Le donne di Luca. Omelia nella Veglia pasquale

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Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia nella Veglia pasquale del vescovo Franco Giulio Brambilla, celebrata in cattedrale sabato 16 aprile.

 

Le donne di Luca

Veglia pasquale 2022

 

241Il primo giorno della settimana, al mattino presto esse [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. 2Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro 3e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. 4Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini presentarsi a loro in abito sfolgorante. 5Le donne, impaurite, tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? 6Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea 7e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”». 8Ed esse si ricordarono delle sue parole 9e, tornate dal sepolcro, annunciarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. 10Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli. 11Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. 12Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E tornò indietro, pieno di stupore per l’accaduto.

Nell’aria frizzante del mattino primaverile, dopo il sabato osservato secondo il comandamento (Lc 23,56), le donne vanno al sepolcro. Sono le donne di Luca, che egli ricorda nei versetti precedenti: «Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati» (Lc 23,54-55). La strada è vuota e all’orizzonte appare il sole luminosissimo del mattino di Gerusalemme. L’evangelista Marco vi aggiunge un interrogativo retorico di grande effetto: «Esse dicevano tra loro: “Chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”» (Mc 16,3). La pietra tombale che gli uomini hanno posto per chiudere la carriera di Gesù è divenuta un masso opprimente. Chi è capace di ribaltare la pietra pesante del sepolcro? Solo un annuncio che viene dall’alto lo può fare. È l’annuncio di Pasqua: È risorto non è qui! Possiamo scorgere nel racconto i tre aspetti essenziali della fede pasquale.


Le donne di Luca

Veglia pasquale 2022
16-04-2022
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La mancanza del corpo

Le donne, arrivate al sepolcro, «trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù» (v. 2). La sottrazione del corpo è il primo momento dell’esperienza pasquale. Le donne non trovano più il “corpo del Signore Gesù”, non lo ritrovano più come un corpo passato, come cadavere gelido e muto. Non debbono più cercarlo così, debbono spingersi “oltre” la loro ricerca, che vuole onorare il corpo di Gesù ungendolo e imbalsamandolo come una vicenda “passata”. La traccia del corpo di Gesù è assente, e con lui sembra scomparire la memoria intensa del suo sguardo, delle carezze, della voce, del parlare alle folle, dello stare tra i suoi discepoli, del muovere i passi con decisione verso Gerusalemme. La “memoria” di Gesù non può essere un ricordo passato e il corpo, che ne è l’icona e la traccia, non si può più trovare in questo modo. Onorare la memoria di Gesù non può esaurirsi nell’ungere il suo corpo, per quanto nel gesto d’amore delle donne vi sia l’anticipo dell’autentica memoria Jesu.

Le donne incerte trovano già tutta una serie di segni che richiedono di puntare l’attenzione “altrove”: la pietra rotolata via, il corpo assente e due uomini in vesti sfolgoranti, in figura di angeli interpreti.

La trasformazione del desiderio

La prima parola viene da “altrove” ed interpreta la ricerca delle donne: «Perché cercate tra i morti il Vivente? Non è qui…» (vv. 5-6). L’annuncio dei due personaggi in vesti sfolgoranti distoglie le donne dal cercare tra le cose passate (“tra i morti”), per aprirle verso un’altra direzione: la vita presso Dio. All’inizio si tratta di un dis-orientamento del desiderio. È impossibile ritrovare Gesù solo prolungando le proprie attese, la speranza di una vita al di là della morte, la permanenza di una forma d’esistenza nelle regioni inferiori, il ricordo che lascia traccia nel vissuto di coloro che hanno conosciuto Gesù. Il profeta crocifisso non va cercato tra i morti, non è lì! Se la voce non scende dall’alto in vesti splendenti e non risveglia lo sguardo e il cuore, non si può incontrare il Vivente.

Vengono alla mente le icone che raffigurano la risurrezione di Gesù come un descensus ad infer(n)os, una discesa negli inferi del Risorto vivente. Il Cristo in veste sfolgorante, di bianco luminosissimo orlato d’oro, scende come un angelo dal cielo, e disegna con la tunica svolazzante quasi la scia d’una meteora che viene dall’alto. Toccando terra, Gesù scardina le porte dell’Ade che si dispongono in forma di croce sotto i suoi piedi: vittoria della vita e della carità attraverso la sua morte, allusa nei segni della passione che stanno presso le porte degli inferi. Gesù afferra le mani di Adamo ed Eva, che s’avvinghiano a Lui, per essere strappati dal regno dei morti. Il primo Adamo e la Madre dei viventi sono così sollevati da Colui che è il Nuovo Adamo e il Vivente. Sullo sfondo del panorama il gruppo formato da Abele, Mosé, Davide, Salomone, il Battista e altre figure di profeti che rendono testimonianza alla venuta del Risorto. L’attesa degli uomini d’ogni tempo, fin dal primo uomo, è orientata al Cristo risorto, è risollevata dal regno della morte, è innalzata dalle braccia del Vivente. Il desiderio deve abbandonare le regioni della morte, il luogo dove non brilla la fedeltà di Dio, per ascoltare l’annuncio angelico: «non cercate tra i morti, non è qui»!

Il cuore dell’uo­mo attende questo, ma da solo non può raggiungerlo, se non irrompe dall’alto l’annuncio della risurrezione. Vedere il volto di Dio nel Risorto corrisponde all’attesa dell’uomo, però non è nella sua possibilità passare dalla tomba all’in­contro con Lui. Solo la mano del Risorto può gettare un ponte tra desiderio dell’uomo e visione di Dio.

È risorto il terzo giorno!

Ora esplode l’annuncio della risurrezione: «Non è qui, è risorto!»: il Vivente non va cercato tra i morti, ma va accolto come colui che offre la sua vita per noi; Egli dona la vita per le pecore, per questo esse ascoltano la sua voce. Ora avviene il ricono­scimento del Vivente come risorto, ora brilla l’iden­tità del Risorto con il Crocifisso!

L’annuncio della risurrezione produce anzitutto una ripresa della memoria Jesu: «Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno» (Lc 24,6-7). Gesù stesso è l’esegeta umano del Dio invisibile. La storia che «incomincia da Mosè, attraverso tutti i profeti per arrivare sino a Lui» dev’essere sempre ripercorsa. Gesù sul cammino afferma: «non “bisognava” che il Cristo patisse per entrare nella sua gloria?» (v. 26a). È che Lui formula la domanda circa la “necessità” della sua morte. È l’inter­rogativo che attraversa ogni generazione cristiana, che si mette dinanzi alla morte di croce. Dopo due anni di immagini di ansia, di paura e di morte, la domanda sul perché del morire si è fatta più angosciosa. Occorre riconoscere che è risorto il Crocifisso, ma non si può comprenderlo se non affidandosi alla parola di Gesù che ne stabilisce l’identità.

Questa è la “necessità” del dover patire di Gesù per entrare nella gloria. Per questo va compresa anche in positivo come il grande mistero dell’agàpe trinitaria: non è una scelta tra la vita e la morte, tra la gioia e la sofferenza. Non è un patire momentaneo per una gloria eterna, non è solo la logica “naturale” del morire per rinascere. Il seme caduto per terra che marcisce per rinascere a vita nuova è metafora “evangelica”, quando la si capisce in rapporto al morire di Gesù, alla contemplazione delle piaghe del crocifisso, che rimangono nel Risorto. Perciò Gesù ricomincia da capo, ogni volta, da Mosè, passando attraverso i profeti, a ridire la necessità dove si rivela la libertà dell’amore, del suo amore!

Il papa emerito Benedetto XVI che compie oggi 95 anni ne ha dato un’interpretazione memorabile. Ascoltiamola: «La cifra di questo mistero è l’amore e soltanto nella logica dell’amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé». Forse è l’augurio più bello in questa notte pasquale!

 +Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara