiesa, possiamo far male. Pensiamo anche ai fatti di questi ultimi mesi e ricordiamo tutte le violenze alla vita del mondo, della natura, delle persone…

Come fa la vittima a diventare offerta? Questo è lo snodo principale!  Forse la Madre non ha conosciuto queste distinzioni, ma il suo linguaggio appartiene al Settecento francese, che ha sottolineato il rapporto Eucaristia e Sacerdozio, che è stato trasmesso poi all’Ottocento e al Novecento. Come fa il momento passivo a trasformarsi in momento attivo, quindi in offerta? Perché la violenza subita, anzi tutte le forme tentacolari del male, possono essere lette non solo nella forma di un’ “asportazione chirurgica” della colpa – certo se la colpa è grossa, ci vuole la chirurgia, o, per usare un’espressione abusata in questi tempi, la “tolleranza zero” –.

Quando però si tratta di ricostruire le cause che producono le ferite, le divisioni, le invidie, le gelosie, le separazioni, le contrapposizioni, se non entri dentro di esse con il cuore dell’offerta, non riesci a fare niente! Offerta significa che tu le assumi su di te, non asporti soltanto il cancro della colpa, ma ricostruisci la salute di una persona. Questo percorso è molto più complesso, ma è molto più vero e necessario. Non basta asportare la colpa, ma bisogna guarire le debolezze che la producono ripetutamente.

L’Eucaristia custodisce questa intuizione: il cristianesimo, o meglio Gesù, non sbaraglia il male, ma lo porta sulle sue spalle. È la figura più classica del Gesù storico, che porta la pecorella smarrita (cf. Mt 18, 12-14; Lc 15,3-7) sulle spalle. Gesù non cancella il male con un colpo di spugna – a noi forse piacerebbe un Dio così! –, ma vi passa attraverso, anzi ricostruisce il tessuto lacerato dalla colpa, anche dopo averla asportata. Come quando, per rammendare un ricamo antico strappato, occorre ricucire filo per filo il disegno del tessuto, per riportarlo al suo splendore originale. Ricostruire filo per filo esige una pazienza infinita, plasma il cuore all’offerta dell’amore! Ecco cosa custodisce l’espressione “in tutte le Sante Messe” dell’orologio eucaristico che rimanda alla prima espressione “O Gesù Ostia!”.

 

  1. “Amore nostro”

Per le sorelle che usano la lingua inglese, l’espressione dice “for our love” – “per amore nostro”, mentre nell’espressione composta dalla Madre, la locuzione non ha un valore finale “per amore nostro”, ma è un’apposizione di “O Gesù Ostia”. Questo Amore è quello che ci unifica, è certo anche un amore per, ma è molto di più, è un essere coinvolti nel seno della comunione con Gesù: Amore “nostro”.

Tutta la teologia paolina va in questa direzione, parla di una comunione quasi mistica – per quanto oggi la parola “mistica” rischi qualche fraintendimento – di una profonda partecipazione al mistero di Cristo, per cui il suo amore patito e offerto, diventa il nostro amore, quello che attraversa la vita delle comunità, delle relazioni, anzi che deve irradiarsi nel mondo.

Questo amore comporta la capacità di perdere tempo, stando in adorazione del Santissimo Sacramento per ore e ore, perché gli altri si accorgano che la vita non è fatta da ciò che si produce, si quantifica, si moltiplica, si capitalizza, ma prende senso anche dal tempo perso, dal dono regalato, dal perdono donato, dalla preghiera di Adorazione (che sta davanti al volto del Signore). Senza questo saremmo non solo un po’ meno cristiani, ma anche un po’ meno umani. Se queste espressioni della devozione vengono restituite come legni secchi o frutti di nessun gusto, vengono disprezzati, mentre esse hanno in sé una forza potente.

 

  1. “ti offriamo al Divin Padre”

 

La Madre poi aggiunge “ti offriamo al Divin Padre”. Tutto il movimento per cui si parte dalla pratica per riconquistare il centro, un centro incandescente, non rappresenta il punto di arrivo, ma è il punto di transito per andare fino al Padre. È il volto di Dio come Padre, non il dio oppressivo, non il dio padrone, non il dio arbitrario e dispotico, non il dio languido a cui va bene tutto, come è di moda dire oggi, quando s’intende un dio misericordioso che condona tutto. Certo quando si parla di misericordia gratuita, nella sua intenzione Dio certamente condona, giustifica, ma quando la sua misericordia si realizza in noi, esige che – liberamente! – ci rifacciamo daccapo, ci ricostruiamo dal di dentro. San Paolo usa anche l’espressione condono, riconciliazione, giustificazione, quando parla ex parte Dei, ma quando lo vede realizzarsi ex parte hominis, nel cuore e nel corpo dell’uomo e della donna usa l’espressione: “Siete stati comprati a caro prezzo” (cf. 1 Cor 6,20). Si tratta dello stesso Paolo, delle sue lettere autentiche, per cui, se si deve considerare per intero tutto il suo linguaggio, non si possono amputare i testi, per tenere solo i testi che piacciono!

È spesso diffusa un’interpretazione “condonista” della misericordia. La misericordia è condono se è vista dalla parte di Dio, è onerosa se è vista per come si realizza nel cuore dell’uomo, anzi nel corpo dell’uomo e della donna! Senza la misericordia gratuita nessuno inizierebbe a cambiare il cuore e la vita, ma per cambiare il cuore e la vita è necessario guarire la nostra libertà corporea con tutte le sue ferite.

“Ti offriamo”. È bello ricordare qui come la Madre diceva alle sue suore di ascoltare tutta la Messa con le mani giunte, tenute alte, nonostante la fatica. Ella diceva di fare questo come atto di offerta per i sacerdoti. Di questi tempi ne abbiamo veramente bisogno!

 

  1. “per mezzo di Maria”

Quest’ultima espressione esprime il modo con cui possiamo chiudere il cerchio mistico di questa preghiera. È una preghiera che bisogna fare con il cuore di una donna, anzi di questa Donna che è Maria. La forma perfetta dell’uomo cristiano è una donna! Il vertice dell’antropologia cristiana è l’Assunta, cioè è la forma mariana, perché è ciò che rimane. Alla fine della vita rimane la Chiesa mariana! Non solo la Chiesa “petrina”, dei ministeri, dei servizi, della caritas, del volontariato (molto importanti perché viviamo in questo mondo).

Alla fine, se manca il “cuore mariano”, la Chiesa diventa la comunità degli agit-prop, di quelli che misurano la propria fede e il proprio cristianesimo in base ai risultati che hanno ottenuto. E, invece, ci vuole assolutamente il momento del tutto gratuito, custodito nel cuore dell’ascolto di Maria. Ella che è la Vergine dell’ascolto. Un ascolto che si lascia totalmente plasmare dall’alto, e per questo diventa radicalmente recettivo, anzi solo per questo diventa radicalmente fecondo.

Questo è il percorso che ho voluto disegnare davanti ai vostri occhi, per assaporare sempre da capo un po’ della ricchezza della spiritualità e del carisma di Madre Margherita Maria Guaini:

 

 “O Gesù Ostia, Amore nostro,
Ti offriamo al Divin Padre,
per mezzo di Maria,
in tutte le sante Messe!”

 

+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara