O umiltà sublime! Omelia nella Festa di San Francesco

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Lo scorso 4 ottobre il vescovo Franco Giulio ha celebrato la messa in occasione di San Francesco, patrono d’Italia, presso la comunità dei Frati Minori Cappuccini di Novara a San Nazzaro alla Costa. Di seguito il testo integrale della sua omelia.

O umiltà sublime!

Omelia nella Festa di San Francesco

Un caro saluto alla comunità dei Cappuccini,
alle autorità e a tutti voi che siete convenuti qui
per onorare la memoria di san Francesco d’Assisi.

È consuetudine ormai decennale, da quando sono a Novara, che nella festa di san Francesco d’Assisi offra un commento a un testo tratto dall’opera che più sicuramente gli è attribuita come sua propria. Il brano di oggi me l’ha suggerito la conclusione della Lettera apostolica di papa Francesco sulla formazione liturgica del popolo di Dio, un bel testo “ardente”, come è significato anche dallo stesso titolo, Desiderio desideravi. Lo scritto di Francesco è tratto dalla “Lettera a tutto l’ordine” (cfr. Francesco d’Assisi. Scritti, Edizione critica a cura di Carlo Paolazzi, OFM, Ed. Quaracchi, Grottaferrata 2009, Lettera a tutto l’ordine, 26-29). Si esprime così:

Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti,
quando sull’altare, nella mano del sacerdote,
è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.
O ammirabile altezza e stupenda degnazione!
O umiltà sublime! O sublimità umile,
che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio,
si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza,
sotto poca apparenza di pane!
Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio,
ed aprite davanti a lui i vostri cuori;
umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati.
Nulla, dunque, di voi trattenete per voi,
affinché totalmente vi accolga Colui che tutto a voi si offre.

Come ben si comprende, è un’esaltazione dell’Eucaristia e si può articolare attorno a tre semplici passi: il cuore di Francesco, la lode di Francesco e l’umanità di Francesco.


O umiltà sublime!

Omelia nella Festa di San Francesco 2022
04-10-2022
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  1. Il cuore di Francesco

Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti,
quando sull’altare, nella mano del sacerdote,
è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.

Ho già fatto accenno altre volte al fatto che nella biografia di san Francesco – santo al quale sono legato dal fatto che al Battesimo sono stato chiamato Francesco – scritta da Raoul Manselli (Napoli 1917 – Roma 1984) e che ho avuto modo di leggere molti anni fa, poi ristampata negli anni 2000, con uno stile molto limpido ed essenziale, mi colpì l’affermazione secondo cui il motivo della conversione di Francesco è l’incontro con il lebbroso. È un dato che mi ha sempre tormentato. Che un mercante come Francesco d’Assisi – il quale deve il suo nome proprio al fatto che il padre, Pietro di Bernardone, intrattenendo assidui rapporti con i mercanti oltralpe aveva voluto fissare quel legame commerciale nel nome così singolare del figlio Francesco, da “francese” – scendesse nella piana, dove ora si trova la Basilica di Santa Maria degli Angeli con la Porziuncola, a condividere la vita dei servi della gleba, era una scelta dirompente per un giovane del suo tempo! L’incontro con il lebbroso, anche sulla falsariga dello stesso incontro avvenuto per Gesù, soprattutto secondo la Legenda trium sociorum, è indicato come il momento che ha cambiato l’esistenza di Francesco, potremmo dire il motivo che dà avvio alla sua conversione. Tuttavia mi restava la domanda, dovuta forse al mio interesse nell’ambito della cristologia: cosa a che fare tutto questo con Gesù?

Certamente gli storici si fermano di fronte a ciò che vedono ed è comprovabile con i documenti, perché così funziona il metodo storico-critico. Manselli stesso si basa sugli scritti assisiati, sorti immediatamente dopo la morte di Francesco in Assisi (cf. la Legenda trium sociorum): egli sottolinea il fatto che l’incontro con il lebbroso è un momento di svolta per la vita di san Francesco. Tuttavia, a mio avviso occorre distinguere tra l’occasione della conversione di Francesco e la causa del suo cambiamento di vita. Si può forse dire che l’occasione è stata certamente l’incontro con il lebbroso, ma la causa o il motivo profondo della conversione fu l’incontro con il Crocifisso di san Damiano. Osservo che lo storico fatica a dire che la causa è l’incontro con il Crocifisso, forse per la sua portata teologicamente eccedente. Ammettere che l’incontro col Crocifisso di san Damiano sia l’innesco vero della conversione esige di riconoscere che qualcosa sfugge allo storico come tale.

Il nostro testo di oggi ci dice che in mezzo tra le due conversioni c’è un passo decisivo, che è espresso da Francesco con una retorica controllata, ma certamente alta:

Tutta l’umanità trepidi, l’universo intero tremi e il cielo esulti,
quando sull’altare, nella mano del sacerdote,
è presente Cristo, il Figlio del Dio vivo.  

Tra la causa della conversione – l’incontro con il Crocifisso – e l’occasione della conversione – l’incontro con il lebbroso – sta in mezzo l’Eucaristia, posta nelle mani del sacerdote. C’è dunque un segno che fa da mediazione tra Cristo e i poveri. È evidente il riferimento di Francesco a ciò che lo ha preservato e salvato da derive eretiche come accadde invece per i catari, i valdesi o i patari, perché egli, forse più radicale di loro, rimase in seno alla Chiesa, in comunione con la Chiesa. L’Eucaristia e il sacerdozio furono l’antidoto per rimanere nella Chiesa. Su questo tema Francesco insisterà sempre molto, non più secondo la concezione dei Padri del primo millennio per cui l’Eucaristia fa la Chiesa, ma già seguendo la concezione medievale del rapporto tra la presenza di Cristo e le specie del pane e del vino. Secondo questa mentalità realista, soprattutto dopo le controversie eucaristiche medievali, importa la relazione tra le specie che si vedono e la presenza di Cristo. Una presenza letta come il gesto supremo di umiltà!

Il cuore di san Francesco e della spiritualità francescana sta dunque in queste tre realtà: Gesù, l’Eucaristia (il sacerdote che la “fa”) e il povero (il lebbroso). Ciò che tiene Francesco in seno alla Chiesa è l’Eucaristia, senza farlo deviare, come è avvenuto per i movimenti mendicanti che pullulavano nel medioevo, tanto che pochi anni prima nel 1215 il concilio Lateranense IV aveva proibito la creazione di nuove regole di vita religiosa al di là di quelle esistenti, la regola di sant’Agostino e di san Benedetto. San Francesco con una tenace intuizione riceve dal Papa per la “sua” regola dapprima un’approvazione orale, chiamata Regula non bullata (1221) e poi in un secondo tempo sotto la protezione del cardinale Ugolino dei conti di Segni (poi papa Gregorio IX) viene confermata come Regula bullata (1223).

  1. La lode di Francesco

Il secondo passo ci mette davanti alla lingua di Francesco che è il canto della lode. Il modello è il famosissimo Cantico di frate sole (Francesco d’Assisi. Scritti, 188-128). Francesco riconosce queste esperienze, cioè Cristo, l’Eucaristia e il lebbroso non con un linguaggio che vuole certificare, ma attraverso un linguaggio di lode, per cui l’uomo loda una presenza che gli è superiore, che è più grande e va oltre lo slancio del suo cuore:

O ammirabile altezza e stupenda degnazione!
O umiltà sublime! O sublimità umile,
che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio,
si umili a tal punto da nascondersi, per la nostra salvezza,
sotto poca apparenza di pane!

Questo linguaggio dà inizio al filone bellissimo, tipico del francescanesimo, che valorizza l’umanità di Cristo, come osserviamo per esempio nel presepio di Greggio. Questa lingua, e i linguaggi simili, hanno cambiato lo sguardo su Cristo e sulle sue rappresentazioni nell’arte e nell’architettura. In questa chiesa di san Nazzaro c’era, ahimè poi abbattuta per lasciare posto a questo grande arco – com’è ancora visibile nella Chiesa delle Grazie di Varallo Sesia –, una parete con le scene della vita di Cristo. Ne osservate i pochi e bellissimi lacerti sopravvissuti sopra l’arco. È una chiesa dell’Osservanza francescana, ben diversa da altre chiese della stessa epoca, di stile gotico con un forte sviluppo verticale, che invitano ad elevare lo sguardo verso l’alto. Lo stile inaugurato da Francesco ci richiama a uno sguardo sull’umiltà, perché è uno stile essenziale nelle sue forme, persino spoglio, e dà la possibilità di sostare in contemplazione e simultaneamente di ritrovare la propria interiorità. Dicevo uno sguardo di umiltà: lo sentiamo in questa espressione del nostro testo di oggi: …sotto poca apparenza di pane!

Sarà poi san Bernardino da Siena, nel XV secolo, che attraverserà tutta l’Italia per valorizzare tale aspetto. Poco giorni fa ho visitato una chiesa di Bergamo nella quale un affresco, ispirato da san Bernardino da Siena, raffigura il Cristo che porta la croce, ma già con l’abito regale della risurrezione, bianco orlato d’oro. Francesco forgia uno sguardo e uno stile che attraversa l’architettura, la pittura, il modo di vivere l’umanità.

Già in altre occasioni ho detto che mi ha impressionato il fatto che dall’anno della morte di san Francesco avvenuta nel 1226 fino all’anno 1270, l’anno della morte di san Luigi IX di Francia, re “francescano”, che morì a Tunisi durante la settima crociata, in Europa erano già presenti 30.000 frati francescani. Una cosa inimmaginabile oggi e forse anche per l’intera storia della spiritualità! Questa è la lingua di Francesco, la lingua della lode, che esalta ciò che è più grande di lui. Egli non vuole possedere la realtà, manipolarla, e neppure intende abusare dello strumento della parola che ha un potere altissimo, ma invece vuole rendere il cuore e la vita disponibili all’incanto del mondo e al mistero santo di Dio.

  1. L’umanità di Francesco

Francesco e tutta la spiritualità francescana sottolineano fortemente l’umanità di Cristo, e in tal modo ritrovano la nostra umanità. Così infatti si sviluppa la terza parte del testo citato in Desiderio desideravi:

Guardate, fratelli, l’umiltà di Dio, 
ed aprite davanti a lui i vostri cuori; 
umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati. 

Si rivolge a tutti noi – Guardate! – e ci invita ancora una volta all’umiltà, in un mondo come il nostro che pretende di sapere tutto di tutto, manifestando un forte delirio di onnipotenza.

Nulla, dunque, di voi trattenete per voi, 
affinché totalmente vi accolga colui che totalmente a voi si offre.

Tutto dev’esser fatto non spinte ma sponte, vale a dire non in modo forzato, ma con il cuore libero per colui che totalmente a voi si offre.

Abbiano noi una simile umanità!? Siamo capaci di ascoltarci, di rapportarci, di agire, di servire in una tal maniera?! È una condizione che attraversa tutti gli strati sociali, dai vescovi, ai preti e frati, ai laici che sono dell’ambiente ecclesiale, ma anche coloro che vivono in altri ambiti sociali, come negli ospedali, nel mondo della politica, dove purtroppo trionfa troppo spesso il proprio protago­nismo.

Così formulo il mio augurio nella festa di san Francesco!

+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara