Il catino e l’asciugamano. Omelia nel Giovedì Santo

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Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia di mons. Franco Giulio Brambilla nella messa in Coena Domini, celebrata in cattedrale giovedì 14 aprile.

Il catino e l’asciugamano

Omelia nella messa in Coena Domini

Gv 13  1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.

6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».

12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.

È la sera dell’ultima cena di Gesù con i suoi. Secondo l’Evangelista Giovanni, che non riporta il racconto della santa Cena, Gesù lava i piedi ai suoi discepoli. L’opera e il gesto di Gesù è inscenato con grande solennità, anzi nel contrasto tra la sublimità del ritorno al Padre e l’umiltà del Signore che si fa servo. Il racconto può essere suddiviso in tre parti: il Signore come servo; il servo che si sente padrone; il servo come Signore.

Il Signore come servo

         Il Signore si fa servo e si presenta a noi come servo. Notiamo la solennità con cui si apre il capitolo 13 e la seconda parte del Vangelo di Giovanni: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine». Finalmente è giunta la sua ora, quella che a Cana non era ancora matura, è l’ora in cui Gesù sa che è venuto il momento di passare al Padre e in cui può amare i suoi sino al/la fine. La scena è giocata su Gesù che conosce il senso della sua opera e il suo sapere è quello dell’amore estremo, dell’eccesso dell’amore, che arriva fino al punto più alto, oltre il quale non si può andare. Quest’ora è attraversata dalle tenebre dell’abbandono: il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda di tradirlo, anche se la sua consegna non mette a scacco matto Dio, perché Gesù sapeva che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava. Il destino di Gesù è custodito nel palmo della mano del Padre, che non lascia che il Figlio si perda, ma lo accompagna, perché facendosi servo, diventi come servo il Signore. Seguiamo Gesù in questa discesa nell’abisso.

Gesù è nel grembo sicuro del Padre, perché sa che “ha tutto nelle sue mani”, anzi che «ha il potere da dare [la sua vita] e il potere di prenderla di nuovo» (Gv 10,18). Eppure il Signore si fa servo. Osservate il cambio improvviso cambio di scena: «si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto». Il catino e l’asciugamano, che sono per eccellenza gli strumenti del servo, sostituiscono la veste splendente del Signore. Gesù depone la veste, si alza da tavola, si fa nostro servo e lava come servo i piedi a noi viandanti sulle strade polverose della vita. È l’icona indimenticabile del Signore che si fa servo e rimane come servo accanto noi.

Il servo che si sente padrone

         Non possiamo smettere di far memoria del contrasto tra il Signore che conosce la sua ora e il gesto di servizio che lo rende presente in mezzo a noi. Il racconto di Giovanni mette a confronto l’icona del Signore come servo con la scena di Pietro, il servo che si sente padrone, anzi che crede di non aver bisogno di nulla, che pensa di essere discepolo in proprio, bontà sua! Gesù ha incominciato a lavare i piedi agli altri discepoli, ma quando arriva al primo, questi sembra non averne bisogno: «Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: “Signore, tu lavi i piedi a me?”. Rispose Gesù: “Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gesù si accosta a Pietro, ma questi si spaventa al vedere il Signore con il catino e l’asciugamano in mano. Certo il personaggio è intuitivo e pensa: “se Gesù fa così, dopo toccherà farlo anche a me; forse non ho capito bene: ma io, come mi ha assicurato anche Giuda, mi sono messo in gioco credendo di seguire un Signore e Messia vittorioso. Come quello che ha fatto il suo ingresso a Gerusalemme. Certo Gesù ha sfilato su un puledro, ma è stato comunque un trionfo!”.

Per una e due volte Pietro si sottrae al gesto del Signore che si fa servo, anzi il cui essere servo consiste nel purificare con il lavacro di rigenerazione il servo che si sente padrone. L’Apostolo non sa che si può essere discepoli del Signore, solo se si passa attraverso il battesimo in acqua e Spirito: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Aver parte con Gesù, essere dei suoi, è possibile nella fraternità battesimale, che si lascia mondare dai peccati e riceve lo Spirito della libertà! Quando avverte il pericolo di non “aver più parte” con Gesù, allora, alla terza volta, Pietro esagera in eccesso: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Il fraintendimento è sempre in agguato, perché il primo dei discepoli non si rassegna a “stare dietro” al Signore (vade retro!). Colui che rinnegherà tre volte il Maestro ha da sempre un rapporto burrascoso con Lui, non trova la giusta misura, vuole diventare apostolo senza rimanere discepolo.

Il servo come Signore

 Finalmente Gesù, colui che si fa (e rimane) servo, ora può sedersi come il Signore e diventare il Maestro: «Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi?”». Gesù diventa solo ora il Maestro dei discepoli e riprende le vesti e la postura di chi insegna. Ma lo fa non dismettendo i panni del servo: «Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri». Gesù di Nazareth è il Signore e il Maestro solo essendo e rimanendo servo. Che stupenda convergenza con la tradizione dei primi cristiani, quando nell’Inno ai Filippesi si dice: «il quale, essendo e rimanendo (participio presente!) nella condizione di Dio (morphé theoû), […], svuoto sé stesso, prendendo (participio aoristo!) la condizione di servo (morphé doúlou)» (Fil 2,6). L’essere Dio è il presente della libertà e dell’agàpe divina, l’essere servo è l’evento storico del suo farsi uomo e prossimo a noi! Solo il Signore che è e rimane nella “forma di Dio”, può attraversare l’abisso insondabile della “forma di servo”, per lavarci i piedi, fasciarci le ferite, medicare il cuore, scardinare la superbia, sciogliere i grumi della discordia, farci trovare le vie della pace.

In questo sta l’esemplarità dell’essere Maestro e Signore di Gesù: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Egli è l’esempio insuperabile, egli è il Signore e il Maestro, proprio rimanendo e come servo. Il suo servizio all’uomo e all’umano non è un evento passeggero, il suo amore per la creatura ferita, la sua acqua viva per il cuore assetato, il suo catino e asciugamano per lavarci i piedi, non sono esercizi passeggeri, tanto per insegnarci come si fa, ma sono l’“Esempio” a cui attingere, la forza che non viene meno, la vita nuova che non può essere dispersa. L’essere servo di Gesù non è un incidente passeggero, non è una finta che può essere rimediata. Le sue mani forate e il suo cuore trafitto rimangono come segni sul corpo del Signore risorto. Non possono più essere cancellati! Perche Gesù è il Signore rimanendo servo e come servo è il Signore!

La beatitudine pasquale

«Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica». L’esempio di Gesù diventa il sapere del discepolo, anzi è la fonte della sua beatitudine pasquale. Giovanni non riporta nel suo Vangelo le altre beatitudini, ma ne ricorda solo due speciali: questa all’inizio della Passione e l’altra alla fine del racconto di Pasqua (Beati coloro che non avendo visto crederanno, Gv 20,29). L’una è la beatitudine dell’agire, l’altra è quella del credere. La pratica della fede (agire come Gesù) è la sorgente della fede pasquale (credere come Tommaso): è la fede promessa al discepolo di ogni tempo che, toccando e leggendo le parole del Libro, potrà sempre di nuovo proclamare: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28).