«La prima Chiesa, dunque, non è una chiesa che fa, ma una Chiesa adunata che prega. E questa non è la prima immagine di Chiesa, nel senso che poi viene dimenticata e abbandonata, a favore di una seconda che esce e va verso gli altri. Se la Chiesa non continua a rimanere una centrale idroelettrica che continua ad immagazzinare energia spirituale per poterla rilasciare, alla fine l’energia si esaurisce». La forza inesauribile della preghiera, che non solo alimenta la vita spirituale di ognuno, ma è il fondamento stesso dell’essere chiesa. E’ iniziata così la riflessione proposta da mons. Franco Giulio Brambilla nell’omelia della Veglia di Pentecoste celebrata lo scorso 8 giugno al Santuario del Boden di Ornavasso (vicariato dei Laghi), in contemporanea con quelle vssute negli altri cinque vicariati, a sottolineare la dimensione diocesana e comunitaria di un appuntamento nel quale rinnovare, come Chiesa, la spinta del camminare insieme e ritrovare nello Spirito, non solo le motivazioni di ciò che si fa, ma soprattutto di ciò che si è.
Lo spirito santo, Maestro interiore
Omelia nella Veglia di Pentecoste
08-06-2019
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Ed è proprio da questa riscoperta che il vescovo traccia un itinerario verso la conversione dei cuori, che inizia dal ritrovare dentro di sé il Maestro interiore (un’immagine a lui cara, della quale spesso parla ai ragazzi) che dialoga con la coscienza di ognuno.
Di seguito il testo integrale della sua omelia.
Lo Spirito Santo, Maestro interiore
Omelia nella Veglia di Pentecoste
Torno volentieri qui, al Santuario del Boden per la terza volta, nel ricordo affettuoso di don Ermus, che mi accolse la prima volta magnificando la tenera bellezza del volto di questa Madonna, che è raffigurata nell’affresco dell’edicola centrale. A Lei ho dedicato una preghiera, che il nuovo parroco ha fatto stampare persino sul retro dell’edicola stessa, a futura memoria.
Torno questa sera, nella Veglia di Pentecoste, preceduta da una novena, che – ahimè – non celebriamo più, anche se è l’unica novena biblica: in effetti, Gesù dopo essere salito al cielo manda a dire ai suoi discepoli di attendere, nel Cenacolo, la venuta dello Spirito dall’alto (cfr Gv 14,26;15,26;16,13 At 1,8;2,4.33).
Nel libro degli Atti degli Apostoli, la prima immagine della Chiesa non è quella che citiamo di solito e che si trova al capitolo secondo, o al capitolo quarto, quando si dice che “erano un cuor solo e un’anima sola” (At 4,32); si tratta di due testi molto simili e paralleli. In quel testo si ricorda che “erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42).
La prima immagine della Chiesa è, invece, descritta nel capitolo 1 dove si parla di una Chiesa che è illustrata dalla nostra assemblea di questa sera, dove i Dodici erano riuniti con Maria e le donne (At 1,14). Luca insiste sovente sulla presenza delle donne. Non è la Chiesa che, dopo la Pentecoste, va nel mondo, ma è la Chiesa “mariana”, diremmo oggi, che è come il motore della comunione e della missione. A questo proposito, sabato scorso ai giovani che hanno fatto la Route sulle sponde del Lago d’Orta, parlando della Madre Badessa Anna Maria Canopi, da poco scomparsa, dicevo:
Anna Maria Cànopi, che ha abitato in quel luogo ben quarantacinque anni. Una domenica di un anno fa, era il 26 giugno dello scorso anno, al mio gruppo famiglie la Madre ha dato una risposta bellissima. In particolare, a chi le aveva chiesto qual era il senso della loro vita, la Madre, rispondendo, usò questa immagine: “Noi siamo come una centrale idroelettrica” – una volta si diceva che il monastero era come il parafulmine, usando un’immagine un po’ difensiva –. L’immagine utilizzata richiama il fatto che una centrale idroelettrica trasforma l’energia cinetica dell’acqua, o un’energia di altro tipo, per trasmetterla verso l’esterno come energia elettrica. E, come se l’energia continuamente ricevuta dall’alto coi doni dello Spirito, venga continuamente trasformata, nella preghiera, nell’ascolto e nella vita comune del monastero, e rilasciata come corrente di vita nello Spirito che alimenta la nostra povera esistenza quotidiana. (Dall’Omelia della Messa alla Route dei Giovani, 1° giugno 2019)
In effetti dal giorno della morte della Madre alla celebrazione del funerale sono passate sull’Isola a salutarla circa ventimila persone. Prima del giorno della benedizione abbaziale della nuova Madre, ho inviato alla comunità sei domande con le quali ho potuto descrivere la loro vita vissuta lungo quarantacinque anni. Nel monastero di San Giulio sono passate 150 monache in tutto. E poi v’è stato il transito di circa diecimila visitatori ogni anno! (cfr. F.G. Brambilla, Omelia per la Benedizione abbaziale di Madre Maria Grazia Girolimetto OSB, Isola san Giulio, 10 Febbraio 2019). Mi domando sovente: cosa sarebbe stata l’Isola di San Giulio se non ci fossero state queste monache!?
La prima Chiesa, dunque, non è una chiesa che fa, ma una Chiesa adunata che prega. E questa non è la prima immagine di Chiesa, nel senso che poi viene dimenticata e abbandonata, a favore di una seconda che esce e va verso gli altri. Se la Chiesa non continua a rimanere una centrale idroelettrica che continua a trasformare i doni dello Spirito in forza per la vita spirituale, non è poi possibile alimentare la vita degli uomini che si abbeverano a quella fonte di energia.
Come si fa dunque a trasformare e trasmettere quest’energia spirituale? Comune si fa a rimanere una centrale idroelettrica? Nelle letture che abbiamo ascoltato mi ha molto colpito la sequenza che si snoda in particolare dalla prima, alla seconda e poi alla quarta (Es 19,3-8,16-20b; Ez 36, 16.22-28; Gv 7,37-39).
1. La prima lettura ci presenta la scena che precede la consegna del Decalogo, è la scena dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, a cui si richiama direttamente il racconto di Pentecoste. E questo è il motivo per cui la Pentecoste si celebra 50 giorni dopo la Pasqua – la parola Pentecoste significa 50 in greco – e domani sono esattamente 50 giorni dopo la Pasqua. Il cinquantesimo giorno gli ebrei celebravano la memoria dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo che portava con sé il dono della Legge! Ecco: questa formula, che per noi è abbastanza consueta: “la Pentecoste è il dono dell’Alleanza tra Dio e il suo popolo, che porta con sé il dono della legge” contiene già la prima cosa importante per questa sera. La parola religione indica nel suo significato (re-ligare) il legame tra l’uomo e Dio. È un legame però che non accade per forza e neppure crea dipendenza, ma è un legame di Alleanza, per il quale più è presente Dio in mezzo al suo popolo, più il popolo cresce e non diventa schiavo. Così, più Dio è presente nella mia vita, più la mia vita cresce. Il cristiano non è un uomo/una donna di serie B, ma di serie A! A volte pensiamo che l’essere cristiani diminuisca il nostro essere uomini e donne, perché i cristiani devono rinunciare a tante cose… No, questa è piuttosto la patologia della fede. È la contraffazione della fede. Il cristiano è un uomo/una donna di serie A. Perché il Dio cristiano, come è già il Dio dell’Antico Testamento, vuole davanti a sé non degli schiavi proni, ma degli alleati, cioè coloro che stanno in un rapporto, in un legame di fedeltà, di amore, di amicizia con Lui. E per vivere questo legame, questa fedeltà, come per vivere ogni legame nella vita, c’è bisogno di una legge. Per questo Dio dà i comandamenti, perché la Legge dice che questo legame fa crescere in noi – uomini e donne di serie A – la vita buona. Senza una legge è impossibile far crescere dentro di noi la vita buona. Lo vediamo oggi nella nostra società frammentata, che praticamente non ha punti di riferimento. Ci accorgiamo che la vita non è molto bella. E non tanto per qualche punizione che viene dall’Alto, ma perché è la nostra vita ad essere frantumata. Lo abbiamo notato anche negli ultimi e recenti tragici eventi. Questa è la prima pagina della veglia di Pentecoste: c’è l’alleanza con Dio e il dono della Legge, che porta come frutto la vita buona, personale e sociale.
La legge però può essere pericolosa! È scritta su tavole di pietra – un tempo sui pulpiti delle chiese erano raffigurate o scolpite le due tavole della Legge. Sulla prima tavola erano incisi i primi tre comandamenti nei confronti di Dio e sulla seconda tavola gli altri sette nei confronti del prossimo. Era una suddivisione che veniva dai manuali di morale. Ma questa suddivisione va superata: infatti, il primo comandamento non comanda propriamente nulla, almeno nel nostro senso, perché è l’intimazione alla fede: “Io sono il Signore tuo Dio, l’unico: non avrai altro Dio fuori di me” (Es 20, 2-3; Dt 5,6-21). Ciò significa che gli altri comandamenti non potranno essere vissuti se non a partire dalla radice della fede che alimenta gli altri nove. Anche il decimo comandamento in un certo senso non comanda nulla, perché proibisce di “desiderare male” (in modo “concupiscente”) tutte le altre cose che sono già proibite o comandate negli otto comandamenti precedenti. Ciò significa, allora, che il primo e l’ultimo comandamento sono come la radice e il frutto dell’agire umano, i quali ci dicono che il cuore dell’uomo, se non si apre a Dio e invece mette al centro il proprio io, finisce per desiderare tutte le cose della vita e del mondo, attirandole dentro di sé, desiderandole in modo distorto e non condividendole con gli altri. Se il primo comandamento non dispone la libertà alla fede nell’unicità di Dio, l’ultimo comandamento produrrà il frutto maligno di una libertà concupiscente e onnivora. Una legge vissuta così, solo incisa sulle tavole di pietra, per cui dico a me stesso: “sono stato fedele ai comandamenti, dunque sono a posto!”, rende il cuore di pietra.
2. Il profeta, nella seconda lettura, afferma:
“Io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36,26)
È un testo di circa sei secoli prima di Cristo, ma è ricolmo di saggezza. Perché se la legge è scritta sulle tavole di pietra, può farci sentire a posto, quando è applicata solo nella sua materialità. Ma questo atteggiamento può pietrificare il cuore! Dobbiamo stare attenti nei confronti degli altri, perché non ci capiti soltanto di lanciare pietre contro gli altri: talvolta lasciamo crescere in noi anche un cuore di pietra nei confronti degli altri.
Il profeta annuncia dunque che verrà colui che sostituirà il cuore di pietra, e metterà dentro di noi un cuore di carne, ci darà un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Un testo simile è presente anche in Geremia (Ger 31,31-34) e, pure in quel caso, il profeta rapporta il cuore di pietra e lo spirito nuovo che sarà collocato dentro di noi. Dice, di seguito, Ezechiele:
“Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme” (Ez 36,27).
La profezia dice questo e lo afferma sulla base dell’amara esperienza dei secoli, nei quali il popolo di Dio ha trattato la legge pietrificando il comandamento e così gli si è indurito il cuore! Il profeta fa guardare avanti.
E così arriviamo alla Pentecoste, in cui ci viene dato un cuore nuovo. Nel nostro cuore, dentro di noi, viene immesso uno spirito nuovo. È l’immagine che voglio lasciarvi quest’anno. È anche l’immagine che regalo sempre ai ragazzi alla fine della cresima e che ho ricordato loro nell’incontro che hanno avuto con me nella basilica di San Gaudenzio. È un’immagine molto importante, che mi ha dato molta forza nella vita, presa dal grande teologo sant’Agostino, il quale avendo riflettuto sullo Spirito che è Amore, il quale dona “un cuore di carne”, dice che lo Spirito Santo, che viene dall’alto e di cui non possiamo mai impadronirci, è il “Maestro interiore”. A partire da questa ultima espressione, svolgo tre piccole riflessioni che servono per la vita spirituale pratica.
3. Il Maestro interiore, anzitutto, parla dentro la nostra coscienza. Ai ragazzi dico sovente che dopo la Cresima diventeranno come sordi di fronte ai genitori, ai professori, ai catechisti, ai sacerdoti, alle suore, perché i maestri esterni diventeranno sempre più esteriori, perché l’adolescenza resiste all’ascolto di ciò che viene dall’esterno! Tuttavia, aggiungo che dalla Cresima in avanti avranno un dono nuovo, che è il Maestro interiore, quello che parla all’interno della persona. Come si fa a sentirlo? Per i ragazzi della Cresima prendo esempi dalla vita degli adulti, perché noi adulti dovremmo parlare loro del maestro interiore!
Come faccio a distinguere la mia coscienza dallo Spirito Santo? Alcune volte lo Spirito coincide con la nostra coscienza, quando siamo incoraggiati, stimolati, quando Egli ci fa camminare. Altre volte si smarca dalla nostra coscienza, quando rimprovera, sostiene, pungola. E ai ragazzi faccio questi due esempi. Il primo: se un papà durante la giornata ha trattato male la mamma, magari l’ha avuta vinta in quell’occasione, l’ha fatta anche tacere; però alla sera quando si guarda allo specchio, una voce gli dice che sì questa volta ha vinto, ma quel che ha fatto non andava bene. Egli s’accorge che la violenza delle parole a volte è tremenda, più che le pietre. Questo è il Maestro interiore che parla alla coscienza! Talvolta si scarta da noi, ci rimprovera! Il secondo esempio: può succedere ancora, e questo vale per tutti, che una persona al lavoro ha fatto un salto di carriera, ma l’ha compiuto prevaricando su qualcuno. Alla sera, però, davanti allo specchio il Maestro interiore dirà che questa è una vittoria scorretta! Il Maestro interiore può rimproverare, può incoraggiare, talvolta coincide con noi, talaltra no. Tutti noi sentiamo questa voce della coscienza, che può rincuorare o può rimandare oltre la coscienza stessa. Il Maestro interiore è il compagno di viaggio della coscienza.
Proprio perché parla alla coscienza, ma non coincide con la coscienza, il Maestro interiore ci apre al bisogno dell’ascolto degli altri. Vivremmo male se non ci confrontassimo con chi ci sta accanto, perché non possiamo essere così sicuri di interpretare bene la voce del Maestro interiore. L’apertura all’altro è un’esigenza profonda dell’io. Dell’io che vuole essere autentico, trasparente, senza corrompersi e senza giustificarsi facilmente. Questo è certamente difficile. In genere, quando noi ci apriamo all’altro, immaginiamo che l’altro sia il mio io allo specchio, sia la mia cassa di risonanza, sia il mio doppio. La dinamica della relazione con l’altro è molto delicata, perché il Maestro interiore mi apre all’altro, se quello non diventa il mio doppio, il mio allo specchio, ma rimane l’altro da me. Solo così l’altro può arricchirmi, soltanto così può essere qualcuno che diventa capace di camminare con me!
La terza e ultima azione del Maestro interiore è lo Spirito che non solo ci apre all’altro, ma anche al “noi”. Non è solo Colui che mi immette nella dinamica io-tu, ma mi introduce nella circolarità dell’io-noi. Per esempio, ci fa uscire dalla casa-appartamento. Vivere appartati genera tutta una serie di malattie interiori… Quei due poveri giovani, senza che con questo si possano giustificare, non hanno saputo tenere un bambino; essi sono il frutto amaro di questo modo di vivere rinchiusi su di sé. Non hanno avuto intorno nessuno che aprisse loro la porta di casa, ed essi si sono blindati nel loro appartamento di morte. Abbiamo bisogno del noi come dell’aria che respiriamo. Anche la vita religiosa comune, vissuta dalle suore che vedo qui presenti, mette alla prova, perché fa vivere un po’ di lotta e rinforza la spina dorsale. Il terzo modo con cui parla il Maestro interiore, dove “interiore” non significa intimista, non ci fa rimanere chiusi dentro noi stessi, ma ci proietta verso l’esterno, verso il mondo e la società.
Nel rapporto con la mia coscienza, nel rapporto con il tu e nel rapporto con il noi si dispiega la forza dello Spirito. Il cui frutto è quello di costruire la vita buona indicata dalla Legge. Il cristiano è colui che segue ancora le leggi esterne, ma le vive a partire dal suo mondo interiore, perché ha avuto il cuore trasformato da cuore di pietra in cuore di carne. Questo non avviene una volta per tutte in vita, perché il cuore di carne può sempre tornare ad essere di pietra. È il nostro rischio. Invece, il Maestro interiore ci aiuterà a trasformare il cuore di pietra in cuore di carne, se lasceremo che lo Spirito abiti in noi! San Paolo ha inventato persino un verbo che non esiste nella letteratura greca: “in-abitare”, da cui deriva la “inabitazione” dello Spirito Santo! Ciò significa che lo Spirito abita dentro di noi, prende dimora in casa nostra. Da quando abbiamo ricevuto il battesimo, lo Spirito continua ad abitare in noi, accanto a noi, sulla nostra strada, ma i suoi frutti sono pace, gioia, consolazione, tenerezza, semplicità, vicinanza, prossimità… Questi sono i frutti dello Spirito per cui invochiamo e preghiamo questa sera!
+ Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara